Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23840 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/10/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 29/10/2020), n.23840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.E.M., rappr. e dif. dall’avv. Marco Esposito del foro

di Napoli, elett. dom. presso lo studio di quest’ultimo, in Napoli

alla via Toledo n. 106, come da procura speciale allegata all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione territoriale per il

riconoscimento della protezione internazionale di Milano, in persona

del Ministro p.t.;

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI MILANO;

– intimati –

per la cassazione della sentenza App. Milano 15.10.2018, n.

4471/2018, rep. 2864/18, R.G. 4384/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 27.10.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. S.E.M. impugna la sentenza App. Milano 15.10.2018, n. 4471/2018, rep. 2864/18, R.G. 4384/2017 che ha rigettato il suo appello avverso l’ordinanza Trib. Milano 9.7.2017 che respingeva il suo ricorso avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale, protezione internazionale sussidiaria richiesta in via subordinata e protezione umanitaria, emesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento Internazionale di Milano;

2.1a corte ha ritenuto che: a) il richiedente aveva richiesto genericamente il riconoscimento della protezione sulla base della situazione di instabilità della Nigeria, Paese d’origine e di una situazione di violenza generalizzata, senza circostanziare tale allegazione rispetto alla zona di provenienza, estranea a quel livello di conflitti; b) il racconto delle ragioni di fuga non era credibile e il ricorrente non ha espletato ogni sforzo di giustificazione ai limiti del narrato; c) circa il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, il ricorrente ha omesso di dettagliare una situazione di particolare vulnerabilità personale o comunque la sussistenza di seri motivi;

3. il ricorso è su due motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e 14 richiamando la situazione di pericolosità nell’Edo State; con il secondo è invocata la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e per essa la mancata cooperazione istruttoria della corte in relazione alla vulnerabilità;

2. il primo motivo è complessivamente inammissibile, per plurimi profili; in primo luogo esso non censura in modo specifico l’affermazione della corte secondo cui il racconto del ricorrente è “generico”, specificamente concludendo per la sua inidoneità ad integrare una efficace rappresentazione dei rischi effettivi di danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 secondo una rilevazione officiosa; appare così rispettato, nella sentenza, il principio per cui “il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019);

3. quanto all’Edo State, la corte ha concluso negando una situazione di conflitto per quella zona della Nigeria, quale provenienza del richiedente, il quale non ha indicato fonti alternative nè censurato il riferimento della sentenza; va così dato seguito all’indirizzo per cui “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva, solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 18306/2019); ed inoltre, ” il riconoscimento dello “status” di rifugiato politico va escluso nell’ipotesi in cui il pericolo di persecuzione non sussiste nella parte di territorio del paese di origine dalla quale proviene il richiedente, essendo tale ipotesi diversa da quella prevista dall’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, non recepita nel nostro ordinamento, in cui il pericolo di persecuzione sussiste nel territorio di provenienza, ma potrebbe tuttavia essere evitato con il trasferimento in altra parte del territorio del medesimo paese in cui tale pericolo non sussiste” (Cass. 28433/2018);

4. avendo riguardo al secondo motivo – ove la critica concerne l’omessa enunciazione diretta delle ragioni di diniego della protezione umanitaria e il mancato confronto comparativo – anche richiamando l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza alla condizione che lo stesso “comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto” (Cass. 8915/2018), si deve rilevare che tali condizioni non sussistono; infatti la doglianza, risolvendosi in un’inammissibile denuncia di un vizio di motivazione (Cass. s.u. 8053/2014), non si accompagna alle necessarie specificazioni, in particolare antagonistiche a quelle adottate dalla corte ed invero si caratterizza per una critica complessiva alla sentenza impugnata sovrapponendo, da un lato, alla interpretazione delle norme adottata dalla corte territoriale, sulla base degli accertamenti in fatto riportati in sentenza, proprie interpretazioni dei medesimi fatti che “neppure si confrontano con i passaggi essenziali, in fatto ed in diritto, che hanno condotto la Corte d’appello a ritenere infondata l’impugnazione” (Cass. 27393/2019); dall’altro lato, il motivo trascura di indicare quali fatti indicati nel merito in comparazione sarebbero stati travisati o non considerati, trovando pertanto applicazione nella specie il principio per cui “l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione… Una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere dell’autorità giudiziaria di cooperazione istruttoria, e, quindi, di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, poichè è evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè, d’altronde, avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo” (Cass. 1533/2020);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

 

 

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