Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23841 del 23/11/2016
Cassazione civile sez. trib., 23/11/2016, (ud. 29/09/2016, dep. 23/11/2016), n.23841
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19880/2011 proposto da:
G.E., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA EUCLIDE
2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO DI CROCE,
rappresentato e difeso dall’avvocato SIMONA BOZUFFI giusta delega in
calce;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
MINISTERO DELLE FINANZE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 212/2010 della COMM. TRIB. REG. della
LOMBARDIA SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 12/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
29/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;
udito per il ricorrente l’Avvocato BOZUFFI che ha chiesto
l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto il
rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
G.E., medico, propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ha negato il diritto al rimborso dell’IRAP versata dal contribuente per gli anni di imposta dal 1998 al 2002.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso – violazione degli artt. 141 e 149 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – si deduce che la notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza dinanzi alla C.T.R. non si era perfezionato, poichè il difensore domiciliatario del contribuente aveva nelle more trasferito il proprio studio ed il plico era stato restituito al mittente con la dicitura “trasferito”. Posto che il difensore domiciliatario non aveva alcun onere di denunciare il cambiamento di indirizzo del proprio studio, l’avviso era stato quindi notificato presso la segreteria, impedendo così al ricorrente di avere contezza della fissazione dell’udienza e di parteciparvi, pregiudicando il suo diritto di difesa.
Il motivo è infondato, in quanto la regola prevista in via residuale dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 3, che consente l’effettuazione delle notificazioni e delle comunicazioni presso la segreteria della commissione, si applica non solo nei casi, espressamente menzionati di originaria carenza o inidoneità delle indicazioni fornite dalla parte, ma anche nelle ipotesi in cui, non essendo stato adempiuto l’onere di comunicare le successive variazioni, la sopravvenuta inefficacia delle predette indicazioni renda in concreto impossibile procedere alla notificazione o alla comunicazione (Cass. n. 5749 del 2016).
2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere erroneamente la C.T.R. asserito che il ricorrente avrebbe dovuto produrre copia del registro dei beni ammortizzabili e copia dei modelli di dichiarazione dei redditi, mentre tale documentazione era già stata prodotta in primo grado dal ricorrente.
Con il terzo motivo si deduce insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la C.T.R. completamente omesso di indicare gli elementi in base ai quali ha ritenuto che il ricorrente non avesse offerto la prova dello svolgimento di attività non autonomamente organizzata.
I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.
Svolte premesse in puro diritto, la motivazione della decisione di appello si esaurisce nella proposizione che segue: “Il contribuente, che ha dichiarato per le annualità in esame compensi per l’attività libero professionale abitualmente ed autonomamente esercitata, nonchè quote di ammortamento per l’acquisto di beni mobili e compensi a terzi per prestazioni di attività professionale e/o di lavoro dipendente, come peraltro rilevato dall’Ufficio appellante, non ha prodotto congrua documentazione probatoria, avendone l’onere, a sostegno delle proprie argomentazioni”.
Posto che la produzione in primo grado della documentazione relativa al registro dei beni ammortizzabili e alle dichiarazioni dei redditi per i periodi in questione non è contestata dall’Ufficio, le argomentazioni svolte in sentenza si rilevano del tutto generiche in quanto prive di specifico riferimento alla fattispecie concreta e – segnatamente – agli elementi rilevanti ai fini della verifica della sussistenza dei presupposti impositivi emergenti dalla documentazione acquisita in atti.
3. Conclusivamente, in accoglimento del secondo e terzo motivo, rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016