Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23855 del 11/10/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. lav., 11/10/2017, (ud. 16/05/2017, dep.11/10/2017),  n. 23855

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18878-2012 proposto da:

C.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

cancelleria della Corte di cassazione rappresentato e difeso

dall’Avvocato SALVATORE PAOLO GUARINO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CA.SI., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA VERBANO

26, presso la famiglia LOCCI-SARLI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ENZO GIUSEPPE MARIA SARLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 517/2011 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 15/12/2011 R.G.N. 1226/2006.

ORDINANZA pronunciata in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c..

Fatto

FATTO E DIRITTO

LA CORTE:

ESAMINATI gli atti e sentito il consigliere relatore dr. Federico De Gregorio;

RILEVATO che con sentenza n. 517 del 24 novembre – 15 dicembre 2011, notificata il 31 maggio 2012, la Corte di Appello di POTENZA pronunciando del gravame interposto da C.S. contro CA.Si., in parziale riforma della impugnata decisione, emessa dal locale giudice del lavoro il 26 aprile 2006, condannava l’appellante al pagamento, in favore dell’appellata (attrice in prime cure con l’atto del 26 gennaio 2001), della somma di 65.449,95 Euro, oltre accessori dal primo ottobre 2011 al saldo, compensando per due terzi le spese di lite, per la rimanenza poste a carico del C., a titolo di differenze retributive e di t.f.r., ritenendo che alla stregua delle acquisite emergenze processuali fosse provato il dedotto rapporto di lavoro alle dipendenze del convenuto C.S., e non già di suo figlio F.;

che C.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta pronuncia d’appello con atto del 27 luglio 2012, affidato ad un solo motivo, variamente articolato, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 115 nonchè 116 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, errata valutazione dell’istruttoria, motivazione insufficiente e contraddittoria circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè per omessa motivazione – error in procedendo, invocando il controllo di questa Corte sulle motivazioni della impugnata sentenza, rese in violazione dí norme di diritto positivo e processuale, risultando per altro verso insufficienti e contraddittori i motivi della sentenza che non consentivano l’identificazione del procedimento logico-giuridico della gravata decisione; che la CA. ha resistito all’impugnazione avversaria mediante controricorso in data sette, otto, 13 agosto 2012;

VISTI gli avvisi comunicati alle parti, nonchè al P.M. in sede per l’odierna udienza e rilevato che non risultano, rispettivamente, depositate memorie nè requisitoria;

CONSIDERATO:

che il ricorso va respinto, avuto riguardo alle corrette ed esaurienti argomentazioni logico-giuridiche svolte con l’impugnata sentenza, secondo cui alla stregua delle acquisite emergenze istruttorie risultava provato il dedotto rapporto di lavoro subordinato della CA. alle dipendenze di C.S., e non già del figlio di costui, F., non risultando dirimente la missiva di quest’ultimo in data 24 giugno 2005 (che sostituiva il padre titolare della ditta, ma affaticato dall’età, e quindi direttamente impegnato nella gestione dell’attività commerciale, come da deposizione testimoniale resa da D.N.), laddove per giunta nella memoria difensiva di costituzione del 5-9-2001 il resistente non aveva fatto alcun cenno ad attività commerciale esercitata dal figlio, mentre la lettera del 24-06-05 era addirittura posteriore all’esaurimento dell’attività istruttoria compiuta in primo grado, tenuto contro altresì delle risultanze testimoniali, dalle quali emergeva la presenza della C. nei locali della ditta di cui era titolare C.S., di vendita di biancheria, in vari periodi dal 1992 al 1998, nonchè di quanto verificato pure dagli ispettori della Direzione provinciale del lavoro di Potenza in sede di accertamento sul posto in data 31 marzo 1999, di guisa che risultava altresì applicabile in via parametrica ex art. 36 Cost. il c.c.n.l. commercio (quinto livello, non già 4, invece riconosciuto in primo grado), quantum accertato come da c.t.u. (senza computare quattordicesima, nè scatti di anzianità nè terzo elemento, ma riconoscendo l’indennità di contingenza);

che in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 6 civ. – L. 27 dicembre 2016, n. 27000. Cfr. parimenti Cass. 3 civ. n. 11892 del 10/06/2016: la violazione dell’art. 116 c.p.c. – norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale – è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime);

