Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23837 del 15/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 15/11/2011), n.23837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.G., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

TRIESTE 87, presso lo studio dell’avvocato BELLI BRUNO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati SILVAGNA LUCIA,

REVERBERI MELI SARA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.E., in proprio, già Dirigente Scolastico Istituto

Statale D’Arte “Paolo Toschi” di (OMISSIS);

– intimato –

e contro

MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, in persona del Ministro pro

tempore, IL PROVVEDITORATO AGLI STUDI DI PARMA, in persona del

Provveditore pro tempore, IL DIRIGENTE SCOLASTICO DELL’ISTITUTO

STATALE D’ARTE “PAOLO TOSCHI”, domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li

rappresenta e difende, ope legis, (ATTO DI COSTITUZIONE dep. il

09/12/2009 in atti);

– resistenti con mandato –

avverso la sentenza n. 662/2006 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 12/02/2007 R.G.N. 619/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato RAPISARDA GIUSEPPE MARIA FRANCESCO per delega BRUNO

BELLI;

udito l’Avvocato FIGLIOLIA ETTORE per l’Avvocatura dello Stato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto da L.G. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Parma, accertata l’illegittimità del provvedimento di sospensione cautelare adottato nei confronti della ricorrente con atto ministeriale del 29.1.2001 di convalida del provvedimento urgente emesso dal Dirigente Scolastico dell’Istituto Statale Turchi, aveva respinto le ulteriori domande proposte dalla ricorrente, ed in particolare quella di condanna del Ministero della Pubblica Istruzione, del Provveditorato agli Studi di Parma e del Dirigente Scolastico dell’Istituto Statale d’Arte “Paolo Toschi” al risarcimento di tutti i danni patrimoniali, non patrimoniali e morali, ad essa asseritamente derivati dall’adozione di tale illegittimo provvedimento. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta ritenendo che la ricorrente non avesse specificamente allegato nè dimostrato l’esistenza di tali danni, derivandone l’infondatezza della relativa domanda.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione L.G. affidandosi a tre motivi di ricorso.

Il Ministero della Pubblica Istruzione, il Provveditorato agli Studi di Parma e il Dirigente Scolastico dell’Istituto Statale d’Arte “Paolo Toschi” hanno depositato un “atto di costituzione”, con cui hanno chiesto il rigetto del ricorso.

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 28 Cost., dell’art. 2043, 1223 e 1226 c.c., nonchè dell’art. 75 c.p.c., chiedendo a questa Corte di stabilire se “nel giudizio promosso dal docente di scuola media superiore per l’ottenimento del risarcimento dei danni all’immagine, al prestigio ed al diritto di espletare le proprie funzioni, connessi con un sospensione cautelare, di cui sia stata dichiarata l’illegittimità per insussistenza dei relativi presupposti, sia dotato di legittimazione passiva anche il dirigente scolastico che, in via urgente, abbia adottato il relativo provvedimento, poi convalidato con atto ministeriale”.

2.- Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 2 Cost., artt. 1223 e 2043 c.c., formulando il seguente quesito di diritto:

“se l’esecuzione di un provvedimento di sospensione cautelare, di cui sia stata dichiarata l’illegittimità per insussistenza dei relativi presupposti, disposto nei confronti di un docente di scuola media superiore, sia inevitabilmente foriera di danni all’immagine, al prestigio ed al diritto di espletare le proprie funzioni, senza, perciò, che il lavoratore sia tenuto a fornire la prova di dette conseguenze pregiudizievoli, dovendosi esse ritenere sussistenti in re ipsa”.

3.- Con il terzo motivo si lamenta la contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero circa la prova presuntiva del danno esistenziale, all’immagine, alla reputazione e morale patiti dalla ricorrente in conseguenza della sospensione cautelare.

4.- Il primo motivo è inammissibile, gli altri due infondati.

