Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23858 del 25/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 25/09/2019), n.23858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

LARREDOPIU’ s.r.l., in liquidazione, in persona del liquidatore e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, via della Scrofa n. 57 presso lo studio dell’Avv. Giuseppe

Russo Corvace che la rappresenta e difende unitamente all’Avv.

Vincenzo Cinque per procura a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore generale pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 37/1/13 della Commissione Tributaria Regionale

del Friuli Venezia Giulia, depositata il 5.2.2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12.06.2019 dal Consigliere Dott. Crucitti Roberta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Salzano Francesco che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per la ricorrente l’Avv. Giuseppe Russo Corvace;

udito per la controricorrente l’Avv. Giammario Rocchitta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nella controversia originata dall’impugnazione da parte della Larredopiù s.r.l., in liquidazione, di avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva contestato, ai fini dell’ires, irap e iva anno 2006, violazioni formali e sostanziali di obblighi relativi alla contabilità nonchè l’omessa contabilizzazione di ricavi e di costi non documentati, la Società contribuente, in persona del liquidatore pro tempore, propone ricorso, su cinque motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che ha depositato atto al fine dell’eventuale partecipazione alla pubblica udienza) avverso la sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia (d’ora in poi C.T.R.) ne aveva rigettato l’appello, proposto avverso la decisione di primo grado che aveva confermato l’atto impositivo e rideterminato le sanzioni, assegnandole un termine entro il quale definire la sanzione nella misura ridotta con la sentenza della Commissione tributaria di prima istanza.

Il Giudice di appello, a fondamento della decisione, ha ritenuto:

-in ordine ai motivi di appello concernenti la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di notifica, omessa motivazione e insussistenza dei presupposti di legge per la rettifica del reddito e del volume di affari, che la decisione di primo grado fosse corretta e condivisibile, in quanto il messo conciliatore era stato debitamente autorizzato, l’atto impositivo era congruamente motivato e che, a fronte delle precise e argomentate contestazioni riportate nell’avviso di accertamento, la difesa della contribuente si era limitata a deduzioni generiche e teoriche;

-in ordine alla sostenuta illegittimità parziale della rettifica di una somma per il mancato scorporo dell’IVA che gli importi, incassati in nero, erano, comunque, al netto di IVA, per non esservi stato alcun versamento all’Erario;

-che andava accolta la richiesta dell’Ufficio in ordine alla fissazione di un termine per la definizione della sanzione nella misura ridotta dal primo Giudice.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, rubricato sub A), la Società deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’illegittimità della sentenza impugnata per omessa motivazione e per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. a), nella parte in cui la C.T.R. aveva immotivatamente ritenuto valida ed efficace la notifica dell’avviso di accertamento impugnato ancorchè effettuata da soggetto privo di legittimazione. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, l’ordine di servizio con il quale il messo era stato autorizzato a notificare gli atti, essendo mero atto interno, non legittimava il soggetto incaricato a svolgere l’attività notificatoria.

1.1. Il mezzo, nella parte in cui deduce un’omessa motivazione, è inammissibile applicandosi al ricorso (essendo stata la sentenza impugnata depositata il 18 marzo 2013) il nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il quale concerne unicamente “l’omesso esame di un fatto…”

D’altronde, la sentenza impugnata ha congruamente motivato rilevando che ” il messo speciale dell’Ufficio che ha effettuato la notifica è stato debitamente autorizzato dall’Ufficio stesso” onde si apprezza, neppure, la dedotta violazione di legge, laddove da un canto, appare evidente che la C.T.R. abbia ritenuto sussistente una formale autorizzazione e dall’altro, la ricorrente, con difetto di autosufficienza, non riproduce gli atti difensivi nei quali aveva svolto tale specifica contestazione (ovvero che l’ordine di servizio non costituisse autorizzazione ai sensi dell’invocato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. a).

2 Con il secondo motivo, rubricato sub B), si deduce l’illegittimità della sentenza con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per contraddittoria ed omessa motivazione dell’avviso di accertamento impugnato e per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 e della L. n. 241 del 1990, art. 3.

2.1. Anche tale mezzo si appalesa inammissibile per le ragioni già svolte nel primo motivo sia con riguardo alla dedotta insufficienza motivazionale che in ordine alla carenza di autosufficienza che non consente a questa Corte di escludere la novità della questione sollevata. Peraltro, non si comprende, nè la ricorrente lo spiega, in quale modo l’avere l’atto impositivo recepito solo parzialmente le risultanze del p.v.c. venga a integrare, con violazione delle norme di legge invocate, un difetto di motivazione dello stesso avviso di accertamento impugnato (peraltro, neppure, ritrascritto in seno al ricorso come sancito, a pena di inammissibilità da Cass.n. 9536 del 19/04/2013; id.n. 2928 del 13/02/2015).

3. Con il terzo motivo, rubricato sub B), si deduce l’illegittimità della sentenza impugnata con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, sotto il profilo dell’insussistenza -anche in relazione all’art. 2697 c.c.- dei presupposti di legge per procedere alla rettifica del reddito di impresa e del volume di affari dichiarato.

