Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23848 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/10/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 29/10/2020), n.23848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34992-2018 proposto da:

I.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIANPIERO PASQUARIELLO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

GIUSEPPINA GIANNICO, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA

PATTERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2816/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 14/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 2816 pubblicata il 14.5.18 la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dell’appello dell’Inps e in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di I.E. di riconoscimento del diritto all’assegno ordinario di invalidità (L. n. 222 del 1984, art. 1), già riconosciuto alla stessa e non confermato in sede amministrativa;

2. la Corte territoriale, rinnovata la consulenza medico legale, ha ritenuto non integrato il requisito richiesto dal citato art. 1 di riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro in occupazioni confacenti; ha dato atto di come la parte appellata I. non avesse mosso alcun rilievo alla relazione peritale nell’ambito del contraddittorio tecnico di cui all’art. 195 c.p.c., comma 3, e non avesse fornito alcun elemento di prova rispetto all’allegazione della avvenuta conferma in sede amministrativa della prestazione per altri due trienni;

3. avverso tale sentenza I.E. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha resistito l’Inps con controricorso;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c…

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. col primo motivo di ricorso la I. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., nel testo anteriore alla riforma del 2012, anche in combinato disposto con gli artt. 115 e 116 c.p.c.; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.;

6. ha rilevato come il ricorso in appello dell’INPS (debitamente trascritto nelle parti rilevanti e prodotto) fosse inammissibile in quanto contenente solo “una generica ed estremamente succinta critica…senza alcun riferimento espresso alla effettiva e specifica motivazione del caso concreto contenuta nella sentenza…di primo grado”, in particolare quanto alla riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro della ricorrente in occupazioni confacenti alle attitudini, con conseguente giudicato sul punto; ha osservato come la Corte di merito avesse del tutto omesso di motivare sull’ammissibilità dell’appello;

7. il primo motivo di ricorso è infondato;

8. occorre premettere che il ricorso in appello proposto dall’INPS risale al 2011 (depositato il 6.5.11) ed era quindi disciplinato dagli artt. 342 e 434 c.p.c. nella versione anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012;

9. questa Corte (sentenza n. 21745 del 2006; 12984 del 2006) ha più volte affermato come il principio della necessaria specificità dei motivi di appello – previsto dall’art. 342 c.p.c., comma 1, e, nel rito del lavoro, dall’art. 434 c.p.c., comma 1, nella formulazione anteriore alla novella operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 – prescinda da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano anche indicate, oltre ai punti e ai capi formulati e seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure;

10. si è ulteriormente precisato (Cass. n. 25218 del 2011; Cass., S.U., n. 28057 del 2008) come ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, possa sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice; è invece inammissibile l’atto di appello che, senza neppure menzionare per sintesi il contenuto della prima decisione, risulti totalmente avulso dalla censura di quanto affermato dal primo giudice e si limiti ad illustrare la tesi giuridica già esposta in primo grado;

11. nel caso di specie, anzitutto non risulta trascritta nè prodotta la sentenza di primo grado, il che costituisce di per sè causa di inammissibilità della censura in esame;

12. comunque, l’INPS ha dedotto col relativo ricorso una “grave carenza di motivazione” della sentenza del Tribunale che si era “limitato a prendere atto delle sole conclusioni sulla percentuale di invalidità dell’appellato contenute nella relazione redatta dal CTU (senza) esprimere… le proprie valutazioni sul merito degli accertamenti compiuti e sulle ragioni per le quali ritiene condivisibili, tenuto conto delle patologie riscontrate e rapportandole alle attitudini professionali della ricorrente, le considerazioni…del CTU”; ha inoltre aggiunto specifiche considerazioni medico legali sul complesso morboso definito “lontanissimo dalla soglia invalidante”, rilevando come la cardiopatia non fosse ascrivile ad alcuna classe funzionale “visto che i valori pressori sono alterati in maniera molto lieve e solo quelli diastolici, visto che l’esame obiettivo dice molto poco sul versante patologico e che in anamnesi non si repertano segni di scompenso o almeno dispnea da sforzo. Le varici agli arti inferiori non vengono descritte complicate da turbe trofiche, lo stato depressivo chiaramente reattivo è definito dallo stesso CTU moderato”;

13. i rilievi dell’Istituto appellante paiono idonei a costituire una critica ragionata alla decisione di primo grado, sia quanto agli aspetti medico legali e sia quanto alla carenza di motivazione nella adesione alle conclusioni del CTU e correttamente la Corte di merito ha (implicitamente) giudicato infondata la censura di inammissibilità dell’appello;

14. col secondo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonchè per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c. quanto al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, dell’art. 2697 c.c.; inoltre, per travisamento della prova acquisita e della c.t.u. disposta;

15. ha dedotto come la Corte territoriale avesse recepito acriticamente le conclusioni della CTU svolta in secondo grado senza coglierne la palese irragionevolezza ed erroneità nonchè la manifesta contraddittorietà scientifica e del percorso logico argomentativo, specie quanto al ritenuto miglioramento delle (tre) patologie accertate dal CTU nominato in primo grado (nel 2009) e non riscontrate nè all’epoca della domanda amministrativa (nel 2004) e neanche nell’ambito delle indagini peritali in appello (2017);

