Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23823 del 11/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/10/2017, (ud. 19/09/2017, dep.11/10/2017),  n. 23823

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9176/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ROWAN ELETTRONICA SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 17/2009 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 12/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/09/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle Entrate, con ricorso affidato ad un motivo, ha impugnato la sentenza n. 17/18/09, depositata il 12/2/2009, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha rigettato l’appello proposto dall’Amministrazione fiscale, accolto quello incidentale proposto da Rowan Elettronica s.r.l., e riformato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza, la quale aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente contro il silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso di un credito Iva, presentata il 17/7/2004, per l’acquisto e utilizzo di autoveicoli impiegati nell’attività aziendale dal 2000 al 2004, limitatamente al periodo 2002 (luglio), 2003 e 2004, stante l’intervenuta decadenza, relativamente alle annualità precedenti, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, dovendo la restituzione essere richiesta entro due anni dal pagamento;

che la C.T.R. ha riconosciuto la fondatezza della pretesa restitutoria anche per il periodo dal 2000 al 2002, osservando che il dies a quo del diritto al rimborso “decorre dal momento a partire dal quale la somma oggetto della richiesta di rimborso è entrata nella disponibilità del Fisco e non già da quello in cui il relativo importo è stato corrisposto nell’ambito del negozio intercorso tra i privati”, e quindi “dalla data del versamento dell’Iva risultante dalla liquidazione relativa al periodo infrannuale in cui il diritto alla detrazione dell’Iva, se non fosse esistita la disposizione contenuta nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis1, lett. c) e d), avrebbe potuto essere esercitato”, e che, essendo stata presentata l’istanza della contribuente nel luglio 2004, “l’Iva in questione è quella divenuta esigibile a far data dal 1 gennaio 2000, dato che, a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, essa avrebbe potuto essere detratta con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello cui il diritto a detrazione era sorto”;

che la parte intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacchè la C.T.R., errando, ha riconosciuto alla contribuente la possibilità di richiedere il rimborso dell’Iva fino al quarto anno antecedente alla relativa istanza (dal 2000 al 2004), senza considerare che, ai fini della tempestività della domanda di rimborso, detto termine decorre dal pagamento dell’imposta – in tesi – non dovuta, e che la possibilità di recuperare l’imposta medesima, in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, operandone la detrazione fino alla dichiarazione relativa al secondo anno successivo, non impedisce la presentazione della richiesta di rimborso e, quindi, il decorso del relativo termine decadenziale, per cui formula il seguente quesito: “Dica codesta Suprema Corte se, in materia di rimborso Iva, a fronte di un’istanza di rimborso presentata nel luglio del 2004, sia possibile per il Giudice tributario (come ritenuto dalla C.T.R.) affermare che il contribuente possa cumulare il termine a lui concesso per effettuare la detrazione ed il diverso termine stabilito dalla legge per la presentazione dell’istanza di rimborso, in tal modo giungendo alla conclusione che è rimborsabile l’Iva pagata sino al quarto anno antecedente all’istanza di rimborso (nel caso di specie l’Iva pagata dal primo gennaio 2000), oppure se, invece, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21,comma 2, debba essere interpretato nel senso che al termine biennale di decadenza, ivi previsto, non possa essere cumulato alcun altro termine, in modo che il contribuente possa chiedere il rimborso dell’Iva pagata solo per i due anni antecedenti all’istanza di rimborso (nel caso di specie solo a partire dal luglio 2002) con la conseguenza che, in siffatti casi, erra il Giudice tributario che, a fronte di un’istanza di rimborso Iva presentata nel luglio 2004, conceda il rimborso de quo a partire dal primo gennaio 2000”;

che, invero, la domanda di rimborso non rientra tra quelle previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 (nel testo vigente all’epoca dei fatti), e perciò non è contemplata da disposizioni specifiche, va proposta a norma di quanto previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, disposizione secondo la quale “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione” (Cass. 8461/2005, 12433/2011, n. 5014/2015, n. 20964/2015, n. 21674/2015);

