Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23834 del 15/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 15/11/2011), n.23834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

Sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PISISTRATO 11, presso lo studio dell’avvocato ROMOLI GIANNI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROMANO FRANCESCO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 15/2007 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 18/05/2007 R.G.N. 1/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito l’Avvocato ROMOLI GIANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

1. Con ricorso depositato il 12 maggio 2006 L.G.L. conveniva l’INPS davanti al Tribunale di Trento, in funzione di giudice del lavoro. Il ricorrente, che aveva prestato lavoro dipendente in Svizzera, ottenendo il trasferimento all’INPS dei contributi ivi accreditati, era titolare di pensione VO n. (OMISSIS), con decorrenza dall’aprile 1990. Tale pensione era stata calcolata, con il sistema retributivo, all’esito del trasferimento all’INPS dei suddetti contributi. La retribuzione di riferimento a tale fine era stata determinata con riguardo all’entità delle aliquote contributive svizzere, più bassa di quella italiane.

Il L. chiedeva la riliquidazione del proprio trattamento pensionistico, tenendo conto di quanto effettivamente percepito, nel periodo lavorato in Svizzera, e non di quanto figurativamente ricostruito dall’INPS, sulla base della maggiore aliquota contributiva italiana.

2. si costituiva l’INPS chiedendo il rigetto del ricorso.

3. Il Tribunale di Trento, con sentenza n. 153/2006 del 27 ottobre 2006, accoglieva la domanda, affermando che in caso di trasferimento in Italia dei contributi accreditati in Svizzera, nella determinazione del trattamento pensionistico in base al metodo cosiddetto retributivo occorreva fare riferimento alla retribuzione effettivamente percepita in Svizzera. Pertanto, condannava l’INPS a riliquidare il trattamento di pensione in questione, maggiorati i ratei, nel frattempo maturati, degli interessi legali fino al saldo e del maggior danno da svalutazione, liquidato sulla base della differenza tra la variazione percentuale degli indici ISTAT, intervenuta dal 121 giorno successivo a quello di maturazione del diritto fino ad oggi, ed il saggio legale degli interessi.

4. L’INPS impugnava la suddetta sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Trento, che rigettava il ricorso con la sentenza n. 15 dell’8 marzo – 18 maggio 2007. In particolare, il giudice di appello, riteneva applicabile l’art. 1 dell’Accordo aggiuntivo alla Convenzione tra l’Italia e la Svizzera relativa alla sicurezza sociale del 14 dicembre 1962, concluso a Berna il 4 luglio 1969 (in quanto successivo al D.P.R. n. 488 del 1968, art. 5, che aveva sancito il passaggio dal sistema contributivo a quello retributivo) e ratificato con L. 18 maggio 1973, n. 283, ed attribuiva all’art. 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, carattere innovativo del quadro normativo, con la conseguenza che lo stesso non poteva applicarsi che dalla data della sua entrata in vigore.

5. Ricorre l’INPS, nei confronti del L., per la cassazione della suddetta sentenza. L’INPS prospetta quale primo motivo di impugnazione la violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Deduce, quindi, in subordine, una duplice violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Ad avviso del ricorrente, erroneamente la Corte d’Appello non ha riconosciuto carattere interpretativo alla suddetta disposizione, non dando corso all’applicazione nella fattispecie in esame, attribuendo, invece, alla stessa carattere innovativo, ex nunc. L’INPS chiede, quindi se la disposizione di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 abbia efficacia retroattiva e si applichi ad una pensione che decorre da data anteriore al 1 gennaio 2007 che non sia stata liquidata sulla scorta di criteri più favorevoli rispetto a quelli contemplati dal legislatore nella citata disposizione.

6. Resiste con controricorso L.G.L., chiedendo il rigetto del ricorso e in subordine la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 in relazione agli artt. 3 e 38 Cost., con la conseguente sospensione del giudizio.

7. In prossimità dell’udienza il L. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., con la quale, dato atto che nelle more del giudizio è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 172 del 2008, che ha ritenuto la natura interpretativa del suddetta L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 rigettando la relativa questione di legittimità costituzionale. Anche l’INPS ha depositato memoria, con la quale insisteva nelle conclusioni già rassegnate.

