Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2381 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/01/2019, (ud. 08/11/2018, dep. 29/01/2019), n.2381

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26733-2017 proposto da:

G.F.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DELLA LIBERTA’ 20, presso lo studio dell’avvocato STEFANO COEN, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DAVIDE DRUDA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 493/11/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di VENEZIA, depositata il 12/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/11/2018 dal Consigliere Dott. SOLAINI LUCA.

R. G. 26733/17.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con ricorso in Cassazione affidato a tre motivi, nei cui confronti l’Agenzia delle Entrate ha presentato atto di costituzione tardivo, il contribuente impugnava la sentenza della CTR del Veneto, relativa al silenzio rifiuto serbato dall’Agenzia delle Entrate, nei confronti della istanza di rimborso dell’IRAP per gli anni 1998-2007.

Il ricorrente, con un primo motivo, deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 602 del 1973, art. 38, dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto erroneamente, i giudici d’appello avevano ritenuto che fosse maturata la decadenza dall’istanza di rimborso presentata in data 11.4.2002 (per i versamenti posti in essere dal 18.6.1998 al 15.11.2001) e dall’istanza di rimborso presentata il 19.6.2006 (per i versamenti successivi al 19.6.2002, mentre, per i versamenti dal 19 giugno 2001 al 18 giugno 2002, per un totale di Euro 17.562,05 il ricorrente aveva prestato acquiescenza all’eccezione di decadenza dal rimborso sollevata dall’ufficio in primo grado).

Con un secondo motivo, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2e 3, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per insussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, che è il presupposto indefettibile per l’assoggettamento ad Irap.

Con un terzo motivo, il ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza con riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto, la motivazione risulterebbe omessa o apparente, sia con riferimento alle ragioni per le quali la CTR aveva ritenuto “adeguata” la risposta fornita dai giudici di primo grado, sia con riferimento alla produzione documentale mai citata dai giudici d’appello, con particolare riferimento alla rilevanza delle spese (v. pp. 35 e 36).

Il terzo motivo che per priorità logico-giuridica va esaminato per primo è infondato, in quanto, la motivazione della sentenza impugnata si pone al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. sez. un. n. 8053/14), infatti, a fronte delle doglianze con cui l’odierno ricorrente mira a “sovvertire” il merito del ragionamento decisorio dei giudici d’appello, in quanto lamenta il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove (Cass. n. 11892/16), invero, la motivazione della sentenza impugnata, pur se inizialmente si limita a richiamare la decisione di primo grado, tuttavia, successivamente si pone il problema d’integrare tale decisione attraverso ulteriori elementi di fatto, non privi di una qualche coerenza logica, che rende la medesima motivazione incensurabile nella presente sede, trattandosi di giudizio di legittimità.

Il primo motivo di censura è fondato.

Secondo l’orientamento di questa Corte “Il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso delle imposte sui redditi in caso di versamenti diretti, previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 (il quale concerne tutte le ipotesi di contestazione riguardanti i detti versamenti), decorre, nella ipotesi di effettuazione di versamenti in acconto, dal versamento del saldo solo nel caso in cui il relativo diritto derivi da un’eccedenza degli importi anticipatamente corrisposti rispetto all’ammontare del tributo che risulti al momento del saldo complessivamente dovuto, oppure rispetto ad una successiva determinazione in via definitiva dell'”an” e del “quantum” dell’obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto nel caso in cui questi, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti, poichè in questa ipotesi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin da tale momento” (Cass. ord. n. 14868/16, 5653/14, 2533/18).

Nel caso di specie, non c’è contestazione sulle date di presentazione delle istanze di rimborso (vedi parte narrativa della sentenza della CTR dove l’Agenzia eccepisce la decadenza solo per il periodo dal giugno 2001 al giugno 2002, alla quale il contribuente ha prestato acquiescenza), pertanto, la decadenza dall’istanza di rimborso presentata in data 11.4.2002 (per i versamenti posti in essere dal 18.6.1998 al 15.11.2001) e dall’istanza di rimborso presentata il 19.6.2006 (per i versamenti successivi al 19.6.2002) non risulta maturata, come ritenuto erroneamente, dai giudici d’appello.

Il secondo motivo è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “(…) Già con Cass. n. 10594 del 2007, n. 15893 del 2011 e n. 3434 del 2012 si era chiarito – con riferimento a fattispecie nella quale si discuteva di redditi realizzati dal libero professionista nell’esercizio di attività sindaco, amministratore di società, consulente tecnico – che non fosse soggetto a imposizione quel segmento di ricavo netto consequenziale a quell’attività specifica purchè risultasse possibile, in concreto, lo scorporo delle diverse categorie di compensi conseguiti e verificare l’esistenza dei presupposti impositivi per ciascuno dei settori interessati. Tale accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, solo se adeguatamente motivato (…)” (Cass. ordd. nn. 11474/17, 16372/17).

Nel caso di specie, il professionista ha dedotto – senza contestazione da parte dell’ufficio – che per l’attività di sindaco e revisore aveva una partita Iva personale e separata rispetto a quella con la quale fatturava la propria attività di professionista nell’ambito dello studio associato a cui apparteneva (v. p. 25 del ricorso) con ciò avendo fornito gli clementi perchè la CTR potesse verificare se fosse stato provato lo “scorporo” delle diverse categorie di compensi conseguiti e, quindi, verificare la sussistenza dei requisiti impositivi per l’attività di sindaco e revisore, in assenza degli elementi necessari, per ritenere presente una struttura produttiva autonoma, ulteriore rispetto alla propria attività associata, facendo riferimento alla natura e consistenza della voce “compensi a terzi” e alle spese per beni strumentali.

In accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso, rigettato il terzo, la sentenza va cassata e la causa va rinviata alla Commissione tributaria regionale del Veneto, affinchè, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.

PQM

La Corte suprema di cassazione:

Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, rigettato il terzo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del veneto, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, alla camera di consiglio, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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