che, nel caso di specie, la contribuente ha manifestato la volontà di recuperare il credito d’imposta, per la prima volta, con la domanda di rimborso presentata il 17/7/2004, rispetto a crediti Iva vantati per gli anni dal 2000 al 2004 e, contrariamente a quanto affermato dalla C.T.R., la tempestività di tale domanda va verificata, rispetto al termine biennale di decadenza di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, citato art. 21, comma 2, ultimo periodo, avuto riguardo cioè alla data di pagamento dell’imposta, in quanto, come ha avuto modo di precisare questa Corte (Cass. n. 9034/2015), “In tema d’Iva, il D.L. 15 settembre 2006, n. 258, art. 1,convertito con L. 10 novembre 2006, n. 278, al fine di disciplinare il rimborso dell’imposta indebitamente pagata per gli acquisti e le importazioni di beni e servizi indicati nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19-bis, n. 1, comma 1, lett. c) e d), dichiarata incompatibile con il diritto comunitario, ha costituito, in deroga al principio dell’efficacia retroattiva delle sentenze del giudice europeo, un nuovo diritto alla ripetizione, con il relativo termine di esercizio, ma ha fatto salvo il diritto dei contribuenti che non abbiano aderito alla procedura di rimborso forfetario (o che non abbiano presentato l’istanza entro il 15 aprile 2007) di chiedere la restituzione dell’intera imposta, purchè la relativa domanda sia proposta nel termine di decadenza stabilito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2”;

che, infatti, in ossequio del “principio dell’efficacia dichiarativa delle sentenze del giudice Europeo, in guisa del quale la norma interna dichiarata in contrasto va conseguentemente disapplicata (17966/11; 26285/10) l’obbligo impositivo a suo tempo previsto dall’art. 19 bis, n. 1, lett. c) e d), è venuto meno sin dalla sua istituzione, di tal che l’indebito si è determinato all’atto del pagamento ed è da esso che conseguentemente decorre il dies a quo per la presentazione della domanda di rimborso” (Cass. n. 9034/2015 citata);

che, inoltre, questa Corte ha evidenziato (Cass. n. 20964/2015) che la suindicata regola “ha trovato un’unica e ben delimitata eccezione nel caso in cui il domanda di rimborso sia conseguita ad un provvedimento coattivo. E’ stato, infatti, più volte ribadito che” in materia di IVA, il soggetto passivo dell’imposta, dopo la scadenza del termine di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, può chiedere il rimborso dell’IVA non dovuta non già per qualsiasi imposta della quale il “committente di servizi” pretenda od abbia preteso il rimborso per la sua qualità di “prestatore di detti servizi”, nè per quella che esso abbia rimborsato spontaneamente, ma esclusivamente per quell’imposta che “ha dovuto rimborsare al committente” predetto, vale a dire per l’imposta il cui rimborso in favore del committente sia stato effettivamente eseguito in esecuzione di un provvedimento coattivo di rimborso a suo danno ed in favore del committente, la cui pretesa restitutoria, siccome idonea a far sorgere un qualche dovere di rimborso a carico del “prestatore di detti servizi”, non consente di superare la decadenza, eventualmente verificatasi, del “prestatore di detti servizi” dall’eventuale diritto di rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria finchè non si concretizza con l’adempimento dell’afferente comando imperativo da parte del prestatore di servizi. Il più breve termine di decadenza previsto dalla norma nazionale nel regolare i rapporti dello stesso con l’amministrazione finanziaria può, dunque, essere disapplicato solo per garantire il principio di effettività del diritto comunitario, ovvero per evitare che le conseguenze dei pagamenti indebiti dell’IVA imputabili allo Stato siano sopportate esclusivamente dal soggetto passivo in tale imposta” (cfr. Cass. nn.6600/2013, 25988/2014, 3627/2015)”;

che, pertanto, appare evidente l’errore in cui è incorsa la C.T.R. la quale, incomprensibilmente, ha tratto dallo ius superveniens (D.L. n. 258 del 2006) conferma della ritenuta “possibilità di cumulo dei due termini”, quello cioè previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, in forza del quale l’imposta “avrebbe potuto essere detratta con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto a detrazione era sorto”, e quello previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, il quale a propria volta sancisce la possibilità per il contribuente di dimostrare il diritto alla detrazione presentando apposita domanda di restituzione nel biennio;

che, in conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata cassata senza rinvio, e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, limitando il richiesto rimborso ai due anni antecedenti la presentazione della relativa domanda da parte della contribuente;

che l’evoluzione della vicenda processuale, e la parziale soccombenza, giustificano la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

PQM

 

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata senza rinvio e, decidendo nel merito, limita il rimborso ai due anni antecedenti la relativa istanza. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2017

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