Diritto

1. Il ricorrente nel giudizio a quo ha svolto attività di lavoro dipendente in Svizzera, maturando un periodo di contribuzione previdenziale di cui ha chiesto il trasferimento dalla assicurazione sociale elvetica a quella italiana.

Nella presente controversia questa Corte è chiamata, in primo luogo, a pronunciarsi sulla applicazione alla fattispecie in esame della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 in ragione del primo e principale motivo di impugnazione articolato dall’INPS. 2. La citata norma prevede il D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5, comma 2 e successive modificazioni, si interpreta nel senso che, in caso di trasferimento presso l’assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri è determinata moltiplicando l’importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l’aliquota contributiva per invalidità, vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono. Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici più favorevoli già liquidati alla data di entrata in vigore della presente legge.

Il suddetto art. 5, comma 2, a sua volta, stabilisce per retribuzione annua pensionabile si intende la terza parte della somma delle retribuzioni determinate ai sensi dell’art. 27 e seguenti del testo unico delle norme sugli assegni familiari, estese all’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti della L. 4 aprile 1952, n. 218, art. 17 risultanti dalle ultime 156 settimane coperte da contribuzione effettiva in costanza di lavoro o figurativa antecedenti la data di decorrenza della pensione. A tal fine, con decreti del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per il tesoro, sentito il consiglio di amministrazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale entro il 31 dicembre 1968, sarà stabilito un nuovo sistema di versamento dei contributi dovuti all’assicurazione generale predetta, che consenta la rilevazione diretta della retribuzione assoggettata a contributo.

Le modifiche sulle regole del computo della retribuzione pensionabile, introdotte da successive disposizioni di legge, non rilevano ai fini del presente esame.

3. In ordine alla richiamata norma della legge finanziaria, la Corte d’Appello di Trento ha affermato che la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 ha introdotto elementi di novità quali l’esplicazione di un criterio di calcolo che è diverso da quello espresso dalle leggi in vigore e richiamato espressamente dal suddetto D.P.R. n. 488 del 1968, art. 5 come si evince dal raffronto testuale delle disposizione. La norma interpretativa ha, pertanto, contenuto innovativo e non può pertanto che applicarsi dalla data della sua entrata in vigore.

Su tale statuizione del giudice di secondo grado s’incentra, come si è sopra esposto, il primo motivo di impugnazione prospettato dall’INPS in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

4. Occorre rilevare che la questione delle cosiddette “pensioni svizzere”, presenta un articolato quadro normativo e giurisprudenziale, sviluppatosi nel tempo, nella pendenza del presente giudizio, in ordine al quale è opportuno procedere ad un breve riepilogo.

4.1. L’art. 1 dell’Accordo aggiuntivo alla Convenzione tra l’Italia e la Svizzera relativa alla sicurezza sociale del 14 dicembre 1962, Accordo concluso a Berna il 4 luglio 1969, cui è stata data esecuzione con la Legge di Ratifica 18 maggio 1973 n. 283, che trova applicazione nel caso di specie, recita al primo comma i cittadini italiani hanno la facoltà, in deroga alle disposizioni dell’art. 7 della Convenzione, di chiedere, al verificarsi dell’evento assicurato in caso di vecchiaia secondo la legislazione italiana, il trasferimento alle assicurazioni sociali italiane dei contributi versati da loro stessi e dai loro datori di lavoro all’assicurazione sociale svizzera ove non abbiano ancora beneficiato di alcuna prestazione dell’assicurazione vecchiaia, superstiti e invalidità svizzera, a condizione che essi abbiano lasciato la Svizzera per stabilirsi definitivamente in Italia (…). Il comma 2 regola la connessa perdita di ogni diritto nei confronti dell’assicurazione svizzera e il comma 3 disciplina l’utilizzazione in Italia dei contributi, prevedendo: le assicurazioni sociali italiane utilizzano a favore dell’assicurato o dei suoi superstiti i contributi trasferiti al fine far loro conseguire i vantaggi derivanti dalla legislazione italiana, citata dall’art. 1 della Convenzione, secondo le disposizioni particolari emanate dalle autorità italiane. Se in base alle disposizioni della legislazione italiana non derivi all’assicurato o ai suoi superstiti, dal trasferimento dei contributi, alcun vantaggio nel regime delle pensioni, le assicurazioni sociali italiane rimborsano agli interessati i contributi trasferiti.