ritenuto, pertanto, che nella specie non si ravvisano gli estremi di legge per ritenere violate le disposizioni di cui ai succitati artt. 115 e 116, laddove poi quanto all’art. 2697 c.c. tale norma disciplina l’onere della prova e non attiene alle valutazioni di merito, desunte invece dagli ammessi ed espletati mezzi istruttori;

che è di tutta evidenza come, tanto con riguardo alle sopra indicate violazioni di legge quanto con riguardo al preteso malgoverno delle risultanze istruttorie, pur sotto un’intitolazione evocativa dei casi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, parte ricorrente non abbia rappresentato altro che mere questioni di merito, il cui esame è per definizione escluso in questa sede di legittimità;

che ogni altra censura ad ogni modo risulta prospettata pure in difformità da quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio”) ossia con riferimento ad un preciso accadimento o a una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure così irritualmente formulate;

che non sono pertanto sindacabili le motivazioni in base alle quali la Corte di merito ha giudicato in buona parte fondate le pretese creditorie azionate da CA.Si. nei confronti della convenuta parte datoriale, individuata nella persona di C.S. (sicchè alla stregua di quanto nel complesso specificamente accertato la Corte distrettuale ha ritenuto, evidentemente, del tutto irrilevante, la deposizione resa da C.F. in altro procedimento, intentato da suo padre contro l’INPS, laddove in effetti costui confermava l’anzidetta e già esaminata missiva del 24 giugno 2005, però di epoca alquanto posteriore anche espletamento della prova testimoniale nel primo grado di questo processo, laddove inoltre la Corte territoriale rilevava il contrasto pure con le risultanze della visura camerale in data 28-10-2002 per la ditta C.F. circa l’assenza di alcun lavoratore ad essa addetto – di conseguenza la missiva del 24 giugno 2005 non solo difettava del crisma della terzietà, ovverossia della provenienza da soggetto disinteressato, ma restava smentita dalla suddetta certificazione e della condotta processuale osservata da parte convenuta – cfr. del resto Cass. 1 civ. n. 14267 del 20/06/2006 ed altre di segno analogo, secondo cui in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità);

che, pertanto, a fronte degli anzidetti motivati accertamenti ed apprezzamenti, in punto di fatto (cfr. pure quanto osservato dai giudici dell’appello circa la mancata specifica contestazione da parte resistente riguardo all’allegata durata del rapporto, nonchè in ordine alla continuità della presenza e della correlativa prestazione, ed il minor credito accordato ai successivi accertamenti in data 15-06-2004 da parte della Direzione provinciale del lavoro rispetto a quelli espletati nell’immediatezza, a marzo 1999 etc.) non è ammissibile alcun sindacato in sede di legittimità da parte di questa Corte;

che, invero, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza, impugnata con ricorso per cassazione, conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di ontrollarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. sez. un. civ. n. 13045 del 27/12/1997). In particolare, alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 3 civ. n. 20322 del 20/10/2005, conformi Cass. n. 2222 e n. 12467 del 2003, n. 7073 del 28/03/2006, n. 12362 del 24/05/2006, n. 11039 del 12/05/2006, n. 6264 del 21/03/2006, n. 4001 del 23/02/2006, n. 1120 del 20/01/2006, nonchè n. 15805 del 28/07/2005, n. 11936 del 2003 e n. 15693 del 2004.

V. in senso analogo inoltre Cass. 1 civ. n. 1754 del 26/01/2007, Cass. lav. n. 15489 del g. 11/07/2007 conformi Cass. n. 91 del 07/01/2014, n. 5024 del 2012, n. 18119 del 02/07/2008, n. 23929 del 19/11/2007 – Cass. lav. n. 6288 del 18/03/2011, Cass. sez. un. civ. n. 24148 del 25/10/2013, Cass. 3 civ. n. 17037 del 20/08/2015, nonchè Cass. lav. n. 25608 del 14/11/2013 conforme Cass. n. 14973/ 2006);

che pertanto con il rigetto del ricorso la parte soccombente va condannata al rimborso delle relative spese.

PQM

 

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese, che liquida in complessivi 4000,00 (quattromila/00) Euro per compensi professionali ed in Euro =200,00= per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a., in favore della contro ricorrente.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA