Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23844 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/10/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 29/10/2020), n.23844

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24182-2018 proposto da:

F.S., FE.SE., F.E., A.G.,

F.G., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato DOMENICO

ANTICO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 79/2018 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 05/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 70 pubblicata il 5.2.18 la Corte d’appello di Reggio Calabria, in accoglimento dell’appello principale del Ministero dell’Interno e in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di A.G., F.E., F.G., Fe.Se. e F.S., la prima coniuge e gli altri figli di Fe.Gi., volta ad ottenere i benefici in favore delle vittime della criminalità organizzata, dichiarando assorbito l’appello incidentale;

2. la Corte territoriale ha ritenuto non integrato il fatto costitutivo del beneficio richiesto, in base alla L. n. 302 del 1990 applicabile ratione temporis, della assoluta estraneità della vittima e dei congiunti beneficiari, al tempo dell’evento delittuoso (uccisione di Fe.Gi. il (OMISSIS)), ad ambienti e rapporti delinquenziali;

3. ha affermato come la dizione legislativa secondo cui il “soggetto leso risulti essere al tempo dell’evento del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali” fosse indicativa di una condizione di lontananza assai rigorosa, riferita ai rapporti personali ed anche agli ambienti, cioè ai contesti familiari e sociali in cui la persona è inserita, a prescindere da una sua scelta di appartenervi; ha aggiunto che fosse onere dei richiedenti dimostrare tale condizione di estraneità e che anche il mero dubbio sulla contiguità ad ambienti e rapporti delinquenziali impedisse l’erogazione del beneficio;

4. nel caso concreto, i giudici di appello hanno ritenuto pacifica la causale mafiosa dell’omicidio di Fe.Gi., quale vendetta trasversale da parte della Cosca C. nei confronti di B.G.B., genero del F., accusato di avere attentato alla vita del capo della Cosca C. e poi divenuto collaboratore di giustizia;

5. hanno ritenuto come dai rapporti di polizia in atti emergesse la non assoluta estraneità della vittima e dei familiari appellati agli ambienti delinquenziali in ragione di rapporti familiari perduranti e mai interrotti; in particolare, la sentenza impugnata ha ricostruito i legami di parentela, coniugio o frequentazione, della sorella di Fe.Gi., A., e delle figlie del predetto, E. e S., con persone pluripregiudicate, denunciate o condannate per gravi reati come associazione a delinquere e porto abusivo di armi, oppure vittime di agguati mafiosi; ha rilevato come dal compendio istruttorio non risultasse che Fe.Gi. avesse tenuto una condotta diretta ad allontanarsi dal descritto circuito familiare nè che si fosse opposto al matrimonio delle figlie E. e S. con persone legate, sia pure indirettamente, alla criminalità organizzata o che avesse interrotto i rapporti con tali famiglie; che analoghe considerazioni valessero per la moglie del F., A.G., e i figli di quest’ultima;

6. avverso la sentenza d’appello A.G., F.E., F.G., Fe.Se. e F.S. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno;

7. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

8. col primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4);

9. si censura la valutazione operata dalla Corte territoriale sul contenuto della testimonianza resa dal M.llo Ci., dell’informativa di reato del (OMISSIS) e della nota del Prefetto di Reggio Calabria del 10.9.08, assumendosi che dalle stesse, fossero desumibili elementi idonei a fornire la prova dell’assenza di legami del F. e dei familiari attuali ricorrenti col genero B. e con ambienti della criminalità organizzata;

10. il motivo è inammissibile in quanto investe la valutazione del materiale probatorio, che non è consentita in sede di legittimità se non nei ristretti limiti posti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come delineati dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) ed incentrati sull’omesso esame di un fatto storico decisivo;

11. col secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., commi 1 e 3, e dell’art. 437 c.p.c., comma 2 (art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la Corte di merito fondato la decisione sulla nota del Ministero dell’Interno n. 7287 del 15.7.2014 prodotta tardivamente in primo grado, come eccepito dai ricorrenti nel verbale d’udienza del 24.9.14 debitamente prodotto; in particolare, le circostanze utilizzate nella sentenza impugnata a riprova della intraneità del F. e degli attuali ricorrenti ad ambienti delinquenziali sarebbero state ricavate esclusivamente dal contenuto della citata nota;

12. il motivo è inammissibile in quanto si fonda sul presupposto, non dimostrato, secondo cui la ricostruzione in fatto da parte dei giudici di appello fosse basata unicamente sulla citata nota del Ministero, laddove la sentenza impugnata richiama quale substrato probatorio “i rapporti di polizia in atti” (pagg. 3-4: “nella sentenza di primo grado non sono state esaminate, come correttamente evidenziato nell’atto di appello del Ministero, alcune significative circostanze fattuali compendiate nei rapporti di polizia in atti e dalle quali emerge, per altra via, la non assoluta estraneità della vittima e dei beneficiari ad ambienti delinquenziali”);

13. col terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 302 del 1990, artt. 1, 2, 4,7 e 9 bis (art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4);

14. è richiamato il principio espresso dalle pronunce di legittimità (Cass., S.U. n. 26626 del 2007 e n. 21927 del 2008) secondo cui “le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata sono titolari, in presenza delle condizioni di legge, di un vero e proprio diritto soggettivo all’erogazione della speciale elargizione prevista dalla L. 20 ottobre 1990, n. 302, essendo al riguardo la P.A. priva di ogni potestà discrezionale, sia con riguardo all’entità della somma che con riguardo ai presupposti per la derogabilità”, per affermare l’esistenza del diritto soggettivo degli attuali ricorrenti ai benefici in oggetto avendo essi dimostrato l’estraneità della vittima agli ambienti e ai rapporti delinquenziali;

15. anche il terzo motivo è inammissibile in quanto denuncia la violazione di legge sul presupposto di una ricostruzione in fatto diversa da quella contenuta nella sentenza impugnata, cioè sull’assunto della estraneità della vittima agli ambienti e rapporti delinquenziali, ritenuta dai giudici di appello non dimostrata;

16. questa Corte (cfr. Cass. n. 640 del 2019; n. 6035 del 2018; n. 23847 del 2017; n. 195 del 2016; n. 7394 del 2010; n. 18782 del 2005) ha definito i confini in cui si articola il giudizio di diritto che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 descrive attraverso le espressioni di violazione o falsa applicazione di legge; ha chiarito che il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; mentre il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione; ha parallelamente precisato che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità; il motivo di ricorso in esame si colloca esattamente in quest’ultima ipotesi esemplificativa;

17. col quarto motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 302 del 1990, artt. 1, 4, 7 e 9 bis, della L. n. 407 del 1998, art. 2, e dell’art. 97 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3);

18. parte ricorrente critica la pronuncia d’appello nella parte in cui ha ritenuto dimostrato il legame della vittima e degli attuali ricorrenti con ambienti criminali in virtù del mero rapporto di parentela o affinità con persone pregiudicate, in tal modo richiedendo ai fini del beneficio una dissociazione dal contesto familiare non contemplata dall’ordinamento; nel caso di specie era dimostrato che la vittima non appartenesse ad alcun sodalizio criminale e che non frequentasse parenti o affini pregiudicati e che il suo coinvolgimento nel fatto criminoso avesse avuto carattere “accidentale” in ragione della qualificazione dell’omicidio da parte degli inquirenti come “vendetta trasversale”; ha rilevato come la L. n. 186 del 2008, art. 2 quater, ha soppresso l’inciso “al tempo dell’evento” che era presente nella L. n. 302 del 1990, art. 1, comma 2 lett. b), così consentendo il riconoscimento del beneficio anche a chi si fosse dissociato dagli ambienti criminali in epoca successiva al verificarsi dell’evento delittuoso e che tale modifica varrebbe a smentire l’interpretazione, adottata dai giudici di appello, sul valore ostativo ai fini del beneficio in oggetto del mero dubbio di contiguità ad ambienti delinquenziali;

19. neppure il motivo di ricorso in esame può trovare accoglimento;

20. la L. n. 302 del 1990, art. 1, comma 2, nel testo ratione temporis applicabile, stabilisce “L’elargizione di cui al comma 1 è altresì corrisposta a chiunque subisca un’invalidità permanente, per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di fatti delittuosi commessi per il perseguimento delle finalità delle associazioni di cui all’art. 416 bis c.p., a condizione che: a) il soggetto leso non abbia concorso alla commissione del fatto delittuoso lesivo ovvero di reati che con il medesimo siano connessi ai sensi dell’art. 12 c.p.p.; b) il soggetto leso risulti essere, al tempo dell’evento, del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali, salvo che si dimostri l’accidentalità del suo coinvolgimento passivo nell’azione criminosa lesiva, ovvero risulti che il medesimo, al tempo dell’evento, si era già dissociato o comunque estraniato dagli ambienti e dai rapporti delinquenziali cui partecipava”; l’art. 4 contempla l’elargizione ai superstiti, cioè “ai componenti la famiglia di colui che perda la vita per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza dello svolgersi delle azioni od operazioni di cui all’art. 1”;

