Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23855 del 15/11/2011

Cassazione civile sez. II, 15/11/2011, (ud. 04/10/2011, dep. 15/11/2011), n.23855

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.T. (OMISSIS), V.C. (OMISSIS),

V.L. (OMISSIS), V.A.

(OMISSIS), VE.CI. (OMISSIS), F.

A. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA ORESTE TOMMASINI 20, presso lo studio dell’avvocato SALAZAR

MICHELE, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

S.P. (OMISSIS) difeso ex art. 86 c.p.c.,

S.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliati

in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato RIMATO

ALESSANDRO, rappresentati e difesi dagli avvocati SALVATORE PIETRO,

TORRI ACHILLE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1058/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 21/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito l’Avvocato D’ANNUNZIO Eugenio, con delega depositata in udienza

dell’avv.to SALAZAR Michele, difensore dei ricorrenti che si riporta

agli atti e si oppone all’istanza di riunione presentata

dall’Avvocato SALVATORE;

udito l’Avvocato SALVATORE PIETRO, difensore dei resistenti che si

riporta agli atti e chiede l’inammissibilità del ricorso;

udito il P.M. in persomi del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per inammissibilità

dell’istanza di riunione rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 3/8/1987 C.G. e i figli S.P. e S.A., esponevano che Ve.

C., Ve.Co., V.T. e V.V. avevano ottenuto tutela possessoria in ordine al possesso di alcuni terreni di proprietà di essi attori e, agendo in petitorio, chiedevano di essere dichiarati esclusivi proprietari dei terreni già oggetto del giudizio possessorio (attualmente restano in contestazione solo i terreni di cui alle particelle 159 e 155 del foglio 14 del catasto terreni del Comune di S. Vito Chetino).

Si costituivano Ve.Ci., V.T., V.E. e V.C. che spiegavano domanda riconvenzionale per sentirsi riconoscere cornproprietari, unitamente agli attori, dei terreni di cui alle particelle 159 e 155, in subordine anche per intervenuta usucapione. La causa era istruita con le prove per testi e per interrogatorio di alcuni convenuti,con l’acquisizione del fascicolo del procedimento di A.T.P. e con una C.T.U. sullo stato dei luoghi.

Con sentenza del 7/1/2000 il Tribunale di Lanciano in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale dichiarava i convenuti che l’avevano proposta comproprietari, per usucapione, dell’area in contestazione.

S.P. e S.A. (che in primo grado si erano costituiti quali eredi di C.G. per la prosecuzione del giudizio) proponevano appello; si costituivano gli appellati Ve.Ci., T., L., A., C. e F.A. (attori in riconvenzionale) chiedendo la conferma della sentenza appellata.

La Corte di Appello di L’Aquila con sentenza del 21/12/2004, premesso che l’oggetto del contendere era ormai limitato all’accertamento della usucapione della comproprietà sulle particelle 155 e 159, escludeva che l’uso (per come provato) del terreno da parte degli attori in riconvenzionale integrasse un possesso utile per l’acquisto per usucapione della comproprietà e di conseguenza, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’esclusiva proprietà degli attori principali sul terreno in contestazione. La Corte territoriale rilevava che:

– il comprovato uso collettivo (da parte degli abitanti della contrada) poteva essere utile per il riconoscimento di uno ius in re aliena e non di un diritto di comproprietà occorrendo da parte di chi lo rivendicava, la prova di atti e comportamenti costituenti estrinsecazione di quel diritto;

la prova di avere transitato sul terreno in contestazione avrebbe potuto essere utile a provare l’usucapione di una servitù di passaggio, ma non della comproprietà;

non poteva essere considerato estrinsecazione del diritto di proprietà l’attività sporadica di pulizia dell’area, per giunta smentita da una pluralità di testi che attribuivano tale attività agli appellanti;

il deposito sull’area, da parte degli attori in riconvenzionale, di attrezzi e prodotti agricoli costituiva, come riferito dai testi di parte attrice, attività sporadica e occasionale, così che neppure tale attività poteva essere considerata estrinsecazione dell’animus rem sibi habendi;

il presunto possesso si esercitava solo nella stagione invernale mentre nell’estiva l’area era nella esclusiva disponibilità degli attori e quindi doveva escludersi un unico ininterrotto compossesso.

Ve.Ci., T., L., A., C. e F. A. propongono ricorso per cassazione fondato su due motivi;

il loro difensore ha depositato istanza di riunione del presente procedimento al procedimento promosso con ricorso per Cassazione notificato il 26/5/2001 S.A. e S.P. resistono con controricorso illustrato con memoria; il loro difensore ha depositato istanza di riunione con il procedimento n. R.G. 16309/05 asseritamente connesso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’istanza di riunione è inammissibile in quanto manca completamente ogni allegazione atta a valutare, in concreto, la ragione della riunione.

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. e con il secondo motivo il vizio di motivazione.

Entrambi i motivi possono essere esposti ed esaminati congiuntamente essendo reciprocamente collegati: le violazioni denunciate discendono, secondo l’esposizione dei ricorrenti dalla ritenuta errata o mancata valutazione del materiale probatorio.

Nel primo motivo i ricorrenti riportano stralci delle deposizioni testimoniali dei propri testi, relative al transito e all’uso dell’aia (per deposito materiali, legname, grano fieno, per effettuare la trebbiatura del grano) da parte dei V. in compossesso con i S. che utilizzavano l’aia quasi esclusivamente nella stagione estiva.

