Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23827 del 02/09/2021

Cassazione civile sez. lav., 02/09/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 02/09/2021), n.23827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28413-2015 proposto da:

M.M., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIANPAOLO DI PIETTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2444/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/05/2015 R.G.N. 10182/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/03/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa città, ha ritenuto, per quanto qui ancora interessa, l’infondatezza della domanda con cui M.M. aveva chiesto accertarsi, nei confronti del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (di seguito, MAECI), l’illegittimità della graduatoria con cui, in sede di ammissione alla riqualificazione per l’accesso alla posizione superiore C3, ella aveva ricevuto una valutazione dell’anzianità di servizio di soli 6 punti, mentre gliene sarebbero spettati a suo dire 7,5, con domanda cui la ricorrente, essendo medio tempore andata in pensione, aveva poi aggiunto una richiesta risarcitoria per le differenze retributive perdute;

la Corte d’Appello sottolineava come non fosse contestato il fatto che la ricorrente non avesse allegato alla domanda di partecipazione una autodichiarazione o documentazione per il periodo dal 8.10.1985 al 7.1.1988 e rilevava come gli atti del fascicolo personale presso la Direzione Generale per il Personale del Ministero coprissero solo, attraverso una dichiarazione del preside dell’Istituto Da Vinci, il periodo fino al 7.10.1985;

la Corte territoriale rilevava altresì, con riferimento alla valutazione dei titoli, la mancanza di elementi per affermare l’esistenza di un grado sufficiente di probabilità di superamento degli altri candidati da parte della M., anche in caso di corretto svolgimento delle valutazioni di selezione e riteneva non accoglibile la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, stante la carenza di deduzione e prova del tipo e dell’entità del pregiudizio subito;

2. M.M. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti dal Ministero con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo, sostenendo che la sentenza sarebbe viziata da un macroscopico errore di fatto e dall’omessa valutazione delle numerose prove documentali offerte;

1.1 da un primo punto di vista la ricorrente richiama la corrispondenza intercorsa tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (di seguito, MIUR) e MAECI, con particolare riferimento al telegramma inviato dal MAECI in cui si dava conoscenza del cambio di destinazione della Dott.ssa M. da (OMISSIS) a (OMISSIS), con decorrenza dal 1.9.1987, da cui doveva desumersi che, almeno fino al settembre 1987, il servizio era stato prestato presso il MIUR, al quale altrimenti non vi era alcuna necessità di trasmettere quel telegramma, così come non spiegabile sarebbe la trasmissione del medesimo anche al provveditorato agli studi;

M.M. richiama altresì la “documentazione prodotta dalla ricorrente sub doc. n. 1 la quale attesta chiaramente la sua continuità nel ruolo per 15 anni”, ovverosia dal 1977 al 1992;

i predetti profili di censura sono inammissibili, in quanto, rispetto alla partecipazione ad una selezione, non hanno rilievo i titoli, anche di servizio, di cui si dia eventualmente prova in causa, ma quanto sia stato ritualmente presentato, sulla base del bando, alla Commissione preposta alle valutazioni del caso;

rispetto ai documenti sopra citati nulla consente di evincere, dal ricorso per cassazione, che essi fossero stati, secondo i criteri di cui si dirà meglio di seguito, prodotti in sede di domanda di partecipazione alla selezione o in quel frangente espressamente indicati e presenti nel fascicolo personale presso il datore di lavoro;

i fatti di cui si assume l’omesso esame non sono pertanto decisivi, come invece richiesto dall’art. 360 c.p.c., n. 5;

1.2 sotto un diverso profilo, la M., nel medesimo motivo, assume che lo stesso certificato del 7.10.1985, cui aveva fatto riferimento la Corte di merito, essendo relativo all’insegnamento di ruolo in scuola secondaria, doveva essere considerato valido quantomeno fino a tutto il relativo anno scolastico, ovvero sino al 30.6.1986;

nel motivo si aggiunge ancora che, nella domanda di partecipazione al concorso in data 29.1.1991, la ricorrente aveva affermato di essere docente di ruolo nelle scuole superiori di secondo grado, collocata fuori ruolo a disposizione del MAECI e che il concorso stesso era destinato solo a personale di ruolo, sicché da ciò doveva desumersi la sussistenza del requisito di servizio ritenuto carente;

