Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23816 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/10/2020, (ud. 10/07/2019, dep. 28/10/2020), n.23816

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– ricorrente –

contro

S.E., rappresentato e difeso, innanzi alla Commissione

Tributaria Regionale dell’Emilia, dall’Avv. Giovanna Pititto;

– intimato –

Avverso la sentenza n. 155/15 pronunciata dalla Commissione

Tributaria Regionale di Bologna il 26.11.2014 e pubblicata il

26.01.2015;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consiglier

Di Marzio Paolo;

la Corte osserva.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.E., già dipendente della Banca Commerciale Italiana (Comit) ed iscritto al fondo pensione per il personale dell’Istituto di credito, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro (1993) otteneva l’accreditamento della capitalizzazione della pensione complementare aziendale. Su tale somma il datore di lavoro operava la ritenuta fiscale Irpef, calcolata sull’aliquota propria del contribuente.

S.E. presentava quindi, all’Agenzia delle Entrate, istanza di rimborso (parziale) della ritenuta operata dalla Comit sostenendo che, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), art. 17, comma 2, non avrebbe dovuto procedersi a trattenuta in relazione alle somme accumulate mediante contributi versati non dal datore di lavoro, bensì dal lavoratore.

Avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria, il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Parma, domandando riconoscersi il suo diritto a conseguire il rimborso. La CTP riteneva il ricorso fondato e lo accoglieva, osservando che ricorreva un’ipotesi di capitalizzazione di contributi pensionistici riferibili a prestazioni maturate anteriormente all’anno 2001, ed il regime applicabile doveva pertanto ritenersi quello vigente prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 47 del 2000, e pertanto il TUIR, art. 17, comma 2 (sent. CTR, p. 1). L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione innanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia, sostenendo che gli accantonamenti accumulati nella posizione dei contribuente presso il fondo di previdenza della Comit costituivano una forma di retribuzione differita, comunque percepita in conseguenza del rapporto di lavoro, e dovevano perciò essere assoggettati all’ordinaria imposizione, mentre la normativa di agevolazione invocata avrebbe potuto trovare applicazione, ai sensi del TUIR, art. 48, soltanto in relazione ai contributi versati dal lavoratore in base a disposizione di legge, e non in conseguenza di un accordo aziendale, come era invece avvenuto nel caso di specie.

Riteneva la CTR, però, che il ricordato art. 48 dovesse comunque leggersi in coordinato con il TUIR, art. 17, con la conseguenza che dovevano essere assoggettati a tassazione i contributi versati dal datore di lavoro, ma non quelli versati dal lavoratore, nella misura massima del quattro per cento dell’importo annuo percepito in dipendenza del rapporto di lavoro, indipendentemente dall’origine obbligatoria o volontaria della contribuzione (sent. CTR, p. 2). In conseguenza la CTR confermava la decisione di primo grado, e riconosceva anch’essa il diritto del contribuente a conseguire il rimborso richiesto.

Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico, articolato, motivo di ricorso. S.E. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il suo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Ente impositore contesta la violazione, da parte dell’impugnata CTR, del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), art. 48, comma 2, e art. 17, commi 1 e 2, perchè sono esentati dall’applicazione dell’imposizione i soli contributi versati dal lavoratore in conseguenza di una disposizione di legge quando si tratti, pertanto, di contributi obbligatori, ma non i contributi versati a titolo facoltativo.

2.1. – L’Agenzia delle Entrate critica la decisione adottata dalla CTR per aver erroneamente ritenuto che i contributi versati volontariamente dal lavoratore ad un fondo di previdenza integrativa aziendale, in conseguenza di un accordo privato, debbano essere ritenuti esenti dall’imposizione. Propone inoltre argomenti per affermare che, in ogni caso, anche i contributi posti formalmente a carico del lavoratore sono stati in realtà versati ed accantonati dal datore di lavoro.

La Suprema Corte ha chiarito, proprio in relazione ad analoga vicenda relativa ad altro ex dipendente della Banca Commerciale Italiana, che “l’imponibile delle prestazioni erogate dai fondi di previdenza complementare per il personale degli istituti bancari include… anche i contributi versati dal dipendente, attesa la loro natura facoltativa, essendo fiscalmente esenti, a norma del TUIR, art. 48, vigente ratione temporis (oggi art. 51), soltanto i contributi previdenziali obbligatori, quelli versati cioè “in ottemperanza a disposizioni di legge” (cfr. Cass. nn. 5024/2018, 2201/2018, 124/2018, 23030/2014, 11156/2010)”, Cass. sez. VI-V, 8.5.2019, n. 12210.

Ancor più ampiamente si è espresso questo Giudice di legittimità specificando che “secondo l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, la prestazione di capitale che un fondo di previdenza complementare per il personale di un istituto bancario (nella specie, il Fondo di previdenza complementare per il personale della Banca Commerciale Italiana) effettui in favore di un ex dipendente, in forza di accordo risolutivo di ogni rapporto inerente al trattamento pensionistico integrativo in godimento (cd. “zainetto”), costituisce, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, reddito della stessa categoria della “pensione integrativa” cui il dipendente ha rinunciato e va, quindi, assoggettato al medesimo regime fiscale cui sarebbe stata sottoposta la predetta forma di pensione. Ne consegue che la base imponibile su cui calcolare l’imposta è costituita dall’intera somma versata dal fondo, senza che sia possibile defalcare da essa i contributi versati, in quanto, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 48, lett. a) (nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003), gli unici contributi previdenziali e/o assistenziali che non concorrono a formare il reddito sono quelli versati in ottemperanza a disposizioni di legge (Cass. n. 11156 del 7/5/2010; n. 23030 del 29/10/2014; n. 124 del 4/1/2018). Del tutto inconferente risulta, peraltro, il richiamo al D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 12, comma 1, che si riferisce ai contributi previdenziali complementari effettivamente versati dai lavoratori, mentre nella fattispecie in esame i contributi sono stati solo formalmente versati dai lavoratori, ma effettivamente sono stati versati dal datore di lavoro.”, Cass. sez. V, 8.5.2019. 12154.

Non emergono, dalla lettura della impugnata decisione della CTR, elementi che inducano a modificare il riassunto e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che deve pertanto essere confermato, accogliendosi il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Rilevato che non appaiono necessari ulteriori accertamenti di fatto, e tenuto conto del disposto di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può essere decisa nel merito, conseguendone il rigetto della richiesta di rimborso proposta dal contribuente.

Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, in riferimento al giudizio di legittimità, e sono liquidate come in dispositivo. Le spese dei gradi di merito, tenuto conto del progressivo consolidarsi dell’esposto orientamento della Corte di legittimità, appare equo che siano dichiarate interamente compensate tra le parti.

La Corte:

P.Q.M.

accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente, che condanna al pagamento delle spese di lite del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.400,00, oltre spese prenotate a debito. Compensa tra le parti le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

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