16. sotto altro profilo, la ricorrente ha sottolineato come la motivazione adottata dalla Corte d’appello fosse inconferente e non riferibile alla fattispecie oggetto di causa in quanto recettiva della CTU medico legale, a sua volta priva di qualsiasi riferimento alla capacità di lavoro specifica della I. quale di bracciante agricola;

17. col terzo motivo la I. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. anche in combinato disposto con l’art. 195 c.p.c.; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.;

18. ha denunciato l’incongruenza tra quanto statuito nella sentenza impugnata e quanto risultante dalla consulenza tecnica esperita in appello e il travisamento della relazione peritale ad opera della sentenza; ha evidenziato come la sentenza avesse fatto proprie le conclusioni della CTU in quanto sorrette da “valida ed articolata discussione medico legale” e fondate “su un accurato esame clinico della periziata”, requisiti entrambi assenti nella relazioni peritale; quest’ultima, infatti, non solo non dà conto del motivo per cui ritiene la I. guarita dalla tre patologie diagnosticate dal perito nominato in primo grado, ma risulta priva di ogni discussione medico legale e addirittura del riscontro, in sede di esame obiettivo, delle varici agli arti inferiori diagnosticate, oltre che di ogni motivazione sulla intensità di tale patologia e sulla relativa incidenza invalidante;

19. col quarto motivo la ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. anche in combinato disposto con gli artt. 157,195,424 e 441 c.p.c.; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; errata applicazione del principio di non contestazione e di vicinanza della prova ai sensi dell’art. 409 e 115 c.p.c.;

20. ha affermato come nella prima udienza successiva al deposito della CTU (verbale udienza d’appello del 27.3.18), per il tramite del procuratore legale, fossero state contestate le conclusioni della stessa, in conformità al disposto di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2, a nulla rilevando la previsione dell’art. 195 c.p.c., comma 3, e che, comunque, la valutazione della CTU è compito del giudice; ha aggiunto di avere dedotto nella comparsa di costituzione in appello la circostanza della avvenuta conferma della prestazione in sede amministrativa e di aver reiterato l’allegazione nel corso dell’udienza del 27.3.18; che in mancanza di qualsiasi contestazione da parte dell’INPS, il dato doveva considerarsi pacifico e non bisognoso di prova; che quest’ultima avrebbe dovuto comunque far carico all’INPS per il principio di vicinanza della prova;

21. il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, che si esaminano congiuntamente poichè investono tutti la valutazione della consulenza medico legale svolta in appello, sono inammissibili;

22. con tali motivi la ricorrente censura la sentenza per aver aderito alle conclusioni della CTU svolta in appello che assume essere viziata da “irragionevolezza ed erroneità nonchè manifesta contraddittorietà scientifica e del percorso logico argomentativo”; il ricorso, tuttavia, non specifica in alcun modo le ragioni di devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, nè indica le relative fonti, e neppure richiama documentazione medica non analizzata nella consulenza, ma fa leva unicamente sulle diverse conclusioni raggiunte dal consulente nominato in primo grado; il raffronto con l’esito della CTU svolta in primo grado non è sufficiente a determinare l’irragionevolezza della nuova CTU a cui la Corte di merito ha prestato motivata adesione e neppure può costituire indice di irragionevolezza il dato per cui il medico legale nominato in appello non abbia riscontrato, in base all’esame clinico svolto e alla documentazione medica analizzata, le patologie accertate dal primo CTU, potendosi ipotizzare, dal punto di vista logico, un miglioramento delle patologie negli otto anni circa intercorsi tra le due CTU oppure una diversa valutazione dei dati clinici da parte dei periti; d’altra parte, la ricorrente non solo non ha argomentato le critiche attraverso il riferimento a documentazione medica attuale rispetto all’epoca della seconda CTU ma non ha neanche contraddetto le conclusioni del CTU in appello nell’ambito del contraddittorio tecnico a ciò dedicato; le patologie accertate sono state poi specificamente valutate dal CTU e dalla Corte di merito in relazione alla capacità di lavoro della ricorrente quale bracciante agricola;

23. da quanto detto discende come tutte le censure mosse si traducano in un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale, e quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (cfr. Cass. n. 28209 del 2018; n. 24959 del 2017; n. 7041 del 2013; n. 1472 del 2013; n. 1652 del 2012);

24. anche la censura sul capo della sentenza che ha ritenuto il difetto di prova delle successive conferme dell’invalidità da parte dell’INPS è inammissibile in quanto nel verbale dell’udienza 27.3.2018, ove tale allegazione risulta fatta dalla difesa della I., è riportata la richiesta del difensore dell’INPS di termine per verifica nonchè il provvedimento della Corte di concessione del termine con rinvio ad altra udienza; e ciò impedisce di ritenere integrata una omessa contestazione da parte dell’Istituto;

25. per le considerazioni svolte il ricorso deve essere respinto;

26. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;

27. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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