a proposito di tali argomenti, va detto che la documentazione destinata a comprovare i requisiti ed i titoli in sede di selezione deve consentire, con un significativo grado di immediatezza, di desumere dai documenti i dati richiesti, non potendosi richiedere a chi svolga la selezione tra più concorrenti, di svolgere argomentazioni in termini di probabilità o comunque presuntivi;

ciò anche per selezioni che, come quella di specie, secondo quanto si dirà di seguito, sono svolte sulla base della capacità datoriale di diritto privato, dovendosi pur sempre assicurare certezza, secondo il regime di buona fede e correttezza che governa comunque la fattispecie, alle regole di comparazione e rigorosa parità di trattamento, di cui l’immediata pertinenza dei documenti alla dimostrazione dei titoli è anch’essa espressione;

non integra i predetti requisiti l’ipotesi formulata secondo cui dalla certificazione del 7.10.1985 si sarebbe dovuta desumere la permanenza in ruolo per tutto l’anno scolastico e quindi, quanto meno, fino al 30.6.1986;

tale ipotesi non integra intanto l’omesso esame, come si indica nella rubrica del motivo, di un fatto storico, in quanto essa consiste in una diversa valutazione del significato di quel documento;

inoltre non è neppure spiegato perché la certificazione riferita a quella data, non trascritta in violazione del principio della c.d. autosufficienza, necessariamente attestasse il servizio anche per epoca successiva;

insondabile è altresì la ragione per cui la dichiarazione contenuta nella domanda di partecipazione al concorso del 29.1.1991 di essere docente di ruolo nelle scuole superiori di secondo grado fosse in sé idonea a dimostrare, tanto più secondo i menzionati parametri di diretta ed immediata evidenza, il servizio di ruolo prestato tra l’8.10.1985 ed il 7.1.1988, per il quale secondo la Corte territoriale era mancata la rituale allegazione in sede concorsuale;

anche in tale parte il motivo è dunque inammissibile per difetto di decisività;

1.3 infine, il motivo assume che, sempre nella domanda di partecipazione al concorso, era stato precisato che tutta la documentazione relativa ai servizi anteriori alla nomina nei ruoli del MAECI era prodotta presso l’Ufficio V della Direzione Generale Affari Amministrativi Bilancio e Patrimonio (di seguito DGAABP) per le pratiche di riscatto a fini pensionistici;

in proposito, la Corte d’Appello ha precisato che “in conformità all’art. 3 del bando di concorso, “la Commissione esaminatrice aveva stabilito che saranno oggetto di valutazione i titoli posseduti al 13 maggio 2002 espressamente elencati nella domanda dei candidati purché allegati in originale o in copia alla domanda stessa, ovvero acquisiti al fascicolo personale”, mentre “non saranno valutati… i titoli dichiarati che non siano autocertificati ovvero allegati alla domanda e non risultino acquisiti al fascicolo personale”, precisando poi, con richiamo alla pronuncia del Tribunale, che il riferimento andava al “fascicolo personale custodito presso la Direzione Generale del Personale del Ministero degli Affari Esteri” (di seguito, DGPE);

a parte che il fascicolo presso la DGAAPB cui ha fatto riferimento la ricorrente nella propria domanda è diverso dal fascicolo presso la DGPE, dal ricorso per cassazione non risulta che, nella predetta domanda, fosse stato indicato espressamente, come richiesto in sede di concorso secondo la ricostruzione operata dalla Corte territoriale e sopra riportata, un certo documento utile a comprovare il servizio nel periodo rispetto al quale è poi emersa una carenza rispetto alle attestazioni di servizio;

pertanto, il motivo anche in questa parte, è carente quanto a decisività;