21. questa Corte ha sottolineato (sentenza n. 31136 del 2019), come “fin dalla originaria versione della citata L. n. 302 del 1990, sia per le vittime, sia per i loro familiari e i superstiti (come individuati), va considerata in modo rigoroso la necessaria presenza della condizione di “totale estraneità” alla criminalità organizzata, la quale infatti viene riferita in modo ampio ad ambienti (sociali e/o familiari) e rapporti (sociali e/o familiari) delinquenziali, salva la possibilità per l’interessato di provare l’accidentalità del proprio coinvolgimento nei suddetti ambiti o anche la propria dissociazione da essi”;

22. in base al tenore normativo, la condizione richiesta ai fini del beneficio in questione è quella di “totale estraneità” rispetto agli ambienti criminali, con una duplice eccezione che si basa sul presupposto di una forma di intraneità purchè questa risulti, in via alternativa, caratterizzata da accidentalità del coinvolgimento passivo nell’azione criminosa lesiva oppure esistente in epoca anteriore all’evento e poi eliminata attraverso la dissociazione o l’estraniamento dagli ambienti e dai rapporti delinquenziali cui in passato la vittima partecipava;

23. la Corte di merito ha fatto corretta applicazione di tali principi laddove, con accertamento in fatto non censurabile in questa sede, ha escluso che fosse dimostrato il requisito della “totale estraneità”, intesa come netta e volontaria lontananza e attiva dissociazione all’epoca dell’evento dagli ambienti criminali, e ciò sul rilievo che Fe.Gi. non avesse eliminato i rapporti con familiari e affini (alcuni dei quali attuali ricorrenti) a loro volta legati a persone pregiudicate e ad ambienti criminali (ad esempio, con la figlia E., sposata con M.G. il cui padre era stato condannato per omicidio alle pena di nove anni e quattro mesi e il cui cugino omonimo era stato più volte controllato in compagnia di pregiudicati per gravi reati; con la sorella A. controllata insieme a tale G.R. pluripregiudicato per gravi reati anche di stampo mafioso), e non avesse manifestato una chiara dissociazione da essi, come invece aveva fatto nei confronti del genero B. e della figlia P. con questi coniugato; ove anche si assuma che il Fe. potesse essere stato vittima di una vendetta trasversale, e che ciò integrasse il requisito del coinvolgimento passivo accidentale, resta il fatto che all’epoca dell’evento risultasse avere rapporti mai recisi con familiari e affini legati ad ambienti criminali, elemento correttamente ritenuto dalla Corte d’appello incompatibile col rigoroso requisito della estraneità che il legislatore ha voluto “totale”; identiche considerazioni, quanto alla mancanza di totale estraneità, la Corte di merito ha svolto riguardo agli attuali ricorrenti;

24. non possono trovare ingresso, in questa sede di legittimità e ai sensi dell’art. 372 c.p.c., documenti diversi da quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso; tali certamente non sono i documenti allegati alla memoria depositata nell’interesse dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., (nulla osta del Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria del 30.5.18 e nota della Questura di Reggio Calabria del 2.8.18), appositamente redatti in vista del processo de quo, dopo la pronuncia d’appello e al fine di contraddire l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte di merito (cfr. Cass. n. 11699 del 2020; sez. 6 n. 1076 del 2019; n. 2125 del 2014);

25. la conformazione della sentenza d’appello ai principi di diritto già enunciati da questa Corte rende non accoglibile l’istanza di trasmissione del procedimento alla Sezione Quarta per la trattazione in pubblica udienza;

26. per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto;

27. non si fa luogo alla liquidazione delle spese di lite nei confronti del Ministero in ragione della tardività del controricorso; il ricorso in cassazione risulta notificato al Ministero in data 25.7.2018 ed il controricorso notificato, tramite PEC, in data 29.10.2018, quindi ampiamente dopo il decorso del termine fissato dall’art. 370 c.p.c.;

28. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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