Al momento della stipulazione del suddetto Accordo aggiuntivo del 1969 era già stata introdotta in Italia la cosiddetta pensione retributiva (citato D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5).

In base all’art. 10 del secondo Accordo aggiuntivo alla medesima convenzione del 1962, firmato a Berna il 2 aprile 1980 e ratificato con L. 7 ottobre 1981, n. 668 la normativa sul trasferimento dei contributi è stata applicata ai fini del conseguimento della pensione di anzianità.

4.2. In presenza del richiamato quadro normativo, questa Corte, con la sentenza n. 4623 del 2004 (v. anche Cass., Sezione lavoro, sentenze n. 20731 del 2004 e n. 7455 del 2005), nel rigettare il ricorso dell’INPS, statuiva che la circostanza che siano stati applicate aliquote contributive diverse e più basse di quelle in vigore in Italia non può indurre a introdurre una corrispondente riduzione anche della retribuzione di riferimento, perchè un tale procedimento, non previsto dalla legge, comporterebbe un’arbitraria modificazione dei criteri di determinazione della pensione. Del resto l’entità delle aliquote contributive non sono un elemento rilevante ai fini della determinazione della pensione in base alla retribuzione percepita nell’ultimo periodo lavorativo, potendo le aliquote variare per legge nel corso del tempo, oppure essere determinati in misura diversa a seconda delle varie categorie produttive o di lavoratori o in presenza di situazioni particolari.

4.3. Successivamente, interveniva la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 sopra citato, che prevedeva che la retribuzione percepita all’estero, da porre a base del calcolo della pensione, doveva essere riproporzionata al fine di stabilire lo stesso rapporto percentuale previsto per i contributi versati nel nostro Paese nel medesimo periodo, così introducendo, nell’ordinamento, una interpretazione della disciplina applicabile, di senso non favorevole rispetto alle posizioni degli assicurati.

4.4. La Corte di cassazione con ordinanza n. 5048 del 5 marzo 2007 sollevava questione di legittimità costituzionale della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 in riferimento all’art. 3 Cost., comma 1, all’art. 35 Cost., comma 4, e all’art. 38 Cost., comma 2.

4.5. La Corte costituzionale con la sentenza n. 172 del 2008 – che ha esaminato, tra l’altro, censure analoghe a quelle prospettate dal resistente L. nel controricorso, e che, dunque, non possono essere riproposte – nel dichiarare non fondata la relativa questione di costituzionalità, ha affermato che tale disposizione ha reso esplicito un precetto già contenuto nelle disposizioni oggetto dell’interpretazione autentica.

La norma censurata, ha affermato la Corte costituzionale, assegnando alla disposizione interpretata un significato rientrante nelle possibili letture del testo originario, non determina alcuna lesione dell’affidamento del cittadino nella certezza dell’ordinamento giuridico. Dunque, il Giudice delle Leggi ha ritenuto non ravvisabile un caso di ius superveniens che disciplina ex novo la materia, la cui applicazione “retroattiva” alle fattispecie non esaurite potrebbe ledere interessi costituzionalmente protetti.

Non sussiste, altresì, violazione del principio di eguaglianza, sancito dall’art. 3 Cost., comma 1, perchè la salvezza delle posizioni dei lavoratori, cui già sia stato liquidato il trattamento pensionistico secondo un criterio più favorevole, risponde, questo sì, all’esigenza di rispettare il principio dell’affidamento ed i diritti ormai acquisiti di detti lavoratori.

Non è leso neppure l’art. 35 Cost., comma 4, perchè la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777, non attribuisce al lavoro prestato all’estero un trattamento deteriore rispetto a quello svolto in Italia, ma anzi assicura la razionalità complessiva del sistema previdenziale, evitando che, a fronte di una esigua contribuzione versata nel Paese estero, si possano ottenere le stesse utilità che chi ha prestato attività lavorativa esclusivamente in Italia può conseguire solo grazie ad una contribuzione molto più gravosa.