2. sull’aspetto appena segnalato, ma sotto il profilo di diritto della violazione della L. n. 241 del 1990, art. 18, comma 2, si incentra invece il secondo motivo, rubricato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e finalizzato a far rilevare come la norma citata preveda che qualora l’interessato dichiari che stati, fatti e qualità sono attestati in documenti già in possesso della stessa amministrazione procedente o di altra pubblica amministrazione, il responsabile del procedimento provvede d’ufficio alla loro acquisizione;

anche tale motivo va tuttavia disatteso;

si deve intanto considerare che, allorquando si tratta di selezioni per progressioni orizzontali, non vengono in evidenza atti amministrativi di ambito concorsuale, ma atti di gestione dei rapporti di lavoro e dunque paritetici, per quanto caratterizzati anche da valutazioni datoriali (Cass. 31 ottobre 2008, n. 26295);

non è dunque in sé corretto il richiamo alle norme sul procedimento amministrativo, cui restano estranee le attività che il datore di lavoro pubblico svolge in esercizio di poteri di mero diritto privato;

l’osservazione non esaurisce tuttavia il problema, in quanto il datore di lavoro privato è pur sempre soggetto all’osservanza degli obblighi di buona fede e correttezza, il cui contenuto, rispetto alla valutazione di documenti già in suo possesso è da ritenere analogo a quanto stabilito dalla norma evocata dalla ricorrente, i cui fondamenti logici si radicano nel medesimo principio giuridico per cui la parte deve prestarsi ad oneri di collaborazione che siano finalizzati a salvaguardare l’interesse della controparte.

l’art. 18, comma 2, tuttavia afferma, nella sua prima parte, che “i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento, sono acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente”, ma aggiunge, dopo un inciso sui documenti in possesso di altra P.A. che qui non interessa, che “l’amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti”;

il che, tradotto in termini privatistici, sta a significare che il datore di lavoro non può chiedere al lavoratore la produzione di documenti che siano già in suo possesso, ma ciò resta subordinato all’indicazione specifica dei documenti (come è nell’art. 18, comma 2, prima parte) e di elementi utili al loro reperimento (come è nell’art. 18, comma 2, u.p.), con assetto la cui razionalità intrinseca rispetto ad un normale andamento dei rapporti giuridici e ancora più quando si tratti, come è nel caso di specie, di P.A. complesse e di grandi dimensioni, è indiscutibile e tale dunque da poter essere assunto altrettanto normalmente a base del ragionamento sul rispetto delle regole di buona fede; ciò posto e venendo su tali premesse alla valutazione del caso concreto, il motivo fa riferimento alla generica affermazione, contenuta nella domanda, secondo cui “la documentazione inerente i servizi anteriori alla nomina nei ruoli MAECI è prodotta all’Ufficio V della DGAAPB per le pratiche di riscatto a fini pensionistici”;

la censura, quindi, si fonda su affermazione che, per quanto fornisca un elemento utile al reperimento, continua in realtà a non colmare l’esigenza di specifica indicazione dei documenti in sede di domanda di partecipazione alla selezione, parimenti necessaria a loro reperimento ed alla loro valorizzazione;

in definitiva, quanto addotto, non è anche in questo caso idoneo ad inficiare la ratio decidendi, nella parte in cui la Corte d’Appello ha fatto riferimento alla disposizione della Commissione che, in attuazione dell’art. 3 del bando, aveva richiesto una necessaria – e qui carente – espressa identificazione dei titoli; quella ratio decidendi resta pertanto intatta a sorreggere la decisione;

3. il terzo motivo denuncia (art. 360 c.p.c., n. 5) l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla prova del danno patrimoniale patito dalla ricorrente a causa dell’inadempimento datoriale;

con esso si assume che se la Corte territoriale avesse correttamente computato l’anzianità di servizio della ricorrente, il mero calcolo matematico dei punteggi l’avrebbe fatta rientrare nella rosa dei vincitori;

il motivo è ininfluente, in quanto, una volta disattesi i motivi che riguardano l’an della considerazione dell’anzianità di servizio ritenuta indimostrata, evidentemente non rileva il fatto che, se quell’anzianità fosse stata riconosciuta, la M. sarebbe rientrata nel novero dei vincitori, né rilevano le questioni sul risarcimento del danno, che non può esservi in mancanza di riscontro di un comportamento illegittimo della P.A.;

4. per le varie ragioni sopra indicate i motivi sono quindi tutti inammissibili e alla pronuncia segue la regolazione secondo soccombenza delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.500,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021

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