Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23828 del 02/09/2021

Cassazione civile sez. II, 02/09/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 02/09/2021), n.23828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22992-2019 proposto da:

E.F., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARCO LANZILAO, ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA, VIALE

ANGELICO 38;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– resistente –

avverso il decreto n. 2792/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA depositato

il 17/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

E.F., cittadino del (OMISSIS), proponeva opposizione avanti al Tribunale di Bologna avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale di diniego della domanda di riconoscimento della protezione internazionale e della protezione c.d. umanitaria.

Il ricorrente narrava che il padre, bracciante, era morto in data (OMISSIS) per il morso di un serpente, poiché lui e la sua famiglia non avevano il denaro per portarlo in ospedale e si erano quindi rivolti ad un guaritore tradizionale; che da allora la famiglia dipendeva dal dichiarante, che lavorava come commesso in un negozio di te’ o come bracciante senza tuttavia guadagnare abbastanza; che la madre e le sorelle facevano ogni tanto dei lavori come domestiche, ma che non riuscivano a comprare da mangiare; che sia la madre che il padre avevano ottenuto prestiti ad interessi usurari per farlo partire; che la madre non lavorava più perché ammalata e che le sorelle per paura non si recavano più al lavoro, a causa delle minacce dei creditori di prenderle e far loro del male; che la loro casa era stata presa dai creditori del padre e le sorelle erano andate a vivere in una casa fatiscente, fatta di bamboo e col tetto di plastica, che una persona aveva dato loro gratis.

Con decreto n. 2792/2019 depositato il 17/06/2019, il Tribunale di Bologna rigettava il ricorso.

Avverso tale decreto il richiedente propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione alla udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ex “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, (L’)omesso/errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente”.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Costituisce dunque principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

1.3. – Ciò posto, questa Corte osserva come, viceversa, la parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretenda, ora, una nuova valutazione del giudizio di credibilità del richiedente, proponendo censure che confinano con tutta evidenza sul terreno delle mere valutazioni di merito, come tali rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, (la) mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine: violazione o falsa applicazione dell’art. 10 Cost.. Contraddittorietà tra le fonti citate, il loro contenuto e le conclusioni raggiunte. Motivazione solo apparente”.

2.1. – Con il terzo motivo, il ricorrente censura ex “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, (la) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 4,5,6, e 14 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8. Difetto di motivazione e travisamento dei fatti” in ordine alle condizioni del suo Paese di origine.

2.2. – I motivi, da esaminare congiuntamente attesa la connessione logica che li avvince, sono infondati.

I fatti allegati non attengono in alcun modo a situazioni di violenza indiscriminata, derivante da conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative a vicende meramente personali e familiari connesse alla situazione di indigenza della famiglia, pressata dagli usurai. Sicché tali circostanze hanno ragionevolmente indotto il giudice di merito a ritenere che il ricorrente possa essere considerato migrante economico, non riconducibile alla previsione di cui all’art. 1 della Convenzione di Ginevra e al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 8. Il giudice di merito ha peraltro accertato, mediante il ricorso a fonti internazionali aggiornate, citate nel provvedimento, la inesistenza di una situazione di violenza indiscriminata, al di là della instabilità del Paese di provenienza del ricorrente, e la infondatezza del timore del ricorrente di subire danni in caso di rientro.

3. – Con il quarto motivo, il ricorrente censura ex “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (che) il Tribunale ha omesso ed errato a non applicare al ricorrente la protezione, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa esser perseguitato nel suo paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.. Omesso esame delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del paese di provenienza”.

3. – Il quarto motivo è infondato. Il giudice di merito ha escluso nella specie la sussistenza di seri motivi di carattere umanitario avendo effettuato una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento alle sue condizioni di vita in Italia ed alla situazione da lui vissuta prima della partenza dal suo Paese di origine nonché a quella cui si troverebbe esposto in caso di rimpatrio. Ha concluso che non è emersa alcuna condizione seria di vulnerabilità dello stesso, tenendo conto delle condizioni di vita che troverebbe nel suo Paese, ove conserva anche i propri legami familiari. Ha osservato che lo svolgimento di attività lavorativa in Italia con contratti a termine, e lo svolgimento di lavori socialmente utili, non sono sufficienti, da soli, a dimostrare un suo radicamento sociale e lavorativo nel territorio nazionale, che, peraltro, non può costituire fattore esclusivo del riconoscimento della protezione umanitaria. Ha, infine, considerato le allegate condizioni di salute del ricorrente, rilevando che dalla documentazione da lui prodotta emergono un leucoma corneale, trattato con prescrizione di un collirio per venti giorni, ed un’ulcera gastrica in relazione alla quale la biopsia ha evidenziato lievi note di flogosi cronica. Del resto, il Tribunale ha evidenziato che lo stesso ricorrente in udienza aveva rappresentato di non avere più i problemi di salute che avevano caratterizzato il periodo di sua permanenza in Libia.

4. – Il ricorso va rigettato. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto idonea attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021

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