Infine, non è ravvisabile un contrasto con l’art. 38 Cost., comma 2, perchè la norma censurata non determina alcuna riduzione ex post del trattamento previdenziale spettante ai lavoratori. Ed infatti, in base al sistema retributivo di computo delle pensioni erogate dall’assicurazione generale obbligatoria, introdotto dal D.P.R. n. 488 del 1968, la pensione si calcola applicando un coefficiente (proporzionato al numero complessivo di settimane di contribuzione vantate dall’interessato) alla retribuzione annua pensionabile, vale a dire alla retribuzione annua media percepita dal lavoratore durante un certo periodo di riferimento. Interventi legislativi succedutisi nel tempo hanno definito in maniera diversa i criteri di determinazione della retribuzione pensionabile, come il D. P. R. n. 488 del 1968, art. 5, comma 2. Tuttavia, afferma il Giudice delle Leggi nella sentenza n. 172 del 2008, caratteristica comune delle norme di definizione della retribuzione pensionabile è che esse si collocano nell’ambito di un sistema previdenziale tendente alla corrispondenza fra le risorse disponibili e le prestazioni erogate. E ciò anche in ossequio al vincolo imposto dall’art. 81 Cost., comma 4.

4.6. Successivamente alla sentenza della Corte costituzionale n. 172 del 2008, questa Corte modificava il proprio orientamento giurisprudenziale.

Con la sentenza n. 23754 del 2008 – nel confermare la sentenza impugnata, che aveva respinto la domanda, proposta da una assicurata nei confronti dell’I.N.P.S., di riliquidazione della pensione di anzianità, in godimento dal gennaio 1996, sulla base della retribuzione percepita in Svizzera negli ultimi cinque anni di lavoro, invocando la Convenzione tra Italia e Svizzera sulla sicurezza sociale del 14 dicembre 1962, e i successivi accordi aggiuntivi, ratificata con la L. n. 283 del 1973 – statuiva che in base al D.P.R. n. 488 del 1968, art. 5, comma 2 come interpretato autenticamente dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 – che ha superato il vaglio di legittimità costituzionale a seguito della sentenza n. 172 del 2008 della Corte costituzionale, in ipotesi di trasferimento presso l’assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri è determinata moltiplicando l’importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l’aliquota contributiva per invalidità, vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono.

4.7. Con la sentenza di questa Corte, Sezioni Unite, n. 17076 del 2011, in via incidentale, è stato ribadito il carattere di disposizione di interpretazione autentica dell’art. 1, comma 777, in esame.

5. Tanto premesso, la Corte rileva che, nel presente giudizio, è chiamata a fare applicazione del suddetto L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777.

Ed infatti, la norma trova applicazione nella fattispecie in esame sia perchè la disciplina sostanziale – che ha superato il vaglio di costituzionalità con riguardo all’art. 35 Cost., comma 4 e art. 38 Cost., comma 2, e al principio di uguaglianza – riguarda le modalità di determinazione della retribuzione pensionabile in presenza di contributi versati all’estero e trasferiti presso l’assicurazione generale obbligatoria, fattispecie su cui verte l’odierna controversia; sia, perchè, avendo la stessa esplicitato un precetto già contenuto nelle disposizioni oggetto dell’interpretazione autentica, non incontra, come ritenuto dal Giudice delle Leggi, i limiti applicativi dello ius superveniens innovativo.

6. In ordine alla suddetta disposizione si palesa, tuttavia, ulteriore e diversa questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sottoscritta dall’Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), secondo il quale ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (pubblicamente ed in un termine ragionevole) da un tribunale (indipendente ed imparziale, costituito per legge) chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e, in particolare, in relazione ai principi enunciati rispetto alla fattispecie esaminata, con la sentenza della seconda Sezione del 31 maggio 2011, resa nel caso Maggio e altri contro Italia (ricorsi nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08), divenuta definitiva il 31 agosto 2011.

7. La questione di costituzionalità che si solleva con la presente ordinanza è senza dubbio rilevante, posto che, come sopra esposto, la causa dovrebbe essere decisa con l’applicazione della disposizione dettata dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777.

Tale questione involge il rapporto tra fonti e Corti nazionali e sovranazionali, tenuto conto che detta norma ha costituito oggetto di pronunce, tra loro “dialoganti”, del Giudice nazionale, della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nella prospettazione dell’attuale dubbio di costituzionalità, assume peculiare rilievo la pronuncia della Corte di Strasburgo resa nel caso Maggio, intervenuta, come si è detto, sulla L. n. 296 del 2007, art. 1, comma 777 quando tale disposizione aveva già superato il vaglio del Giudice delle Leggi – come dato atto dalla stessa Corte EDU – con un conseguente mutamento della giurisprudenza di legittimità in materia.

