Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23824 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/10/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 28/10/2020), n.23824

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15953/2015 R.G. proposto da:

P.V., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Bagnato,

in virtù di mandato in calce al ricorso, elettivamente domiciliato

presso lo studio legale Avv. Valeria Anatiello, in Roma, Via Claudio

Monteverdi n. 20;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 6941/2014, depositata il 17 dicembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 dicembre

2019 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto da P.V. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Como (sentenza n. 57/3/2013), che aveva rigettato il ricorso introduttivo del contribuente contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2007, che, a seguito di processo verbale di constatazione, anche con gli accertamenti bancari di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, aveva rinvenuto sui conti correnti della moglie e della madre, entrambe prive di reddito, la somma di Euro 70.451,73, di cui Euro 61.255,73 per accreditamenti non giustificati e quella di Euro 9.196,00 per prelevamenti. Il giudice di appello, dopo aver dichiarato cessata la materia del contendere in relazione alla pretesa Iva per Euro 187,50 e l’inammissibilità di domande nuove sollevate dal contribuente solo in sede di impugnazione (anche in relazione all’Irap), evidenziava che non vi era corrispondenza tra gli importi incassati e la documentazione contabile, che il contraddittorio preventivo era solo una facoltà per l’amministrazione, che i movimenti contabili sui conti correnti della madre e della moglie, non titolari di reddito, dovevano essere imputati all’impresa.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce “violazione di legge. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7; violazione del principio generale di rilevanza comunitaria del diritto al contraddittorio preventivo in sede amministrativa. Violazione del principio di leale collaborazione. Violazione del diritto di difesa del contribuente nella fase amministrativa precontenziosa”, in quanto l’avviso di accertamento non ha tenuto conto delle osservazioni e dei chiarimenti forniti dal contribuente nel corso del contraddittorio preventivo, “risultando, quindi, inficiato da nullità l’atto impositivo emesso in difformità dal modello procedimentale” (cfr. pagina 11 del ricorso per cassazione).

La Commissione regionale, poi, ha ritenuto erroneamente che il contraddittorio endoprocedimentale è solo una facoltà per l’amministrazione.

1.1. Tale motivo è infondato.

Anzitutto, si rileva che è lo stesso ricorrente a riconoscere che si è svolto il contraddittorio preventivo con l’Agenzia delle entrate, limitandosi a contestare che nell’avviso di accertamento non si è tenuto conto delle giustificazioni da lui fornite in tale sede, prospettando, quindi, per tale ragione, la nullità dell’atto impositivo.

(cfr. pagina 2 del ricorso per cassazione “la Guardia di finanza..concedeva solo il ristretto termine di giorni quindici per provvedere al reperimento dei documenti relativi alle operazioni bancarie contestate…Pur in mancanza della documentazione tempestivamente e reiteratamente richiesta dal contribuente, quest’ultimo presentava una memoria il cui contenuto, però, gli accertatori della G.d.f. ritennero di non approfondire…il contribuente si determinava a presentare alla competente Agenzia delle entrate una ulteriore memoria…contenente puntuali osservazioni e repliche all’operato degli accertatori”).

Tuttavia, per questa Corte, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823); con la precisazione, peraltro, che la violazione del diritto di difesa, ed in particolare del diritto di essere sentiti, determina l’invalidità del provvedimento conclusivo solo se in mancanza di tale irregolarità il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso, come si desume dalle sentenze della Corte di giustizia del 3 luglio 2014 in C129/13 e del 22 ottobre 2013 in C-276/12, essendo necessario che il contribuente prospetti un risultato diverso (Cass., 29 luglio 2015, n. 16036).

Sotto questo aspetto si rileva che il contraddittorio endoprocedimentale si è svolto tra le parti.

Inoltre, si è ritenuto che è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente L. n. 212 del 2000 ex art. 12, comma 7, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo (Cass., sez. 5, 31 marzo 2017, n. 8378; Cass., 24 febbraio 2016, n. 3583).

Nè, in questa sede, può farsi riferimento, come pretende il ricorrente (cfr. pagina 10 del ricorso per cassazione) al peculiare contraddittorio previsto dal legislatore ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, in tema di abuso del diritto e di disposizioni antilelusive.

