Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23810 del 14/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 14/11/2011, (ud. 18/10/2011, dep. 14/11/2011), n.23810

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17765/2010 proposto da:

F.W. (OMISSIS), P.E.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VENTI

SETTEMBRE 15, presso lo studio dell’avvocato CIDDIO FRANCESCO,

rappresentati e difesi dagli avvocati DEFLORIAN Umberto, ISABEL

BRUNNER, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

DIRETTORE DELL’UFFICIO CACCIA E PESCA DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI

BOLZANO in persona del Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BASSANO DEL GRAPPA 24, presso lo studio

dell’avv. COSTA Michele, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati HANSJORG SILBERNAGL, RENATE VON GUGGENBERG e al Dott.

ALFREDO PISCHEDDA, giusta delega in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

P.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VENTI

SETTEMBRE 15, presso lo studio dell’avv. FRANCESCO CIDDIO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ISABEL BRUNNER, UMBERTO

DEFLORIAN, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 27/2010 della CORTE D’APPELLO di TRENTO –

Sezione Distaccata di BOLZANO del 24.3.2010, depositata il

03/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Francesco Ciddio (per delega avv.

Umberto Deflorian) che si riporta ai motivi del ricorso e chiede la

trattazione dello stesso in pubblica udienza;

udito per il controricorrente e ricorrente incidentale l’Avvocato

Costa Michele che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. UMBERTO

APICE che si riporta alla relazione scritta.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Si riporta la relazione redatta dal consigliere designato per l’esame preliminare ex art. 380 bis c.p.c.;

“Il relatore,letti gli atti relativi al ricorso di cui sopra;

premesso che con la sentenza in oggetto, in riforma di quella assolutoria di primo grado, appellata dall’ufficio in epigrafe, la corte altoatesina ha ritenuto il P. ed il F., opponenti L. n. 689 del 1981, ex art. 22, alle rispettive ordinanze – ingiunzioni, entrambi responsabili degli illeciti amministrativi di cui all’art. 4, comma 3 e art. 15, comma 1, lett. j), rispettivamente sanzionati dalla L. L.P. n. 14 del 1987, art. 39, comma 1, lett. j) e lett. d), per l’abbattimento, in concorso tra loro, di un cervo in orario notturno e con mezzi proibiti (da un veicolo e con l’uso di un faro),accogliendo l’opposizione del primo limitatamente al residuo addebito ascrittogli (viol. artt. 5 e 39 lett. f) L. cit.), ritenendo non configurarle l’esercizio da parte del medesimo della caccia senza permesso, essendone dotato il concorrente F., confermando in Euro 762,00 la complessiva sanzione irrogata a quest’ultimo e riducendo al medesimo importo quella inflitta al P.;

ritenuto che sia il ricorso principale,affidato tre motivi, sia quello incidentale, deducente un unico motivo, si palesino infondati,per le seguenti rispettive ragioni:

1) la censura (deducente violazione e falsa applicazione della L.P. n. 9 del 1977, artt. 4, 6, 7, L. n. 689 del 1981, artt. 14, 15, 16 e connessi vizi di motivazione) relativa all’assunta nullità della notificazione al F. del verbale di contestazione (con conseguente invalidità dell’ordinanza – ingiunzione),per essere stata la relativa copia consegnata a mani della nuora, asseritamente non convivente con il destinatario (in quanto abitante in diverso appartamento, pur nell’ambito del medesimo stabile), è in contrasto con il costante insegnamento di questa Corte (v., in particolare, nn. 21362/10, 23368/06, 2348/94), secondo cui la consegna dell’atto a “persona di famiglia” non postula necessariamente un rapporto di parentela, essendo a questa equiparabile anche quello di affinità, nè quello della stabile convivenza, essendo sufficiente l’esistenza di un vincolo (parentela o affinità) che giustifichi la presunzione che la persona in questione abbia consegnato l’atto al destinatario, restando a carico di costui l’onere di provare la mera occasionalità della presenza in casa della stessa, senza che possano al riguardo rilevare le eventuali certificazioni anagrafiche;

2) altrettanto manifesta è l’infondatezza del secondo motivo del ricorso principale (deducente violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 8, 11, 14 e 18, L.P. n. 9 del 1977, artt. 4, 5, 7 e L.P. n. 14 del 1987, art. 39, poichè la mancata indicazione nelle ordinanze ingiunzioni degli articoli di legge (poi correttamente individuati, come da narrativa, dai giudici di merito) contenenti le sanzioni, non aveva integrato alcuna ipotesi di nullità della contestazione, tenuto conto che la sufficiente e circostanziata indicazione del fatto addebitato e delle norme precettive violate e l’agevole possibilità di rinvenire, nell’ambito del citato testo normativo, gli articoli indicanti le sanzioni, consentivano agli interessati di svolgere ogni adeguata difesa al riguardo, sia nell’ambito del procedimento amministrativo, sia in quello della successiva fase oppositiva, nella quale la piena cognizione devoluta al giudice in ordine alla valutazione del fatto avrebbe comunque consentito – come in effetti è avvenuto di sopperire alle eventuali carenze della motivazione del provvedimento impugnato (v. S.U. n. 1786/10) e di determinare autonomamente la sanzione nella misura ritenuta adeguata alla fattispecie; tale compito nella specie è stato dai giudici di appello assolto, con incensurabile valutazione di merito, lasciando immutata quella irrogata al F. e riducendo alla medesima misura quella inflitta al P., senza valicare, nell’operato cumulo materiale, i limiti edittali;