8. A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 (da ultimo Corte costituzionale, sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011), la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, par. 1, della Convenzione) – integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. Tale ricostruzione è stata ribadita dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 dalla sentenza n. 80 del 2011.

La Corte costituzionale ha affermato che nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU (che deve essere applicata nel significato attribuito dalla Corte EDU, cfr.

citate sentenze n. 113 e n. 1 del 2011), il giudice nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilità di un’interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica (sentenze n. 93 del 2010, n. 113 del 2011, n. 311 e n. 239 del 2009).

Se questa verifica da esito negativo e il contrasto non può essere risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna nè farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la CEDU, e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilità proponendo questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, ovvero all’art. 10 Cost., comma 1, ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e n. 311 del 2009).

Sempre il Giudice delle Leggi ha affermato che, sollevata la questione di legittimità costituzionale, lo stesso – dopo aver accertato che il denunciato contrasto tra norma interna e norma della CEDU sussiste e non può essere risolto in via interpretativa – è chiamato a verificare se la norma della Convenzione – norma che si colloca pur sempre ad un livello sub-costituzionale – si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione. In questa, seppure eccezionale, ipotesi, deve essere esclusa l’idoneità della norma convenzionale a integrare il parametro costituzionale considerato (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348 del 2007).

Non si tratta, invero, da parte della Corte costituzionale, di sindacare l’interpretazione della norma CEDU operata dalla Corte di Strasburgo, ma di verificare la compatibilità della norma CEDU, nell’interpretazione del giudice cui tale compito è stato espressamente attribuito dagli Stati membri, con le pertinenti norme della Costituzione. In tal modo, risulta realizzato un corretto bilanciamento tra l’esigenza di garantire il rispetto degli obblighi internazionali voluto dalla Costituzione e quella di evitare che ciò possa comportare per altro verso un vulnus alla Costituzione stessa (sentenza n. 349 del 2007).

9. Quindi, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, quando sorga il dubbio di un contrasto tra una norma nazionale ed una della Convenzione – da far valere per il tramite dell’art. 117 Cost., comma 1, non potendo operare la disapplicazione – il giudice nazionale deve verificare se effettivamente sussista contrasto, non risolvibile in via interpretativa, tra la norma interna e le norme della CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo ed assunte, come si è detto, quali fonti integratrici del parametro di costituzionalità di cui all’art. 117 cost., comma 1.

10. Questa Corte ritiene che la questione di costituzionalità della L. n. 296 del 2007, art. 1, comma 777 in riferimento ai parametri costituzionali sopra invocati, non sia risolvibile in via interpretativa e, oltre ad essere rilevante, superi il vaglio della non manifesta infondatezza.

11. La Corte EDU ha ritenuto che con l’art. 1, comma 777, lo Stato italiano ha violato i diritti dei ricorrenti di cui all’art. 6, par.

1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo intervenendo in modo decisivo per garantire che l’esito del procedimento in cui esso era parte gli fosse favorevole.

La sentenza CEDU pone a fondamento del decisum le seguenti argomentazioni:

– benchè non sia precluso al legislatore disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo contenuti nell’art. 6 precludono, tranne che per impellenti motivi di interesse generale, l’interferenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia (p. 43);

– benchè le regole pensionistiche previste dalla legge possano cambiare e non si possa fare affidamento su una sentenza come garanzia contro tali cambiamenti in futuro, anche se tali cambiamenti sono svantaggiosi per alcuni beneficiari di prestazioni previdenziali, lo Stato non può interferire in modo arbitrario nella procedura giudiziaria (p. 43);

– nel caso in esame, la legge ha escluso espressamente dal suo ambito di applicazione le sentenze diventate irrevocabili (trattamenti pensionistici già liquidati) e ha fissato retroattivamente i termini delle controversie davanti ai tribunali ordinari. Invero la promulgazione della L. n. 296 del 2006, mentre i procedimenti erano pendenti, in realtà ricadeva sul merito delle controversie, e la sua applicazione da parte dei vari tribunali ordinari ha privato di rilievo, per un intera categoria di persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti, la prosecuzione del giudizio. Perciò, la legge aveva l’effetto di modificare definitivamente l’esito del giudizio pendente, nel quale lo Stato era parte, approvando la posizione dello Stato a svantaggio dei ricorrenti (p. 44);

