Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2386 del 31/01/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 2386 Anno 2018
Presidente: BRUSCHETTA ERNESTINO LUIGI
Relatore: CAIAZZO ROSARIO

SENTENZA
sul ricorso n. 16040/11+ proposto da:
Fredditalia International s.p.a., in persona del legale rappres. p.t., elett.te
domic. in Roma, in Largo Trionfale n.7, presso l’avv. Mario Scialla, rappres. e
difeso dall’avv. Michele Martini, con procura speciale in calce al ricorso ;
RICORRENTE
CONTRO
Agenzia delle entrate, elett.te domic. in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,
presso l’avvocatura dello Stato che la rappres. e difende;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza n. 128/25/2013 della Commissione tributaria regionale
della Toscana, depositata il 12/12/2013;
udita la relazione del consigliere dott. Rosario Caiazzo, all’udienza pubblica
dell’Il ottobre 2017;
udito il difensore della parte ricorrente, avv. M. Martini;
udito il difensore della parte controricorrente, avv.to M. Capolupo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott.ssa Rita Sanlorenzo, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La G.d.f. redasse, nel 2006, un p.v.c. con cui contestò alla Fredditalia
International s.p.a., per gli anni d’imposta dal 2002 al 2004, la mancata
separata indicazione, nella dichiarazione, delle spese e delle altre componenti

Data pubblicazione: 31/01/2018

negative di reddito derivanti da operazioni intercorse con soggetti domiciliati
nei paesi inclusi nella cd. black list.
In corso di verifica fiscale, la stessa società presentò una dichiarazione
integrativa, di cui all’art. 2, 8°c., del d.p.r. n.322/98, al fine di sanare l’omessa
indicazione delle suddette operazioni; sulla scorta di tale rilevazione, fu emesso
un atto di contestazione ed irrogazione di sanzioni, per il 2003, nella misura

a tassazione i costi relativi alle medesime operazioni.
La società impugnò tale atto con ricorso accolto dalla Ctp, rilevando la
regolarità della presentazione della dichiarazione integrativa.
L’ufficio propose appello, accolto dalla Ctr che ha ritenuto inefficace la
dichiarazione integrativa poiché presentata dopo l’inizio della verifica e non
corredata dal pagamento della sanzione.
La Fredditalia International s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a
due motivi.
Resiste l’Agenzia con controricorso, eccependo l’infondatezza del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata denunziata la violazione o falsa applicazione
dell’art. 8, 1°c., del d.lgs. n.471/97 e dell’art. 2, 8°c., del d.p.r. n.322/98,
avendo la Ctr erroneamente interpretato il predetto art. 8, nel senso della
obbligatorietà del pagamento delle sanzioni, anticipato o coevo alla
presentazione della dichiarazione integrativa, quale condizione necessaria per
la validità della dichiarazione integrativa.
Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo
oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla mancata valutazione
dell’irrogazione della sanzione per violazioni formali, a norma dell’art. 360,
1°c., n.5, c.p.c.
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo non può essere accolto.
Al riguardo, la Corte ritiene di dare continuità al consolidato orientamento
secondo cui, in tema di reddito d’impresa, all’esito delle modifiche retroattive
introdotte dall’art. 1, commi 301, 302 e 303 della legge n. 296 del 2006 e

del 10%, ai sensi dell’art. 8, comma 3bis del d.lgs. n.471/97, senza riprendere

prima di quelle di cui alla legge n. 208 del 2015, applicabili a decorrere dal
periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, la
separata indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi delle spese e degli
altri componenti negativi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con
fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi ” black list”) è un
mero obbligo formale, che non ne condiziona la deducibilità e la cui violazione

