Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23829 del 14/11/2011

Cassazione civile sez. I, 14/11/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 14/11/2011), n.23829

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18479/2010 proposto da:

C.D., + ALTRI OMESSI

tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ANDREA DORIA 48, presso lo studio

dell’avvocato ABBATE Ferdinando Emilio, che li rappresenta e difende,

giuste deleghe in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 53296/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

9.2.09, depositata il 21/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Ranieri Roda (per delega avv.

Ferdinando E. Abbate) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. LIBERTINO

ALBERTO RUSSO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che C.D. e gli altri trentasette ricorrenti indicati in epigrafe, con ricorso del 2 luglio 2010, hanno impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato in data 21 maggio 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dei predetti ricorrenti – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale ha concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare a ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 6.000,00 a titolo di equa riparazione, oltre agli interessi dalla data della deliberazione del decreto, ed ha liquidato le spese del giudizio, determinandole in Euro 600,00 con l’aumento del venti per cento per ogni ricorrente oltre il primo.

che il Ministro dell’economia e delle finanze, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva.

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 10.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con distinti ricorsi del 2007 era fondata sui seguenti fatti: a) gli odierni ricorrenti, asseritamente creditori di rivalutazione ed interessi su somme tardivamente loro corrisposte dal Ministero della giustizia, avevano proposto – con ricorso del gennaio 1995 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza dell’11 novembre 1998; c) il Consiglio di Stato, adito dall’Amministrazione della giustizia, aveva deciso l’appello con sentenza del 22 gennaio 2007;

che la Corte d’Appello di Roma, con il suddetto decreto impugnato – detratti tre anni di ragionevole durata del processo presupposto di primo grado ed ulteriori due anni del processo d’appello – ha liquidato per i residui sei anni di irragionevole ritardo, a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale, la somma di Euro 6.000,00, oltre gli interessi legali dalla data del decreto al saldo.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, vengono denunciati come illegittimi: a) la determinazione del periodo di irragionevole durata del processo presupposto in sei anni, anzichè in sette anni; b) la affermata decorrenza degli interessi sul liquidato indennizzo dalla data del decreto, anzichè dalla data della proposizione della domanda di equa riparazione; e) la violazione dei minimi tariffari forensi nella liquidazione delle spese di giudizio di merito;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito indicati;

che, in particolare, la censura sub a) è manifestamente fondata;

che, infatti, il processo presupposto è iniziato nel gennaio 1995 ed è stato definito in grado d’appello il 22 gennaio 2007, con la conseguenza che la sua durata complessiva è pari a dodici anni, con l’ulteriore conseguenza che – detratti cinque anni di ragionevole durata per i due gradi del processo – residua un periodo di irragionevole durata pari a sette anni;

che anche la censura sub b) è manifestamente fondata;

che, infatti, questa Corte ha già ripetutamente affermato che, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il diritto ad un’equa riparazione in caso di mancato rispetto del termine ragionevole del processo, avente carattere indennitario e non risarcitorio, non richiede l’accertamento di un illecito secondo la nozione contemplata dall’art. 2043 cod. civ., nè presuppone la verifica dell’elemento soggettivo della colpa a carico di un agente, essendo invece ancorato all’accertamento della violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cioè di un evento ex se lesivo del diritto della persona alla definizione del suo procedimento in una durata ragionevole, e l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione configurandosi non già come obbligazione ex delieto ma come obbligazione ex lege, riconducibile, in base all’art. 1173 cod. civ., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico, con la conseguenza che dal carattere indennitario di tale obbligazione discende che gli interessi legali possono decorrere, semprechè richiesti, dalla data della domanda di equa riparazione, in base al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere di incertezza e di illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria, mentre, in considerazione del predetto carattere indennitario dell’obbligazione, nessuna rivalutazione può essere accordata (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8712 del 2006 e 2248 del 2007);

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato, in relazione alla censure accolte, sia perchè determina la durata irragionevole del processo in sei anni anzichè n sette anni, sia perchè determina la decorrenza degli interessi sulla somma capitale dalla data della deliberazione del decreto impugnato al saldo, anzichè dalla data della proposizione della domanda di equa riparazione al saldo;

che la censura sub c) è conseguentemente assorbita;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado e di due anni per il giudizio d’appello, è equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che, in applicazione di tale principio, a ciascuno dei ricorrenti spetta l’indennizzo di Euro 6.250,00 per i sette anni di irragionevole durata del giudizio presupposto, oltre gli interessi a decorrere dalla data di proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, ai fini della liquidazione delle spese processuali, il processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, nè rientra tra quelli speciali di cui alla tabelle A) e B) allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50, paragrafo 7 e voce 75, paragrafo 3), per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa allegata a detto decreto ministeriale, i procedimenti in Camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 25352 del 2008);

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 5.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 4.300 per diritti (Euro 600,00+Euro 3.700,00 per gli altri trentasette ricorrenti) ed Euro 1.500,00 per onorari – così aumentati in ragione della pluralità delle parti difese -, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisene antistatari;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

PQM

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondere a ciascun ricorrente la somma di Euro 6.250,00 oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore delle parti ricorrenti, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 5.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 4.300,00 per diritti ed Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisene antistatari, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 1.300,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dello stesso avv. Abbate, dichiaratosene antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2011

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