Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2386 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. III, 03/02/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 03/02/2021), n.2386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28317/2019 proposto da:

B.O., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE UNIVERSITA’

11, presso lo studio dell’avvocato EMILIANO BENZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRA BALLERINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 433/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 21/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. B.O., proveniente dall'(OMISSIS), ricorre affidandosi a tre motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Genova che aveva confermato la pronuncia di rigetto della domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, in ragione del diniego a lui opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere stato costretto a lasciare il proprio paese in quanto rischiava di essere ingiustamente arrestato ed incarcerato perchè renitente alla leva.

Ha aggiunto che arrivato in Italia si era ricongiunto con la madre, con la sorella e da, ultimo, con la fidanzata con la quale, di recente, aveva contratto matrimonio.

2. La parte intimata non si è difesa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’erronea, contraddittoria e carente motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello stato di rifugiato.

1.1. Lamenta altresì che la Corte era incorsa:

a. in error in procedendo, non avendo adempiuto al dovere officioso di cooperazione istruttoria;

b. in violazione di legge ed errata e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2008, artt. 7 e segg..

2. Con il secondo motivo, lamenta l’erronea, contraddittoria e carente motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla valutazione della mancata sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, nonchè l’error in procedendo per la mancata istruttoria d’ufficio.

Deduce anche la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14.

3. Con il terzo motivo, si duole altresì della violazione dell’art. 2 Cost. ed art. 11 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni unite del 1966, nonchè della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 32, nonchè dell’art. 19 TU Immigrazione e l’omesso esame della censura riguardante l’omesso rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

4. Il primo motivo è inammissibile.

4.1. Con esso il ricorrente “impugna e contesta” il provvedimento del Tribunale nella parte in cui aveva escluso che la punizione del reato di diserzione rappresentasse una forma di persecuzione e fosse riconducibile ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

4.2. Assume che la Corte aveva ignorato che in caso di rientro in patria egli era esposto al rischio di essere processato e condannato come disertore e renitente alla leva; che sarebbe stato costretto a svolgere lavori forzati e che era noto che migliaia di uomini in Ucraina, per tale ragione, erano stati sottoposti a processo con conseguente condanna.

4.3. Il percorso argomentativo del ricorrente, oltre ad essere intrinsecamente generico in ordine alla “protezione maggiore” invocata, risulta incoerente con la decisione impugnata, in quanto omette di considerare che la valutazione della Corte era fondata sul presupposto che il suo racconto non era credibile: tale statuzione di inattendibilità – che viene riferita ad alcune contraddizioni riscontrate dalla Corte (ed ancor prima dal Tribunale) nella sua narrazione e che poteva essere sindacato con riferimento alla violazione del paradigma valutativo prescritto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 – non è stata affatto censurata, ragione per cui il motivo non risulta centrato sulla ratio decidendi della pronuncia impugnata (cfr. Cass. 19989/2017).

4.4. Al riguardo, è stato affermato il principio, condiviso dal collegio, secondo il quale “ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza” (cfr. Cass. 9752/2017; Cass. 18119/2020).

5. Anche il secondo motivo è inammissibile in ragione degli stessi principi sopra richiamati.

5.1. La Corte, infatti, dopo essersi riferita – per l’accertamento delle condizioni di rischio di minaccia grave alla vita o alla sua persona – al report di Amnesty International dal quale emergevano effettivamente che, a causa della diserzione, molti cittadini ucraini erano stati incarcerati “con gravi abusi commessi dalle forze separatiste e pro Kiev” (cfr. pag. 20 e 21 della sentenza impugnata) ha escluso che il ricorrente corresse detto rischio in quanto egli “viveva centinaia di chilometri lontano dalla zona del fronte e quindi non era esposto a nessuno dei pericoli a cui erano esposti gli abitanti del Donbass” (cfr. pag. 25 della sentenza).

5.2. Tale statuizione – che costituisce la vera ratio decidendi della sentenza impugnata in punto di protezione sussidiaria – non è stata oggetto di censura, in quanto il ricorrente si è limitato a sottolineare che dal report della medesima fonte informativa utilizzata dalla Corte, ma risalente al 2016 (dalla quale, peraltro, emergevano le medesime informazioni riportate nella sentenza) doveva ritenersi che ricorressero i presupposti della protezione sussidiaria.

5.3. In tale modo la censura risulta eccentrica rispetto alle ragioni del rigetto.

6. Il terzo motivo, invece, è fondato.

6.1. Il ricorrente, infatti, lamenta l’omesso svolgimento del giudizio di comparazione: assume che la Corte, da una parte, aveva escluso la sua vulnerabilità, riconducendola esclusivamente alla assenza di problemi di natura economica (per il fatto di aver dichiarato di essere, in patria, benestante e di svolgere l’attività di fotografo), e, dall’altra, non aveva considerato la sua integrazione (fondata sulle circostanze che egli si trovava in Italia dal 2014 e si era ricongiunto alla sua famiglia di origine oltre ad essere convolato a nozze con la sua fidanzata) nè la condizione di rischio in cui si sarebbe trovato, rientrando in Ucraina come disertore, dove la sua incolumità era a rischio.

6.2. Si osserva, al riguardo, che, escluso che per la fattispecie invocata possa assumere rilievo la valutazione di non credibilità del racconto espressa in relazione alle altre forme di protezione domandate, risulta del tutto carente il giudizio articolato dalla Corte in punto di protezione umanitaria: infatti, i giudici d’appello si sono limitati ad affermare, in ordine all’esame della fattispecie, che “nel caso in esame è lo stesso appellante che si è definito benestante davanti alla Commissione Territoriale nè risultano elementi di vulnerabilità, quali malattie, che giustifichino il riconoscimento della protezione umanitaria” (cfr. pag. 28 della sentenza impugnata).

6.3. Con tale unica argomentazione, non risulta che sia stato affatto considerato il livello di integrazione raggiunto rispetto alla sua situazione affettiva (ricongiungimento alla madre ed la sorella, nonchè il matrimonio recentemente contratto in Italia) in relazione alla quale le mere considerazioni di ordine economico – riferite ad una condizione oltretutto risalente nel tempo ed uniche ad escludere la sua vulnerabilità ed a sostenere il rigetto della domanda – risultano logicamente recessive all’interno del complessivo giudizio: e vale solo la pena di rilevare che nessuna argomentazione è stata spesa rispetto ai timori denunciati dal ricorrente per la sua incolumità nel caso di rimpatrio nel paese di origine dove, come dimostrato dalle C.O.I. richiamate anche dalla stessa Corte (report di Amnesty International: cfr. pag. 18 della sentenza impugnata), sussiste il concreto rischio di una lunga detenzione e di trattamento disumano e degradante per coloro che sono stati renitenti alla leva.

7. In conclusione, la sentenza deve essere, in parte qua, cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Genova che dovrà riesaminare la controversia alla luce dei seguenti principi di diritto:

“secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 4455/2018 e Cass. SU 29459/2019), in tema di protezione umanitaria, il giudice di merito deve compiere una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento alla tutela dei diritti fondamentali garantita nel Paese di origine (e di possibile rimpatrio), in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza che, tuttavia, non deve essere isolatamente ed astrattamente considerato; peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione della sua vulnerabilità e delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante l’adempimento del dovere istruttorio officioso, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione che il giudice di merito deve acquisire”.

La Corte di rinvio dovrà decidere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte;

accoglie il terzo motivo di ricorso; dichiara inammissibili i primi due. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia per il riesame della controversia alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

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