comma 3 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, da cumulare, per le sole violazioni
anteriori all’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, con la sanzione di cui
al medesimo art. 8, comma 1, a ciò non ostando la presentazione della
dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998,
ove operata dal contribuente dopo l’avvio dei controlli (Cass., n. 11933/16; n.
5085/17).
In particolare, la giurisprudenza della Corte è granitica nel ritenere che dopo la
contestazione della violazione è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione,
essendo indubbio che, ove fosse possibile procedere alla correzione della
dichiarazione dei redditi sino al momento dell’accertamento definitivo del
maggior reddito, la correzione stessa cesserebbe di essere un rimedio
accordato dal legislatore per ovviare ad un errore del contribuente per
trasformarsi in un mezzo elusivo delle sanzioni predisposte dal legislatore per
l’inosservanza delle disposizioni relative alla compilazione delle dichiarazioni dei
redditi (Cass., n. 5398/12; n.20081/14; n. 2612/2015; n. 4030/2015).
Inoltre, la Corte ritiene di ribadire che l’ammissibilità della possibilità di
emenda ex post allo stesso accesso, ispezione, verifica e quant’altro si
porrebbe in manifesto contrasto oltre che con il principio di effettività della
sanzione (venendo ad elidere lo stesso esercizio del jus puniendi della P.A.)
anche con i principi di efficienza e buon andamento della Amministrazione
finanziaria ex art. 97 Cost., in quanto verrebbe a vanificare le attività ispettive
e di controllo svolte dagli uffici finanziari, demandando al contribuente la scelta
di evidenziare o meno nella dichiarazione fiscale i costi relativi ad operazioni
indicate dal Legislatore come altamente sospette in relazione alla tipologia dei
soggetti esteri con le quali vengono intrattenute, consentendo di sanare ex

espone il contribuente unicamente alla sanzione amministrativa ex art. 8,

post la “irregolarità” mediante presentazione di una dichiarazione integrativa,
secundum eventum inspectionis con evidenti effetti pregiudizievoli sullo scopo
antielusivo della norma e sulla stessa efficacia dei controlli (Cass., n.
14999/15).
Nel caso concreto, non è dubbio ed è incontestato che la società ricorrente
presentò la dichiarazione integrativa, di cui all’art. 2, comma 8, del d.p.r. n.

soggetti residenti in paesi a fiscalità privilegiata- solo nel corso della verifica
fiscale; ne consegue, per quanto esposto, che tale dichiarazione sia da
considerare inefficace in ordine alla regolarizzazione dell’omissione, non
precludendo l’applicazione della suddetta sanzione.
Va altresì rilevato che è del tutto irrilevante, non giovando alla tesi sostenuta
dalla parte ricorrente, il fatto che l’ufficio non abbia ripreso a tassazione i costi
delle operazioni commerciali realizzate con soggetti operanti nei paesi a
fiscalità privilegiata, riconoscendo la deducibilità degli stessi costi, in quanto il
richiamato orientamento costante della Corte ha ritenuto che la mera tardiva
dichiarazione integrativa, nel corso della verifica o degli accessi dell’ufficio,
integri una violazione legittimante la sanzione applicata.
Il secondo motivo è inammissibile per due profili.
Anzitutto, la questione della tipologia di sanzione applicabile non ha costituito
oggetto del giudizio d’appello, considerando che il contribuente impugnò l’atto
di contestazione delle sanzioni unicamente sulla base della regolarità della
dichiarazione integrativa, come si evince dalla sentenza della Ctr; inoltre, la
società ha erroneamente censurato la sentenza d’appello deducendo il vizio di
cui all’art. 360, n.5, c.p.c., pur avendo lamentato esclusivamente l’omesso
esame della questione dell’applicabilità della sanzione in misura fissa, di cui
all’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 471/97.
Al riguardo, secondo il consolidato orientamento della Corte, l’art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal
d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio”
ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico –

322/98- sanando così l’omessa indicazione delle operazioni intercorse con

naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”
che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle
censure irritualmente formulate (Cass., n. 21152/14; n. 17761/16).
Nella fattispecie, la società ricorrente ha dedotto l’omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio, ma rappresentando, in sostanza, non un fatto
naturalistico o circostanza in senso storico, ma una mera questione di diritto

tardiva presentazione della dichiarazione integrativa, in corso di verifica.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando la parte ricorrente al pagamento, in
favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che
liquida nella somma di euro 3300,00 per compensi, oltre le spese prenotate a
debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente
principale, dell’ulteriore importo a titolo del contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale, a norma del comma lbis dello stesso articolo
13
Così deciso nella camera di consiglio dell’Il ottobre 2017.

afferente alla corretta applicazione della tipologia di sanzione conseguente alla

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