Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2385 del 02/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 02/02/2010, (ud. 18/11/2009, dep. 02/02/2010), n.2385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 11894/2008 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 53,

presso lo studio dell’avvocato ALLEGRA ROBERTO, rappresentata e

difesa dall’avvocato NAVACH MASSIMO, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS, ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

rappresentante legale pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIANNICO GIUSEPPINA, VALENTE

NICOLA e RICCIO ALESSANDRO, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1038/2007 della CORTE D’APPELLO di BARI del

14/6/07, depositata il 05/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. TOFFOLI Saverio;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. PATRONE Ignazio.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione ex art. 380-bis c.p.c..

L’attuale ricorrente agiva con il procedimento monitorio nei confronti dell’Inps per conseguire il pagamento dei ratei maturati di una delle prestazione di invalidità civile (assegno mensile di invalidità, pensione di inabilità o indennità di accompagnamento), dopo l’esito positivo della visita da parte della competente commissione della USL. In sede di opposizione l’Inps eccepiva l’insussistenza del diritto poichè era ancora pendente la fase istruttoria del procedimento amministrativo, non essendo trascorso il termine di 180 giorni previsto dal D.P.R. n. 698 del 1994, art. 4.

La sentenza di rigetto della opposizione era appellata dall’istituto previdenziale, che faceva valere l’inesigibilità del credito e l’improponibilità della domanda nella pendenza del termine suindicato.

La Corte d’appello di Bari rigettava l’impugnazione e compensava le spese del grado.

Quanto al merito, la Corte territoriale dava atto che il combinato disposto del D.P.R. n. 698 del 1994, art. 3 e 4, modificati dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 130, comma 3, concedeva all’amministrazione, come rilevato da Cass. n. 5201/2001, uno spatium deliberandi composto di due fasi, la prima di nove mesi per l’accertamento del requisito sanitario e uno ulteriore di sei mesi (rectius 180 giorni) per la concessione e l’erogazione del beneficio da parte dell’Inps, oltre a periodi eventuali di ulteriori due mesi di sospensione di ciascuna fase e un lasso di tempo non predeterminato per la trasmissione degli atti dalle commissioni mediche all’Inps. Secondo l’impostazione del giudice d’appello, la complessità e particolare durata di tale procedimento faceva sorgere il problema del coordinamento della relativa normativa con il termine di 120 giorni, decorrente dalla richiesta, fissato dalla L. n. 533 del 1973, art. 7 per la formazione del silenzio rifiuto sull’istanza presentata agli istituti assistenziali e previdenziali, e con il termine di 180 giorni “avente uguale decorrenza”, previsto dall’art. 443, comma 1, ai fini della procedibilità della domanda giudiziaria.

Ricordato che la prima questione era stata risolta dalla giurisprudenza di cassazione ai soli fini della decorrenza degli accessori, nel senso della rilevanza dello spirare del richiamato termine di 120 giorni (Cass., sent. cit.), riteneva che nella specie il tema della controversia fosse costituito dalla questione della rilevanza o meno della pendenza del termine di 180 giorni D.P.R. n. 698 del 1994, ex art. 4 ai fini della procedibilità della domanda e riteneva che esigenze di contemperamento dell’interesse degli invalidi con le esigenze dell’amministrazione, analoghe a quella prese in considerazione da Cass. n. 5201/2001 a proposito della decorrenza degli accessori, inducevano a ritenere che la domanda dovesse ritenersi procedibile dopo il decorso del termine di 180 giorni dalla domanda, la quale ultima andava identificata con la stessa domanda rilevante ai fini del termine di 120 giorni (e quindi, evidentemente, con la domanda di prestazione). Tale temine era decorso nella specie al momento della proposizione del ricorso giudiziario e quindi non si ponevano questioni di procedibilità. La Corte aggiungeva, peraltro, considerazioni relative alla non rilevabilità dell’improcedibilità oltre la prima udienza del giudizio di primo grado.

Quanto alla eccezione di inesigibilità del credito, la Corte la riteneva infondata sia per la rilevata procedibilità del ricorso, sia sulla base del rilievo che comunque anche in caso di opposizione a decreto ingiuntivo deve verificarsi la fondatezza della domanda al momento della decisione, salvo che per le spese del procedimento monitorio, che tuttavia fanno parte dell’unitario processo comprendente la fase di opposizione.