Infatti, per questa Corte, solo nel caso di contestazione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, ai commi 4 e 5, si prevede un rigoroso procedimento d’instaurazione del contraddittorio, caratterizzato da scansioni predeterminate, in cui, a pena di nullità, l’avviso di accertamento deve essere emanato previa richiesta di chiarimenti al contribuente e deve essere specificamente motivato in relazione alle giustificazioni fornite, sicchè, concorrendo detta richiesta alla valutazione del fine elusivo dell’operazione, non possono considerarsi alla stessa equipollenti l’attività svolta dai verbalizzanti e le eventuali dichiarazioni del contribuente in sede di verifica (Cass., 30 gennaio 2018, n. 2239; Cass., 16 gennaio 2015, n. 693).

Va anche osservato che, ai fini delle imposte dirette, in caso di accertamenti bancari, la legittimità della ricostruzione della base imponibile mediante l’utilizzo delle movimentazioni bancarie acquisite non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato alla fase amministrativa, in quanto l’invito a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari costituisce per l’Ufficio una mera facoltà, da esercitarsi in piena discrezionalità, e non un obbligo, sicchè dal mancato esercizio di tale facoltà non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti (Cass., 5 dicembre 2014, n. 25770; Cass., 26 aprile 2017, n. 10249).

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente di duole della “violazione di legge. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. Omessa pronuncia su un motivo di gravame e conseguente nullità della sentenza per error in procedendo”, in quanto il giudice di appello ha omesso di pronunciare in ordine alla eccezione di nullità dell’avviso di accertamento con riferimento alla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

2.1. Tale motivo è infondato.

Invero, a pagina 6 della sentenza si legge che “la mancata instaurazione del contraddittorio, che non essendo un principio da cui è retta l’attività amministrativa, rientra, ad avviso della SC di Cassazione, nelle facoltà, non già negli obblighi dell’Ufficio”; sicchè dalla motivazione della sentenza emerge che vi è stata una risposta espressa da parte del giudice di appello alla specifica doglianza del contribuente.

Inoltre, si rileva che non vi è stato alcun accesso, in quanto l’accertamento si è svolto esclusivamente mediante indagini bancarie, sicchè non trova applicazione la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Peraltro, si è affermato che il termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non opera nell’ipotesi di accertamenti cd. a tavolino, salvo che riguardino tributi “armonizzati” come l’IVA, ipotesi nella quale, tuttavia, il contribuente che faccia valere il mancato rispetto di detto termine è in ogni caso onerato di indicare, in concreto, le questioni che avrebbe potuto dedurre in sede di contraddittorio preventivo (Cass., sez. 5, 27420/2018).

Nella specie, il contribuente non ha allegato le questioni che avrebbe potuto dedurre nel corso del contraddittorio preventivo.

3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la “violazione di legge. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36. Nullità della sentenza – motivazione meramente apparente”, in quanto il giudice di appello ha reso una motivazione in cui avrebbe pretermesso completamente gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento.

4. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sulla decisività del fatto-circostanza tra quelli c.d. principali della controversia”, in quanto il giudice di appello non ha esaminato il fatto storico della presentazione della memoria nella fase precontenziosa, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, sicchè non ha dichiarato l’illegittimità dell’avviso di accertamento “per manifesta difformità dal modello legale di riferimento”.

5. Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente deduce “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Omessa motivazione su un punto decisivo per la controversia. Motivazione inesistente”.

5.1. I motivi terzo, quarto e quinto, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

Si rileva, infatti, che la sentenza della Commissione regionale è stata depositata il 17-12-2014, sicchè trova applicazione il nuovo motivo di censura della motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11-9-2012.

Il fatto storico, il cui omesso esame, consente di impugnare la sentenza ai sensi del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non può certo essere rappresentato dal contenuto di una memoria presentata in fase precontenziosa.

Infatti, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass., n. 22397/2019; n. 26305/2018, per cui l’omesso esame di un fatto decisivo non è riscontrabile nell’omessa valutazione di deduzioni difensive).

Invero, a seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, , individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., n. 23940/2017; anche Cass., sez. un., 953/2014). Nella specie, il giudice di appello ha redatto una motivazione congrua e sufficiente che enuncia tutte le ragioni utilizzate per il rigetto dell’appello proposto dal contribuente, sicchè non può discettarsi di motivazione apparente o inesistente; la motivazione è presente nella sua rappresentazione grafica ed è anche comprensibile, logica e completa.

4. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 1, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

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