Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23847 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/10/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 29/10/2020), n.23847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28052-2018 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALDINIEVOLE

11, presso lo studio dell’avvocato ESTER FERRARI MORANDI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati SERGIO

PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI, LIDIA CARCAVALLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1192/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 1192 pubblicata il 14.4.18 la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello di M.S., confermando la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda del predetto di accertamento del diritto alla pensione di reversibilità, quale figlio maggiorenne inabile al lavoro di F.D., deceduta il (OMISSIS);

2. la Corte territoriale ha dato atto di come il Tribunale avesse respinto la domanda per difetto del requisito di inabilità al lavoro, senza esaminare l’ulteriore requisito richiesto ai fini della suddetta prestazione, la cd. vivenza a carico; ha ritenuto, secondo il criterio della ragione più liquida, di verificare la sussistenza di quest’ultimo requisito in quanto di maggiore evidenza e non necessitante di consulenza medico legale; ha respinto l’appello sul rilievo che il M., onerato, non avesse allegato e dimostrato che, all’epoca del decesso, la madre provvedesse in maniera continuativa e almeno prevalente al mantenimento del figlio; ha, in particolare, sottolineato come dagli atti risultasse che il M. era coniugato, legalmente separato (senza che fossero allegate e provate le condizioni della separazione), e padre di due figli, dei quali non erano indicati nè l’età nè i redditi; che non era stato allegato e provato se nel 2013 e negli anni precedenti il M. vivesse insieme a qualcuno dei familiari (non erano stati prodotti lo stato di famiglia nè un certificato di residenza) e se la F. avesse altri figli; che il mantenimento del figlio da parte della madre non poteva desumersi solo dal confronto quantitativo tra i trattamenti pensionistici percepiti dalla prima (circa Euro 1.700,00 mensili) e la pensione di inabilità ai sensi della L. n. 118 del 1971, art. 12, di cui era titolare il M.;

3. avverso tale sentenza M.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso l’INPS;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. con l’unico motivo di ricorso M.S. ha dedotto violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1952, art. 13, nel testo sostituito dalla L. n. 903 del 1965, art. 22;

6. ha richiamato (e allegato) la circolare INPS n. 185 del 18.11.2015 nonchè la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 14996 del 2007) rilevando come occorra considerare a carico del genitore i figli maggiorenni inabili al lavoro titolari di un reddito non superiore a quello richiesto dalla legge per il diritto alla pensione di invalido civile totale; ha allegato di essere titolare dall'(OMISSIS) di pensione L. n. 118 del 1971, ex art. 12, e legalmente separato (come da doc. 37 e doc. 38, depositati nel fascicolo di primo grado); ha sostenuto come da tali documenti potesse desumersi la sua condizione di non autosufficienza economica mentre il requisito del mantenimento abituale da parte della madre “emergeva inequivocabilmente da un esame comparativo dei redditi del dante causa e del superstite (1.700,00 Euro al mese del dante causa contro gli Euro 275,87 al mese del superstite…)”;

7. il ricorso non può trovare accoglimento;

8. la L. n. 903 del 1965, art. 22, che ha sostituito la L. n. 218 del 1952, art. 13, prevede: “Nel caso di morte del pensionato o dell’assicurato, semprechè per quest’ultimo sussistano, al momento della morte, le condizioni di assicurazione e di contribuzione di cui all’art. 9, n. 2, lett. a) e b), spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell’assicurato, non abbiano superato l’età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi”;

9. il diritto alla pensione di reversibilità per i figli ultradiciottenni (studenti o inabili) presuppone l’esistenza, prima del decesso, di un contributo economico continuativo del genitore nel mantenimento del figlio inabile. Secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, tale requisito cd. della “vivenza a carico”, se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza nè con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva in via continuativa e in misura quanto meno prevalente al mantenimento del figlio inabile (cfr. Cass. 9237 del 2018; n. 22738 del 2013; n. 3678 del 2013; n. 11689 del 2005); si è ulteriormente precisato che l’onere della prova del fatto costitutivo del diritto alla pensione di reversibilità incombe su chi tale diritto fa valere in giudizio e che l’accertamento di fatto del requisito della “vivenza a carico” è rimesso al giudice di merito ed è quindi incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (cfr. Cass. n. 9237 del 2018 cit.);

10. la Corte di merito ha escluso che l’appellante avesse assolto al proprio onere probatorio circa l’esistenza, all’epoca del decesso della madre, di un prevalente contributo economico continuativo di quest’ultima nel mantenimento del figlio inabile; in particolare i giudici di appello hanno evidenziato una serie di lacune nelle allegazioni e prove fornite dal ricorrente in primo grado, tali da impedire che dal mero raffronto tra i dati reddituali della madre e del figlio potesse desumersi la cd. vivenza a carico; in particolare i giudici di appello, premesso che dagli atti di causa risultava che il M. era coniugato e padre di due figli, laddove non erano dimostrati lo stato di coniuge legalmente separato nè le condizioni della separazione, hanno ritenuto non dimostrati i seguenti elementi: con chi il predetto vivesse prima del decesso della madre (non era stato prodotto alcun certificato di residenza nè di stato di famiglia), l’età dei figli ed i redditi dai medesimi eventualmente percepiti; se la F. avesse altri figli e vivesse prima del decesso con altri familiari; se effettivamente la madre contribuisse al mantenimento del figlio inabile oppure se altri familiari vi provvedessero;

11. le censure mosse col ricorso in esame non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata in quanto mirano unicamente ad affermare che dal confronto tra i redditi percepiti dalla madre e quelli del figlio inabile dovesse desumersi l’esistenza del contributo prevalente della prima al mantenimento del secondo; in realtà, tale confronto costituisce l’ultimo passaggio nella verifica degli elementi costitutivi del diritto azionato che presuppone la dimostrazione, a monte, che in epoca anteriore al decesso il genitore contribuisse in misura prevalente al mantenimento del figlio inabile in relazione alle condizioni di vita di quest’ultimo e all’assenza di diversi e ulteriori strumenti di mantenimento attraverso l’apporto ad esempio del coniuge e/o dei figli. La totale mancanza di allegazioni e prove su questi preliminari indici, che sorregge la motivazione della sentenza d’appello, non è stata in alcun modo criticata e superata dai rilievi mossi col motivo di ricorso in esame;

12. nè appare dirimente il riferimento alla pronuncia di questa Corte n. 14966 del 2007, che considera a carico i figli maggiorenni inabili che hanno un reddito non superiore a quello richiesto dalla legge per il diritto alla pensione di invalido civile totale, ma ciò non quale unico contenuto del fatto costitutivo del diritto alla pensione di reversibilità bensì al solo fine di individuare “criteri quantitativi certi che assicurino eguale trattamento ai superstiti inabili”, senza intervenire sui presupposti giuridici del diritto medesimo come desumibili dalla disposizione in esame;

13. per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile;

14. le spese di lite sono regolate secondo il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

15. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

 

 

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