– al fine di determinare se vi è stato un motivo impellente di interesse generale in grado di giustificare tale misura, il rispetto della preminenza del diritto e delle regole del processo equo impone che le ragioni addotte per giustificare tale misura siano valutate con il massimo grado di cautela possibile (p. 45);

– considerazioni di carattere finanziario non possono, da sole, giustificare che il legislatore si sostituisca al giudice al fine di risolvere le controversie (p. 47);

– dopo il 1982, l’INPS ha applicato un’interpretazione della legge in vigore all’epoca che era più favorevole ad esso quale autorità erogatrice. Questo sistema non era sostenuto dalla maggioranza della giurisprudenza. La Corte non riesce a immaginare in quale modo il fine di rafforzare un’interpretazione soggettiva e parziale, favorevole a un “ente dello Stato”, quale parte nel procedimento, possa equivalere a una giustificazione dell’interferenza legislativa mentre il procedimento era pendente, in particolare quando tale interpretazione era stata ritenuta fallace nella maggioranza delle occasioni dai tribunali nazionali, compresa la Corte di cassazione (p. 48);

– quanto alla tesi del Governo secondo cui la legge era stata necessaria per ristabilire un equilibrio nel sistema pensionistico, eliminando qualsiasi vantaggio goduto dalle persone che avevano lavorato in Svizzera e versato contributi inferiori, la Corte accetta che vi fosse un motivo di interesse generale, ma non è convinta del fatto che esso fosse sufficientemente impellente da superare i pericoli inerenti all’utilizzo della legislazione retroattiva, che ha l’effetto di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia pendente in cui lo Stato era parte (p. 49).

12. Si rileva, dunque, che la decisione della Corte di Strasburgo non si fonda sulla qualificazione del carattere interpretativo o innovativo della disposizione (su cui si è già pronunciata, in particolare, la Corte costituzionale) in quanto l’incidenza della norma sopravvenuta sui giudizi in corso, di per sè, non costituisce la ragione della ritenuta violazione dell’art. 6, par. 1, CEDU, nella parte in cui stabilisce, come ricorda la sentenza Maggio, “Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente, …

da parte di un tribunale … che deciderà sia in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile…”.

Tale violazione, invece, è stata ravvisata nella circostanza che la soluzione interpretativa della norma, coincidente con quella adottata dall’INPS (ente dello Stato), si sarebbe riverberata sull’esito dei giudizi, senza la sussistenza di motivi imperativi di interesse generale, interessi che, peraltro, sono alla base dell’esercizio del potere legislativo, ritenuti non integrati dalla necessità – dedotta dallo Stato – di procedere ad un riequilibrio del sistema pensionistico.

12.1. La Corte EDU – in un caso analogo (relativo al personale ATA):

pronunce del giudice ordinario, norma interpretativa, sentenza della Corte costituzionale, sentenza Corte Strasbrurgo – con la sentenza del 7 giugno 2011, non definitiva, Agrati e altri c. Italia (ricorsi nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09), ha affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di disciplinare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo, sanciti dall’art. 6, ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia. La Corte rammenta inoltre che l’esigenza della parità delle armi implica l’obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilità di prospettare le proprie ragioni senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte.

Analoghi principi sono stati affermati, altresì, nella sentenza del 25 novembre 2010, Lilly c. Francia, e nella sentenza dell’11 febbraio 2010, Javaugue c. Francia.

13. Nella fattispecie in esame, ritiene questa Corte che, in riferimento dell’art. 6, par. 1, della CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, nelle sentenze richiamate e nella sentenza Maggio (in uno all’art. 117 Cost., comma 1), si prospetti il dubbio di legittimità costituzionale della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 rispetto al quale non sortisce esito favorevole il tentativo dell’odierno interprete di offrire una lettura conforme alla Convenzione.

Infatti la verifica di compatibilità della norma censurata con la Convenzione – in ragione degli elementi valorizzati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per ritenere ammissibili le disposizioni interpretative, ravvisando la sussistenza di motivi imperativi di interesse generale – è già stata effettuata, con esito negativo, dalla sentenza Maggio.

