Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23833 del 14/11/2011

Cassazione civile sez. I, 14/11/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 14/11/2011), n.23833

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20948/2010 proposto da:

M.F., con domicilio eletto in Roma, Via Giulia di

Colloredo n. 46/48, presso l’Avv. DE PAOLA Gabriele che lo

rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

per la cassazione de decreto della Corte d’appello di Venezia n.

644/08 R.R. depositato il 15 giugno 2009;

e sul ricorso n. 20953/2010 proposto da:

P.M., con domicilio eletto in Roma, Via Giulia di

Colloredo n. 46/48, presso l’Avv. Gabriele De Paola che lo

rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Venezia n.

625/08 R.R. depositato il 3 luglio 2009;

e sul ricorso n. 20955/2010 proposto da:

N.G., con domicilio eletto in Roma, Via Giulia di

Colloredo n. 46/48, presso l’Avv. Gabriele De Paola che lo

rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Venezia n.

723/08 R.R. depositato il 18 giugno 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

giorno 20 ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per

l’accoglimento dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.F., P.M. e N.G. ricorrono separatamente per cassazione nei confronti dei decreti della Corte d’appello che, liquidando a ciascuno Euro 1.650,00 per anni sei e mesi nove di ritardo, hanno accolto parzialmente i loro ricorsi con i quali è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti alla Corte dei Conti del Veneto dal 4.8.1997 al 7.6.2007 (sent. n. 565/07).

L’intimata Amministrazione ha proposto difese solo nei procedimenti n. 20953/07 e 20955/07.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi debbono preliminarmente essere riuniti benchè siano stati proposti avverso decisioni diverse. Premesso che sono principi già affermati quelli secondo cui “La riunione dei procedimenti, in applicazione della norma generale di cui all’art. 274 c.p.c., è ammessa anche nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, atteso che, tra i compiti di quest’ultima, oltre a quello istituzionale di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale, rientra anche l’altro di assicurare l’economia ed il minor costo dei giudizi, risultati cui mira la menzionata norma del codice di rito civile” (Cassazione civile, sez. 3^, 20/12/2005, n. 28227) e “La riunione delle impugnazioni, obbligatoria ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove Investano la stessa sentenza, può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, in relazione a ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia; ed invero dalle disposizioni del codice di rito prescriventi l’obbligatorietà della riunione, in fase di impugnazione, di procedimenti forma/mente distinti, in presenza di cause esplicitamente ritenute dal legislatore idonee a giustificare la trattazione congiunta (art. 335 c.p.c. e art. 151 disp. att. c.p.c.), è desumibile un principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto” (Cassazione civile, sez. 2^, 17/06/2008, n. 16405), non vi è dubbio che le ragioni che giustificano la trattazione congiunta nella fattispecie sussistano in quanto le pretese delle parti traggono origine dalla durata, ritenuta eccessiva, dello stesso giudizio al quale hanno congiuntamente partecipato e non sono stati evidenziati elementi che differenzino le diverse posizioni.

Entrambi i motivi, uguali per tutti i ricorsi, con i quali si deduce violazione della L. n. 89 del 2001 e della Convenzione nonchè difetto di motivazione in relazione alla quantificazione del danno non patrimoniale che il giudice del merito ha determinato in Euro 250,00 per ogni anno eccedente il periodo di tre anni ritenuto ragionevole, e che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 della Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facoltà di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purchè in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340); in particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sui ricorso n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilità di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarità della fattispecie, quali l’entità della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630).

Da tali principi consegue che non è giuridicamente rilevante, ai fini dell’attribuzione di una somma apprezzabilmente inferiore rispetto a detto standard minimo, il riferimento alla modestia della posta in gioco e al carattere collettivo del ricorso.

I ricorsi devono dunque essere accolti. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750,00 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che è pari a Euro 1.000,00 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, il Ministero dell’Economia e delle Finanze deve essere condannato al pagamento di Euro 6.000,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di anni sei e mesi nove di irragionevole ritardo quale determinato dal giudice del merito.

L’accoglimento solo parziale della domanda giustifica la compensazione in ragione della metà delle spese del giudizio di merito, mentre il residuo e le spese di questa fase debbo essere poste a carico dell’Amministrazione soccombente.

P.Q.M.

la Corte, riuniti i ricorsi, li accoglie; cassa i decreti impugnati e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e delle Finanze al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 6.000,00, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione della metà delle spese del giudizio di merito che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 1.626,00, di cui Euro 566,00 per diritti e Euro 1.010,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, spese distratte in favore dei difensori antistatari Francesco e Gabriele De Paola, compensato il residuo, e di quelle del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.400,00 di cui Euro 1.300,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2011

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