Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23853 del 25/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 25/09/2019), n.23853

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9572/2013 R.G. proposto da:

R.I., rappresentato e difeso, giusta delega in calce al

ricorso, dall’avv. Angelo Ciavarella, con domicilio eletto presso lo

studio dell’avv. Rita Imbrioscia, in Roma, via Beethoven, n. 52;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore.

– intimata –

avverso la sentenza n. 98/5/12 della Commissione Tributaria regionale

della Lombardia depositata il 27 settembre 2012;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 maggio 2019

dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott. De Matteis Stanislao, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del secondo motivo del ricorso, con assorbimento dei

restanti motivi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di verifica fiscale eseguita nei confronti della ditta Hodara Utensili s.p.a., la Guardia di Finanza riscontrava nei registri contabili tre fatture relative all’anno 2004 emesse dalla ditta Stampa Inedita Edizione di Riviste e Periodici, di cui era titolare R.I..

Avendo la moglie del R., B.E., dichiarato che si trattava di fatture per operazioni inesistenti emesse in un periodo di particolare difficoltà e considerato che il R. non era stato in grado di esibire documentazione giustificativa utile alla ricostruzione del volume d’affari, l’Agenzia delle Entrate emetteva avvisi di accertamento, relativi agli anni d’imposta 2003 e 2004, ai fini del recupero a tassazione di maggiore imponibile ai fini IRPEF, IRAP ed I.V.A..

Proposti distinti ricorsi avverso gli avvisi di accertamento, la Commissione tributaria provinciale di Milano, previa riunione, li rigettava con sentenza che veniva appellata dinanzi alla Commissione tributaria regionale, la quale confermava la decisione di primo grado, motivando: ” Il Collegio giudicante è del parere che le dichiarazioni della moglie del ricorrente, la mancanza delle scritture contabili prescritte sono da considerarsi indizi attendibili sulla inesistenza delle operazioni fatturate e giustificano l’operato dell’Ufficio per quanto riguarda le contestazioni oggetto degli avvisi di accertamento”.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione R.I., affidandosi a cinque motivi.

L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa motivazione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4 e per violazione dell’art. 112 c.p.c., e lamenta che la Commissione regionale ha confermato la sentenza di primo grado senza dare ragione dei motivi che sorreggono il decisum.

Fa rilevare che le dichiarazioni rese da B.E., che era soggetto terzo rispetto al contribuente, aveva gestito di fatto l’azienda a causa delle continue assenze del titolare dovute a ragioni di salute e non era munita di delega a rappresentare il coniuge durante la verifica della Guardia di Finanza, riguardavano esclusivamente le fatture, presuntivamente riferite a operazioni inesistenti, emesse nei confronti della Hodara Utensili s.p.a., ma non i costi, risultanti dalle fatture dell’anno 2003, ritenuti non documentati, e il mancato riconoscimento della detrazione I.V.A. sugli acquisti riconosciuti esistenti dallo stesso Ufficio nell’avviso di accertamento.

2. Con il secondo motivo, denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, per avere i giudici di appello omesso di esaminare il motivo di gravame con il quale si eccepiva la nullità degli accertamenti perchè sottoscritti dal “Capo Team Integrato di controllo 3 R.E.”, in assenza di delega da parte del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

3. Con il terzo motivo, si deduce nullità, per omessa pronuncia, e per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, parte seconda, per avere la Commissione regionale omesso di prendere in esame i motivi di appello con i quali era stato eccepito il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, che richiamava il verbale redatto dalla Guardia di Finanza, mai prodotto in giudizio, e per non avere visionato la documentazione acquisita nel corso della verifica, ed in particolare le fatture, che documentavano i costi indicati in dichiarazione dei redditi ed il corretto esercizio del diritto alla detrazione dell’I.V.A. in relazione a detti costi.

4. Con il quarto motivo, denuncia nullità della sentenza, violazione dell’art. 112 c.p.c. e comunque violazione dell’art. 2697 c.c. e lamenta la mancanza di prova del maggior reddito accertato fondato esclusivamente su una presunta “percentuale di redditività media” del 12 per cento.

5. Con il quinto motivo, denuncia nuovamente nullità della sentenza e violazione degli artt. 18, comma 1, della VI Direttiva 388/1977, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 55 e dell’art. 112 c.p.c., per avere i giudici di secondo grado omesso di pronunciarsi sulla questione concernente la detraibilità dell’I.V.A. pagata ai fornitori per rivalsa sugli acquisti, sottolineando che, ai sensi dell’art. 18 della VI Direttiva, la fattura costituisce documento idoneo e sufficiente a consentire l’esercizio del diritto alla detrazione.

6. Il primo motivo è fondato, con assorbimento dei restanti motivi.

6.1. Questa Corte ha rilevato che “in tema di provvedimenti del giudice, ricorre il vizio di omessa pronuncia laddove il giudicante emetta una decisione sostanzialmente priva di argomenti coerenti, con una motivazione figurativa e meramente apparente” (Cass. n. 4882 del 11/3/2016) e tale deve ritenersi la motivazione della sentenza oggetto di gravame che non consente di conoscere l’iter logico-argomentativo e giuridico seguito dai giudici di merito e posto a fondamento della decisione.

Come chiarito dalle Sezioni Unite, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, n. 22232 del 03/11/2016).

Anche di recente le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che l’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, deve intendersi violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (Cass. Sez. U., n. 9279 del 3 aprile 2019).

6.2. Nel caso in esame i giudici d’appello, limitandosi a richiamare le dichiarazioni rese dalla moglie del ricorrente e la mancanza delle scritture contabili quali elementi indiziari idonei a far ritenere oggettivamente inesistenti le operazioni fatturate, hanno fornito una personale e non obiettiva valutazione della vicenda processuale, del tutto priva di qualsivoglia correlazione con tutte le risultanze della causa, alle quali non si fa alcun riferimento.

Il richiamo alle dichiarazioni rese dalla moglie del ricorrente ed alla irregolare tenuta delle scritture contabili è generico ed inidoneo a soddisfare quel contenuto “minimo costituzionale” che la motivazione deve avere per non incorrere nella violazione di legge, dovendo essa evidenziare gli elementi che giustifichino il convincimento del giudice e ne rendano possibile il controllo di legittimità (Cass. Sez. U., n. 8053 del 7/4/2014).

Infatti, le affermazioni poste a sostegno della motivazione, meramente assertive, non si confrontano con tutte le risultanze processuali e non tengono conto delle questioni sollevate dal contribuente con i motivi di gravame, per cui non è consentito a questa Corte effettuare un controllo sulla logicità e correttezza delle ragioni che hanno portato a ritenere la legittimità dell’accertamento e la fondatezza dei rilievi mossi dall’Amministrazione con gli atti impositivi.

Poichè dalla sentenza impugnata non risulta alcuna disamina dell’atto di impugnazione e delle ragioni del contribuente, nè emergono gli elementi che giustificano il convincimento del giudice, le caratteristiche appena descritte rendono la sentenza impugnata affetta da nullità, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto corredata da motivazione solo apparente, non espressione di un autonomo processo deliberativo.

La sentenza va, pertanto, cassata, in accoglimento della censura fatta valere con il primo mezzo di ricorso, con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà al riesame dei motivi di appello, oltre che alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 25 settembre 2019

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