Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23856 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. I, 29/10/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 29/10/2020), n.23856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11879/2019 proposto da:

A.K., elettivamente domiciliato in Roma presso la

CANCELLERIA civile della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE e rappresentato

e difeso dall’avvocato Andrea Maestri, in forza di procura speciale

in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 3261/2019 del Tribunale di ANCONA,

depositato l’11/3/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 da Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona, con decreto n. cronol. 3261/2019, ha respinto la richiesta di A.K., cittadino della (OMISSIS), a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che: la storia personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a fuggire da tentativi di affiliazione forzata da parte degli aderenti alla setta degli (OMISSIS)) non era credibile, per contraddizioni ed incoerenze interne; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, la Nigeria non era interessata da situazione di violenza indiscriminata (come si evinceva dai siti UNHCR ed EASO Human Rights Watch, Africa Intelligence ed Africa Confidential); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero nè un serio percorso di integrazione in Italia.

Avverso il suddetto decreto, A.K. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, art. 33 Convenzione di Ginevra del 1951, in relazione al diniego di protezione umanitaria, non essendo stata vagliata la situazione della Libia, ove si compiono gravi violazioni dei più elementari diritti umani, Paese in cui il richiedente è transitato; b) con il secondo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione sempre al diniego di protezione umanitaria, malgrado l’insicurezza del Paese d’origine ed il processo di integrazione avviato in Italia.

2. Le censure, da trattare unitariamente, in quanto connesse, sono infondate.

Anzitutto, il Tribunale, in riferimento al vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, dedotto con il secondo motivo, ha esaminato la situazione del Paese d’origine, alla luce di fonti internazionali specificate, rilevando che non emergeva in detto Paese d’origine uno stato di violenza indiscriminata.

Il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di acquisire informazioni sulla situazione grave di insicurezza interna in Nigeria, senza spiegare neppure l’incidenza di tali fatti nella fattispecie in esame.

Il Tribunale, si ribadisce, ha attivato l’obbligo di cooperazione istruttoria, anche indicando le fonti informative consultate.

Quanto, invece, all’esame della situazione nel Paese di transito (la Libia), questa Corte (Cass. 31676/2018) ha già chiarito che “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese”.

Il ricorrente si è limitato a dedurre di essere transitato in Libia, ove avrebbe soggiornato per mesi, Paese in cui vengono violati i più elementari diritti umani, e che ciò implicava l’obbligo per il Tribunale di accertare le condizioni in cui versa tale Paese di transito.

In riferimento poi al percorso di integrazione avviato in Italia, basta rilevare che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria” (Cass. S.U. nn. 29459 e 29460/2019).

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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