La ricorrente assume che la Corte territoriale avrebbe erroneamente negato la sussistenza della legittimazione passiva del dirigente scolastico (che aveva assunto il provvedimento urgente di sospensione cautelare della ricorrente dal servizio) sul presupposto che la lavoratrice avesse inteso esercitare un’azione di responsabilità contrattuale nei confronti della pubblica amministrazione, rispetto alla quale l’unico soggetto passivamente legittimato a contraddire doveva essere individuato nel Ministero della Pubblica Istruzione, con il quale era in essere il rapporto di impiego della ricorrente.

La Corte territoriale, tuttavia, ha argomentato la decisione sul punto non solo sulla base della esatta individuazione della natura della responsabilità dedotta dalla ricorrente a fondamento della domanda risarcitoria, ma anche sul rilievo che “il provvedimento di sospensione cautelare resta normativamente (D.Lgs. n. 297 del 1994, ex art. 506, commi 3 e 4) riconducibile al Ministero della Pubblica Istruzione, dato che la deliberazione assunta dal Dirigente Scolastico del 18.1.2001 si è interamente risolta nel successivo provvedimento ministeriale del 29.1.2001”, dovendosi quindi ritenere che “la titolarità dell’azione disciplinare, siccome di esclusiva competenza ministeriale, abbia interrotto ogni possibile nesso causale tra l’iniziativa del Capo dell’Istituto e i danni asseritamente subiti per effetto del provvedimento considerato illegittimo”, con la conseguenza che “va, in ogni caso, esclusa la legittimazione passiva” del dirigente scolastico. Tale autonoma ratio decidendi non è stata sottoposta dalla ricorrente a specifiche censure, sicchè il motivo di impugnazione deve ritenersi inammissibile in base al principio per cui ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario – per giungere alla cassazione della pronuncia – che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura e che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, che mira alla cassazione della sentenza, ossia di tutte le ragioni che autonomamente la sorreggono (cfr. ex plurimis Cass. n. 7626/2010, Cass. n. 24540/2009).

5.- Quanto alle censure espresse con il secondo e il terzo motivo, va rilevato che le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 26972 del 2008 (ed altre rese nella stessa udienza) hanno ribadito che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003; Cass. n. 16004/2003), che deve essere allegato e provato, disattendendo la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso – parlando di “danno evento” – e così l’affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, e ciò perchè “la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo”. Per quanto attiene alla prova del danno, le Sezioni unite hanno ammesso che essa possa fornirsi anche per presunzioni semplici, fermo restando però l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto da cui desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio, ovvero “tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”.

Applicando detti principi al caso in esame, si deve concludere che, anche a voler riconoscere il diritto al risarcimento dei danni di cui la ricorrente ha dedotto l’esistenza, i motivi in esame vanno rigettati per l’assorbente ragione che le censure della L. si sono concentrate esclusivamente sulla questione della risarcibtlità del danno, ma non hanno specificamente investito la statuizione con cui i giudici di merito hanno ritenuto che la ricorrente non avesse allegato, prima ancora che provato, l’esistenza dei danni dedotti in giudizio e che a tale carenza non si potesse sopperire mediante la richiesta di liquidazione equitativa del danno, dato che l’accertata illegittimità del provvedimento di sospensione cautelare non poteva esentare la parte dall’onere su di essa gravante della allegazione e della relativa prova dei fatti idonei a determinare la lamentata situazione di danno; nè con il ricorso si è lamentata la mancata valutazione, da parte della Corte territoriale, di elementi di fatto dedotti nei gradi di merito e non valutati. Come si è detto, infatti, il danno non è in re ipsa (nello stesso senso Cass. sez. unite n. 3677/2009; Cass. sez. unite n. 6572/2006), ma va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo, peraltro, precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi, che solo dall’interessato possono essere dedotti, si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, che soccorrono nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove.

6.- In conclusione, la sentenza impugnata, per essere adeguatamente motivata, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giuridici in precedenza enunciati, si sottrae alle censure che le sono state mosse in questa sede di legittimità.

7.- Il ricorso deve essere pertanto respinto con la conferma della sentenza impugnata.

In una valutazione globale dell’esisto della lite, si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; spese compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2011

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