Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23854 del 23/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 23/11/2016, (ud. 18/10/2016, dep. 23/11/2016), n.23854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOTTA Raffaele – Presidente –

Dott. ZOSO Liana M. T. – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1653-2011 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo

studio dell’avvocato FERNANDA MONETA MANTUANO, che lo rappresenta e

difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI LUCERA in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende;

– resistenti con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 205/2009 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

FOGGIA, depositata il 16/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/10/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il resistente l’Avvocato MARCHINI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS MARIELLA, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

V.G. propone otto motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 205/27/09 del 16 novembre 2009 con la quale la commissione tributaria regionale di Foggia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimi sia l’avviso di liquidazione per recupero di agevolazione non dovuta (imposta di registro ridotta, ex L. n. 153 del 1975, art. 12), sia il rigetto di istanza di rimborso (esenzione di imposta di registro, ipotecaria e catastale ex D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9, comma 2) emessi dall’agenzia delle entrate in relazione alla registrazione del decreto 8 aprile 2002 con il quale il tribunale di Lucera gli aveva trasferito, in esito ad aggiudicazione, terreni agricoli siti in territorio montano.

La commissione tributaria regionale ha ritenuto l’infondatezza dei ricorsi separatamente proposti avverso tali atti, e poi riuniti in corso di giudizio, atteso che il contribuente non aveva fornito la prova dei presupposti delle agevolazioni successivamente richieste; segnatamente, la propria qualità di coltivatore diretto.

L’agenzia delle entrate si è costituita al solo fine della discussione in udienza. Il V. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con il settimo motivo di ricorso – prioritario sul piano logico e giuridico, in quanto involgente la valida instaurazione dell’intero giudizio – il V. lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, artt. 102 e 354 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione; stante l’omessa integrazione del contraddittorio, in primo e secondo grado, nei confronti del concessionario esattore, quale litisconsorte necessario.

La censura è destituita di fondamento.

Va intanto osservato che essa è proposta mediante richiamo a due “vizi” ex art. 360 c.p.c. non pertinenti alla fattispecie, atteso che – da un lato – la lacuna contestata non attiene ad un difetto di natura motivazionale ex art. 360 c.p.c., n. 5) testè citato ma, a tutto concedere, ad una violazione di norme giuridiche; e che – dall’altro – tale violazione, avendo natura prettamente procedurale di instaurazione del giudizio e di integrazione del contraddittorio, potrebbe al più rilevare, non già sub n. 3) ma sub n. 4) art. 360 cit.. Ciò rende evidente la falsa prospettiva adottata dal ricorrente e, con essa, finanche l’inammissibilità della doglianza.

Ciò osservato, si rileva comunque come nessuno dei motivi di opposizione abbia riguardato vizi della procedura di esazione, dal momento che essi si incentrano invece, in via esclusiva, sulla affermata sussistenza dei presupposti sostanziali delle agevolazioni dedotte (anche in sede di rimborso) e, dunque, su un tipico profilo costitutivo della pretesa tributaria, facente come tale capo in via esclusiva all’enimpositore. Ne consegue che ad essere inaccoglibile è anche la tesi di parte ricorrente sul “fondo” della questione, non potendosi qui ravvisare un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra ente impositore (che ha regolarmente partecipato al giudizio in tutti i suoi gradi) ed ente concessionario.

Soccorre, in proposito, il principio secondo cui, nel processo tributario, il concessionario del servizio di riscossione è parte, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, quando oggetto della controversia è l’impugnazione di atti viziati da errori ad esso direttamente imputabili e, cioè, nel caso di vizi propri della cartella di pagamento e dell’avviso di mora (Cass. 5832/11 ed altre).

p. 2.1 Con i primi sei motivi di ricorso il V. lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9, L. n. 991 del 1952, art. 36, comma 2 e s.m., e D.P.R. n. 131 del 1986, art. 77, anche in relazione ai principi di legalità dell’azione tributaria e di razionalità dell’imposizione, come desumibili dagli artt. 44 e 53 Cost.. Lamenta inoltre, con riferimento agli articoli 112, 115 e 132 c.p.c., omessa pronuncia ovvero omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, rappresentato dalla sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi di agevolazione.

Ciò, in particolare, per avere la commissione tributaria regionale negato il suo diritto a fruire, tramite rimborso di quanto pagato in sede di registrazione dell’atto di trasferimento, della più ampia agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9; i cui presupposti (classificazione montana dei terreni acquistati; scopo di arrotondamento o accorpamento della proprietà diretto-coltivatrice perseguito con l’acquisto) dovevano ritenersi pacifici, anche perchè risultanti da apposita attestazione rilasciata, ex art. 36, comma 2 cit., dall’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste, prodotta in giudizio. Tale documentazione, per contro, non era stata presa in esame dalla commissione tributaria regionale, la quale aveva omesso ogni pronuncia su questo aspetto, dedotto nel ricorso (riunito) da lui proposto contro il diniego di rimborso. Diniego, quest’ultimo, che – in presenza della suddetta documentazione – doveva ritenersi altresì in contrasto con i principi di affidamento, collaborazione e buona fede risultanti dall’articolo 10 dello statuto del contribuente ex L. n. 212 del 2000.

p. 2.2 Si tratta di motivi suscettibili di considerazione unitaria, in quanto tutti basati sotto il profilo vuoi della violazione normativa sostanziale o processuale, vuoi della carente motivazione – sul mancato riconoscimento, da parte del giudice di merito, dei presupposti costitutivi dell’agevolazione.

Essi non possono trovare accoglimento.