Nel secondo motivo si censura la (pretesa) mancanza di motivazione in ordine alla decisione di non tenere conto delle deposizione dei testi di parte V., la mancata indicazione delle fonti dalle quali la Corte territoriale ha tratto il proprio convincimento, la mancanza di motivazione in ordine alla decisione di non utilizzare provvedimenti, argomenti e circostanze risultanti dalle sentenze rese in sede possessoria.

2. Il motivo di ricorso per cassazione con il quale viene mossa censura per vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (e tale censura costituisce il fondamento di entrambi i motivi) deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi.

Come ripetutamente affermato da questa Corte, tale motivo non può, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte. In particolare, non può essere proposto un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi della norma in esame, giacchè, diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, e cioè di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità (cfr. ex plurimis Cass. 6288/2011; Cass. 10657/2010, Cass. 2712/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 6064/2008). Nel caso in questione, la Corte ha adeguatamente e compiutamente motivato su tutte le questioni indicate. Non si evidenziano carenze o lacune nelle argomentazioni ovvero elementi di illogicità consistenti nell’attribuire agli elementi emersi in giudizio un significato fuori dal senso comune, o mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte e quindi un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e un insanabile contrasto degli stessi. Infatti, la Corte territoriale, con riferimento alla prova del possesso dell’aia in contestazione, proprio partendo dalle deposizioni dei testi degli attori in riconvenzionale (che, quindi, ha compiutamente valutato, indicando la fonte del proprio convincimento) non ha escluso che i V. utilizzassero l’aia ed anzi ha riconosciuto che vi transitavano abitualmente, che la utilizzavano occasionalmente per il deposito di attrezzi e prodotti agricoli, che quell’aia era stata in passato assoggettata ad un uso collettivo (perchè forniva lo spazio necessario per la trebbiatura, e per altri lavori agricoli, i bambini vi giocavano, le donne vi stendevano i panni) da parte degli abitanti della contrada.

Tuttavia il giudice di appello ha correttamente rilevato che tali elementi di fatto non potevano essere valutati come estrinsecazione di un “animus rem sibi habendi”, ossia della volontà di comportarsi e farsi considerare proprietario del bene, nè come estrinsecazione del dominio del proprietario perchè:

– l’uso collettivo poteva al più collegarsi ad uno ius in re aliena, ma non era estrinsecazione di un diritto di proprietà;

l’affermazione è corretta e, d’altra parte, proprio la circostanza che la collettività utilizzasse l’area esclude che i V. potessero considerarsene proprietari; nè può assumere rilevanza la circostanza che i V. utilizzassero l’aia più degli altri vicini (v. stralcio della testimonianza di V.G., riportata a pagina 8 del ricorso);

– l’abituale transito sul terreno poteva semmai dimostrare l’usucapione della servitù di passaggio, ma non della proprietà;

anche questo passaggio motivazionale non è nè illogico nè contraddittorio;

l’utilizzo dell’area per deposito di attrezzi e prodotti agricoli che i testi di parte attrice avevano definito sporadici e occasionali, in mancanza di altri riscontri non poteva essere considerato come la manifestazione della volontà di considerarsi e di farsi considerare proprietario.

In questo quadro probatorio il giudice di appello, richiamando testimonianze, ha altresì valorizzato la circostanza che i proprietari e non i V. provvedevano alla pulizia dell’area con caratteristiche di abitualità e che il presunto possesso dei V. si esercitava solo nella stagione invernale, mentre in quella estiva l’area era nella piena ed esclusiva disponibilità degli attori, così che difettava anche la continuità nel possesso.

Nè vale il richiamo dei ricorrenti alla giurisprudenza per la quale la continuità del possesso va posta in relazione con la destinazione del bene che ne forma oggetto e l’intermittenza dei relativi atti di godimento, quando rivestono carattere di normalità in relazione a detta destinazione, non esclude la persistenza del potere di fatto sulla cosa (Cass. 9238/2000; 4901/2003); in questo caso dagli atti risulta che il bene era semplicemente un’area scoperta e non si vede per quale motivo non avrebbe potuto essere utilizzata per deposito materiali anche nel periodo estivo, se non proprio perchè l’uso del bene non doveva collidere con la libera disponibilità che ne avevano i proprietari.

In conclusione il giudice di appello ha reso ampia e convincente motivazione della sua decisione e la circostanza che non abbia ritenuto di utilizzare provvedimenti, argomenti e circostanze acquisiti nel giudizio possessorio non assume rilevanza perchè i ricorrenti (pur gravati dell’onere probatorio relativo all’acquisto della proprietà per usucapione) non indicano in che modo e quali di questi elementi del giudizio possessorio non utilizzati possano avere rilevanza per contrastare il materiale probatorio come sopra valutato o per giustificarne una diversa valutazione.

Ne discende che non sussiste il denunciato vizio di motivazione, non sussiste la violazione delle regole di valutazione delle prove stabilite dall’art. 116 c.p.c. e non sussiste neppure la violazione dell’art. 1168 c.c., posto che, essendo stato correttamente escluso un possesso utile all’usucapione, l’art. 1168 c.c. non poteva trovare applicazione.

3. Pertanto il ricorso deve essere rigettato con la condanna dei ricorrenti alle spese di questo giudizio di Cassazione liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare a S.A. e S.P. le spese di questo giudizio di Cassazione che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2011

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