3) inammissibile è il terzo motivo del ricorso suddetto, deducente violazione della L. n. 689 del 1981, art. 5 e carenza di motivazione, per aver irrogato al P., conducente dell’auto, la medesima sanzione inflitta allo sparatore F., risolvendosi in una palese censura di merito avverso la suesposta valutazione discrezionale compiuta dai giudici di appello, i quali, con adeguata motivazione, hanno sostanzialmente ritenuto equivalenti le condotte poste in essere dai concorrenti ai fini della determinazione dell’evento lesivo, sia nella fase preparatoria, sia in quella esecutiva dell’illecito venatorio, così rendendo implicitamente ragione del pari trattamento sanzionatolo praticato agli stessi;

4) ragioni analoghe ed opposte a quelle sopra appena esposte, comportano, per converso, la reiezione anche del ricorso incidentale, nel quale, pur senza impugnare l’assoluzione del P. dall’originario ulteriore addebito di esercizio venatorio senza il permesso speciale di cacciaci lamenta (con inconferente censura di violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 5, oltre che di non specificati vizi di motivazione) inadeguata valutazione del grado di responsabilità del suddetto, la cui posizione, di persona priva del suddetto permesso, avrebbe richiesto un trattamento più severo, è evidente, una volta esclusa (per effetto della non impugnata statuizione) la configurabilità di un’autonoma responsabilità per tale mancanza, l’irrilevanza della stessa ai fini dell’apporto causale all’evento nell’ambito della condotta concorsuale, restando peraltro riservato al giudice di merito l’apprezzamento, sotto ogni diverso profilo ed ai fini della graduazione della sanzione, del disvalore sociale della stessa.

Si propone, conclusivamente, la reiezione di entrambi i ricorsi”.

Tanto premesso, all’esito dell’odierna trattazione in camera di consiglio, uditi i difensori delle parti ed il P.G., ritiene il collegio di condividere integralmente le ragioni della proposta del relatore, rilevando come la memoria difensiva depositata per conto dei ricorrenti principali non contenga nuove argomentazioni idonee a condurre ad una diversa decisione.

Per quanto riguarda,in particolare, la validità della notificazione al P. del verbale di accertamento delle violazioni, premessa l’inconferenza dei richiami giurisprudenziali contenuti nella memoria (riguardanti casi in cui era stata esclusa un convivenza sia pur temporanea), va ribadito che il concetto di “convivenza”, in tema di notificazioni, sia a norma del codice di procedura civile, sia secondo la disciplina di quelle a mezzo posta, non va intesa nel senso letterale di una stabile situazione di coabitazione, essendo invece sufficiente che la presenza presso l’abitazione del destinatario (dove nella specie deve presumersi, fino a querela di falso, avvenuta la consegna della copia dell’atto) non sia meramente occasionale, in ragione di una frequentazione abituale improntata alla fiducia che,nel caso di sussistenza di relazioni di stretta parentela o affinità, giustifica la presunzione (non superabile con mere certificazioni anagrafiche) che l’atto sia stato prontamente consegnato al destinatario.

Tale,dunque,era il caso di specie, nel quale la consegna era risultata eseguita a mani della nuora del P., la cui presenza presso l’abitazione di quest’ultimo è stata correttamente ritenuta dai giudici di merito non occasionale, tanto più in considerazione che la medesima risiedeva in un’ abitazione sita nello stesso fabbricato di quella del destinatario.

Quanto all’incertezza della contestazione, si ribadisce la sufficienza della puntuale e circostanziata indicazione degli elementi fattuali degli addebiti al fine della salvaguardia delle esigenze difensive, comunque assicurate nel corso della successiva fase giudiziaria oppositiva,sede nella quale le garanzie del contraddittorio, secondo il recente insegnamento delle S.U. citato dal relatore, hanno trovato la loro naturale e piena esplicazione.

Per quanto attiene, poi, alla misura delle sanzioni, a termini delle norme temporalmente in vigore, la sentenza di appello ha fatto chiarezza evidenziando come per l’illecito di cui alla L.P. art. 4, comma 3 e art. 39, comma 1, lett. c) della L.P. citata in narrativa fosse prevista una sanzione da Euro 77,47 ad Euro 542,28, per quella di cui all’art. 5 e art. 39, comma 1, lett. f) da Euro 55 fino a 258,28 e per quella di cui all’art. 15, comma 1, lett. j) e art. 39, comma 1, lett. d) da Euro 15,49 fino ad Euro 361,52. Essendo state nella fattispecie commesse, con unica azione, più violazioni di diversi divieti,per cui si rendeva applicabile ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 1, la sanzione prevista per la violazione più grave, quella di Euro 762,00 complessivamente inflitta a ciascuno dei due opponenti risulta ictu oculi ampiamente contenuta entro il limite massimo, previsto dalla citata disposizione per le ipotesi di “concorso formale” e,comunque,adeguatamente giustificata con la valutazione di gravità correlata al “modo di procedere organizzato”.

La doglianza dei ricorrenti pertanto, non denunciando alcun concreto travalicamento dei suddetti limiti, risulta generica.

Per quanto attiene all’inammissibilità del terzo motivo ed all’infondatezza del ricorso incidentale, in ordine alle quali non vi sono state repliche delle rispettive parti proponenti, non vi è altro da aggiungere a quanto evidenziato nella relazione preliminare.

La prevalente soccombenza dei ricorrenti principali ne comporta, infine la solidale condanna alla spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi,rigetta sia il principale, sia l’incidentale e condanna i ricorrenti principali in solido al rimborso, in favore dell’ufficio controricorrente, delle spese del presente giudizio, in misura di complessivi Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2011

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