3.1. Il mezzo d’impugnazione è inammissibile non attingendo la ratio decidendi della sentenza impugnata e per difetto di specificità. La ricorrente, infatti, pur esponendo che la C.T.R. aveva ritenuto che agli elementi forniti dall’Amministrazione finanziaria la contribuente aveva contrapposto difese generiche, e non sufficientemente provate, non censura specificamente tale argomentazione, svolta dal Giudice di appello, ma, prospettando una violazione di legge, si limita a affermare genericamente di avere ricostruito in maniera puntuale e dettagliata i rilievi in contestazione fornendo esattamente (salve rare eccezioni per mancata reperibilità della pratica) importi, modalità di consegna delle merci e pagamento. Per altro verso, la ricorrente contesta come la Commissione regionale non abbia tenuto conto della congruità agli studi di settore ma tale questione, nella assoluta carenza di autosufficienza sul punto del ricorso, sembra essere nuova e mai affrontata nei gradi di merito. Infine, la ricorrente si duole che la C.T.R. abbia, di fatto, ritenuto che “una (forse) temporalmente inesatta contabilizzazione possa in realtà celare un’omissione dichiarativa nella fattispecie insussistente, in piena violazione dell’art. 2697 c.c. difettando il presupposto legittimante l’accertamento e la rettifica…” senz’altro specificare, laddove di contro, per la giurisprudenza di questa Corte (Cass.n. 24298 del 29/11/2016) “il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata”. In definitiva e, in conclusione, la censura, nei termini in cui è formulata, propone inammissibilmente un riesame, nel merito, in ordine all’asserita correttezza della contabilità diverso rispetto all’accertamento in fatto compiuto dal Giudice di appello.

4 Con il quarto motivo di ricorso, rubricato sub D), si deduce l’illegittimità della sentenza impugnata con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 108 TUIR, comma 2, sotto il profilo della contestata indeducibilità (ai fini delle imposte dei redditi) di costi (spese varie) ritenuti non inerenti all’esercizio d’impresa, per complessivi Euro 7.584,80, per indebita qualificazione come spese di rappresentanza di costi e oneri (di pubblicità e di pernottamento) che, in quanto direttamente correlati ai ricavi, assumono natura di spese inerenti all’attività esercitata e quindi, in quanto tali, integralmente deducibili nell’esercizio di sostenimento.

4.1 Sul punto la C.T.R. aveva motivato rilevando come, a fronte di ben precise e argomentate contestazioni riportate nell’impugnato avviso di accertamento (quali ad esempio alle pagine da 5 a 8) in cui l’Ufficio perviene alla determinazione di ritenere l’ammontare di Euro 7.584,80 spese indeducibili, la difesa della contribuente avesse contrastato, in via del tutto generica e teorica, detto rilievo.(riporta mere indicazioni generiche senza allegare le richiamate fatture, già contestate dall’Ufficio come prive di indicazioni ai fini della loro considerazione nel senso invocato dalla contribuente).

4.2 Con il mezzo di impugnazione la ricorrente deduce che tutti i costi sarebbero stati ampiamente documentati, a mezzo di fatture di acquisto indicanti il prodotto e il quantitativo, richiamando genericamente un’unica fattura assertivamente riguardante l’acquisto di panettoni per il periodo natalizio quali omaggi alla clientela ed ai fornitori. Illustra, poi, la normativa di riferimento in tema di spese di pubblicità e propaganda/ concludendo per la declaratoria di illegittimità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 108 TUIR, comma 2, sotto il profilo della contestata indeducibilità di costi (spese varie) ritenuti non inerenti all’esercizio d’impresa.

4.3 Anche tale censura va incontro alla sanzione d’inammissibilità. Come nei precedenti motivi d’impugnazione, la ricorrente non contrasta efficacemente l’effettiva ratio decidendi del capo di sentenza oggetto di impugnazione, ovvero la mancata dimostrazione da parte della contribuente dell’effettività e della concreta natura (prima ancora della loro inerenza) dei costi ritenuti, dall’Ufficio prima e dai Giudici di merito poi, insufficientemente documentati. Sotto l’egida della violazione di legge si propone, infatti, un diverso accertamento in fatto rispetto a quello effettuato dalla C.T.R., peraltro genericamente e senza concrete allegazioni.

5 Con il quinto motivo, rubricato sub C), la ricorrente deduce l’illegittimità della sentenza impugnata con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per contraddittoria, insufficiente ed erronea motivazione nella parte in cui il Giudice di appello aveva ritenuto che gli importi incassati fossero, comunque, da ritenersi al netto IVA per non esservi stato alcun versamento all’erario dell’imposta relativa.

5.1 La censura è inammissibile. Per come già sopra rilevato, la sentenza impugnata è stata pubblicata nel marzo 2013 con conseguente applicabilità del nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 7.4.2014 n. 8053) hanno, infatti, statuito che “le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62 non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito” e che “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

5.2 Nel caso in esame, con il mezzo, non si individua alcun “fatto storico” il cui esame sarebbe stato omesso dalla C.T.R..

6. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente, soccombente, va condannata alla refusione, in favore dell’Agenzia delle entrate, intervenuta alla pubblica udienza, delle spese processuali, nella misura liquidata in dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile;

condanna la ricorrente alla refusione, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 3.500,00 oltre spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 25 settembre 2019

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