Si può ricordare (v. sentenza Corte cost., n. 1 del 2011) che la legittimità di norme nazionali interpretative concernenti disposizioni oggetto di procedimenti nei quali è parte lo Stato, è stata, invece, in altri casi riconosciuta dalla Corte di Strasburgo:

a- in presenza di “ragioni storiche epocali”, come nel caso della riunificazione tedesca, unitamente alla considerazione della sussistenza effettiva di un sistema che aveva garantito alle parti, che contestavano le modalità del riassetto, l’accesso a, e lo svolgimento di, un processo equo e garantito, caso Forrer-Niederthal c. Germania, sentenza del 20 febbraio 2003; b- per ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore, al fine di porre rimedio ad una imperfezione tecnica della legge interpretata, sentenza 23 ottobre 1997, National &

Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito; sentenza del 27 maggio 2004, Ogis-institut Stanislas, Ogec St. Pie Xe Bianche De Castille e altri c. Francia.

Tanto premesso, non può, nella specie, per le ragioni esposte, questo Giudice sostituire il proprio giudizio a quello della Corte EDU (sentenza Maggio) nella valutazione della rispondenza dell’approvazione della norma, alla sussistenza degli stringenti motivi di interesse generale, assunti dallo Stato alla base del proprio intervento legislativo.

Ciò ancor più, tenuto conto che la Corte costituzionale, in via di principio, ha affermato di non poter sostituire la propria interpretazione di una disposizione della CEDU a quella della Corte di Strasburgo, mentre può, però, valutare come ed in qual misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare l’art. 117 Cost., comma 1 da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che segue, in termini di interpretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni cui questa Corte è chiamata in tutti i giudizi di sua competenza (Corte cost. sentenze n. 236 del 2011, n. 317 del 2009 del 2011, n. 348 del 2007).

14. Alla luce di quanto appena sopra richiamato, si osserva, infine, che è riservato in via esclusiva alla Corte costituzionale, a fronte di una dedotta violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in riferimento a disposizioni della CEDU, e rientra, dunque, nello spazio officioso del complessivo vaglio di legittimità costituzionale, e quindi, anche nel thema decidendum della questione di costituzionalità oggi sollevata, il controllo del rispetto dei cosiddetti “controlimiti”.

Detto controllo, assume peculiare rilievo nel caso di specie, nel quale è già intervenuta una sentenza della Consulta che ha vagliato, proprio con riguardo all’art. 1, comma 777, diversi parametri costituzionali invocati rispetto alla disciplina sostanziale, ed ha fatto riferimento, inoltre, ai principi di cui all’art. 81 Cost., considerato, altresì, che la Corte costituzionale ha affermato che fare salvi i motivi imperativi d’interesse generale che suggeriscono al legislatore nazionale interventi interpretativi nelle situazioni che qui rilevano non può non lasciare ai singoli Stati contraenti quanto meno una parte del compito e dell’onere di identificarli, in quanto nella posizione migliore per assolverlo, trattandosi, tra l’altro, degli interessi che sono alla base dell’esercizio del potere legislativo. Le decisioni in questo campo implicano, infatti, una valutazione sistematica di profili costituzionali, politici, economici, amministrativi e sociali che la Convenzione europea lascia alla competenza degli Stati contraenti, come è stato riconosciuto, ad esempio, con la formula del margine di apprezzamento, nel caso di elaborazione di politiche in materia fiscale, salva la ragionevolezza delle soluzioni normative adottate (sentenza Corte cost., n. 311 del 2009).

15. Per le ragioni sopra esposte, ritiene la Corte che sussiste la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 296 del 2009, art. 1, comma 777 in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), come interpretato dalla Corte di Strasburgo, in particolare, con sentenza resa nel caso Maggio e altri c. Italia.

P.Q.M.

La Corte, visti l’art. 134 Cost. e la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 dichiara rilevante e non manifestamente infondata – in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), sottoscritta dall’Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), come interprato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e in particolare dalla sentenza del 31 maggio 2011, resa nel caso Maggio e altri c. Italia – la questione di legittimità costituzionale della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 777 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge Finanziaria 2007).

Dispone la sospensione del procedimento n. 22178/07. Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Ordina alla cancelleria che la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di legittimità ed al Presidente del Consiglio dei ministri e che essa sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2011

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