La norma di riferimento dell’agevolazione in questione è rappresentata dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9, comma 2, secondo cui: “Nei territori montani di cui al precedente comma i trasferimenti di proprietà a qualsiasi titolo di fondi rustici, fatti a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto-coltivatrici, singole o associate, sono soggetti alle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e sono esenti dalle imposte catastali. Le stesse agevolazioni si applicano anche a favore delle cooperative agricole che conducono direttamente i terreni”.

L’interpretazione della norma fornita dalla commissione di merito deve ritenersi corretta, là dove tiene adeguatamente conto della ratio legis volta a favorire, in ambito montano, l’arrotondamento e l’accorpamento non di qualsivoglia proprietà fondiaria, ma unicamente di quella “diretto-coltivatrice”; espressione, quest’ultima, che sostituisce quella di “piccole proprietà coltivatrici” di cui alla L. n. 991 del 1952 art. 36 e ss.mm., introduttivo del beneficio nell’ordinamento.

Il richiamo alla proprietà “diretto-coltivatrice” – vieppiù avvalorato dal testuale richiamo legislativo alle cooperative agricole “che conducono direttamente i terreni” sottende l’obiettivo di favore perseguito dal legislatore fiscale nei confronti del coltivatore diretto (persona fisica, ovvero società agricola che abbia conseguito la qualifica – IAP – di imprenditore agricolo professionale: D.Lgs. n. 99 del 2004, art. 2, comma 4); e ciò nell’ambito di un più vasto e sistematico regime agevolativo e di vantaggio riconosciuto all’esercizio diretto dell’agricoltura.

Rientra, in definitiva, nella lettera e nella ratio della norma che, per fruire dell’agevolazione in questione, l’acquirente debba rivestire “in proprio” la qualità di coltivatore diretto (così: Cass. 8303/93; 14294/03; 1948/13; 22001/14).

Nel caso di specie, già il giudice di primo grado rigettò i ricorsi sul presupposto della ritenuta insussistenza in capo al V. della qualità di coltivatore diretto, come da motivazione argomentata sul punto.

La commissione tributaria regionale, nella sentenza qui impugnata, ha confermato questo ragionamento; riferibile ad entrambe le agevolazioni – ancorchè, in realtà, non alternativamente richiedibili – in quanto entrambe presupponenti la qualità di coltivatore diretto.

E’ stato infatti osservato che il contribuente non aveva fornito, nè offerto, “la benchè minima prova” di essere coltivatore diretto ai sensi della L. n. 153 del 1975, art. 12 (vigente ratione temporis); non era stato dimostrato, in particolare, che il suo “nucleo familiare, anche con l’aiuto di dipendenti, dedichi un terzo del proprio tempo alla coltivazione dei fondi, e che ricavi dall’attività agraria almeno due terzi del proprio reddito”.

Ha anzi aggiunto la commissione tributaria regionale come, nella concretezza della fattispecie, non solo il V. non avesse fornito la prova – posta a suo carico – di questo fondamentale presupposto integrativo dell’agevolazione, ma emergesse dagli atti addirittura la prova “positiva” della insussistenza di tale presupposto; dal momento che “pressochè incontrastata” era rimasta l’affermazione dell’ufficio secondo cui “il contribuente, nell’anno 2000, ha intrattenuto un rapporto di lavoro dipendente percependo un reddito di Lire 42.713.000, superiore a quello ricavato dall’attività agricola”.

Ora, i presenti motivi di ricorso non censurano specificamente questa ratio decidendi, perchè essi si soffermano – palesandosi, in ciò, inammissibili per difetto di attinenza alla decisione contrastata – sul diverso presupposto dell’idoneità alla funzione obiettiva di accorpamento-arrotondamento fondiario perseguita dai fondi acquistati ex art. 9 cit., nonchè dell’inserimento dei medesimi in territorio montano.

A ben vedere, questi requisiti – ancorchè attestati (ex L. n. 991 del 1952, art. 36, comma 2) dal certificato dell’Ispettorato Ripartimentale delle foreste prodotto in giudizio – non erano in grado di fornire la prova del diverso requisito (soggettivo) di coltivatore diretto sulla cui base è stata negata l’agevolazione richiesta.

E ciò spiega perchè la commissione tributaria regionale, rilevando la mancanza assorbente di un diverso requisito, non si sia soffermata sulla produzione documentale in questione; del resto non vincolante il giudice, perchè da questi liberamente apprezzabile.

Ciò posto, vanno al contempo escluse tanto la dedotta violazione normativa (risultando inconferente, tra il resto, il richiamo ai principi costituzionali in materia), quanto l’affermata carenza motivazionale.

Sotto quest’ultimo profilo va anzi osservato come, in presenza di congrua motivazione, sia precluso a questa corte di legittimità addivenire ad una diversa delibazione del quadro probatorio, e ad una differente considerazione delle valutazioni in fatto rese dal giudice di merito.

p. 3. Parimenti inaccoglibile è l’ottavo motivo di ricorso, con il quale il V. lamenta violazione e falsa applicazione di legge, nonchè difetto di motivazione, in ordine alla disciplina delle spese di lite; a lui accollate in ragione di una soccombenza che, sulla base delle censure rassegnate, non doveva in realtà essere ravvisata.

Si tratta infatti di censura puramente consequenziale all’auspicato accoglimento delle superiori doglianze; in difetto di che, non può non prendersi atto della correttezza giuridica con la quale la commissione tributaria regionale ha ritenuto di porre le spese del giudizio a carico del V., in applicazione della regola generale di soccombenza (integrale rigetto dell’appello da lui proposto).

Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016

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