Quanto alle spese del giudizio, la Corte testualmente osservava:

“alla conferma della sentenza gravata, peraltro, considerata la complessità dei temi trattati e l’iter motivazionale di questa pronuncia in parte diverso, si stima equo non accompagnare la condanna dell’Inps al pagamento pure delle spese di gravame, che quindi si compensano interamente”.

La parte beneficiaria del trattamento di invalidità civile propone ricorso per cassazione. L’Inps resiste con controricorso. La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 1) e insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5), per quanto attiene alla disposta compensazione delle spese del giudizio. Si sostiene che il riferimento alla complessità dei temi trattati e al diverso iter motivazionale della sentenza costituisce una motivazione erronea e illogica della disposta compensazione delle spese. Il tema trattato era ed è rimasto sempre esclusivamente quello della violazione dei termini della procedura amministrativa (D.P.R. n. 698 del 1994, art. 4) ed era illogico, se non assurdo, attribuire rilievo alla diversità del percorso motivazionale del giudice di appello.

Nè sussisteva una particolare complessità della questione in esame, ma un normale problema di interpretazione e applicazione di norme giuridiche. Peraltro la L. n. 263 del 2005, art. 2 ha introdotto l’obbligo del giudice di indicare i motivi della compensazione, in attuazione del principio costituzionale circa la motivazione di ogni provvedimento giurisdizionale (art. 111 Cost., comma 6).

Il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato.

E’ pacifico che il giudice di appello ha intesto compensare le spese del grado per “giusti motivi”, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2.

La previsione introdotta dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, che richiede una esplicita indicazione dei “giusti motivi”, si applica ai procedimenti instaurati successivamente al i marzo 2006 (art. 2, comma 4, L. cit., nel testo modificato dal D.L. n. 273 del 2005, art. 39-quater, conv. dalla L. n. 51 del 2006) e quindi non si applica nella specie. Poichè però il giudice ha esplicitato la ragione della compensazione, trova applicazione il principio secondo cui la compensazione per giusti motivi di cui giudice di merito abbia fornito un’esplicita motivazione è censurabile in cassazione in caso di palese illogicità o erroneità della motivazione (cfr. Cass. 16162/2002, 1301/2003, 17692/2003, 22541/2006). La motivazione fornita nella specie non può ritenersi nè erronea nè illogica. Al riguardo deve tenersi presente che è stata esaminata una questione giuridica nuova, su cui non risultava l’esistenza di precedenti, in particolare di cassazione, e che richiedeva approfondimenti, sia sotto il profilo della sua qualificazione giuridica, sia ai fini della sua concreta soluzione nel merito. La questione, peraltro, presentava rilevanti aspetti di opinabilità, dovendo effettuarsi, almeno potenzialmente, il coordinamento tra disposizioni (in particolare tra la L. n. 533 del 1973, art. 7 e il D.P.R. n. 698 del 1994, art. 4) la cui applicazione avrebbe potuto portare a soluzioni contrastanti. D’altra parte la diversità del percorso motivazionale tra sentenze di primo e di secondo grado rappresentava evidentemente un elemento di conferma della difficoltà e opinabilità delle questioni. Può anche aggiungersi che la ragione fornita nella specie per la compensazione delle spese è chiaramente simile all’ipotesi della oscillazione giurisprudenziale compresa nelle indicazioni meramente esemplificative e non esaustive date da Cass. S.U. n. 20598/2008.

Il ricorso deve dunque essere rigettato.

Quanto alle spese, deve preliminarmente rilevarsi che nella specie, risalendo la instaurazione del giudizio in primo grado al dicembre 2005, quando era vigente l’art. 152 disp att. c.p.c. così come modificato al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, trova applicazione il cit. art. 152 nel suo nuovo testo. Pertanto la speciale esenzione dal pagamento delle spese del giudizio prevista a favore dei soggetti che abbiano agito per conseguire prestazioni previdenziali o assistenziali è subordinata alla dimostrazione, con le modalità specificate dalla disposizione di legge, della titolarità di un reddito imponibile ai fini IRPEF pari o inferiore a due volte l’importo del reddito di cui alla normativa richiamata dalla medesima disposizione. Poichè sono mancate allegazioni al riguardo, deve farsi applicazione della disciplina generale in materia di spese. Le spese vengono quindi regolate in base al criterio legale della soccombenza e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare all’Inps spese in Euro 30,00 oltre Euro 550,00 per onorari.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2010

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