Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23809 del 02/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 02/09/2021, (ud. 16/03/2021, dep. 02/09/2021), n.23809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5723-2020 proposto da:

S.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILVIO

PELLICO 42, presso lo studio dell’avvocato ATTILIO D’AMICO, che lo

rappresenta e difende con gratuito patrocinio;

– ricorrente –

contro

POLIGRAFICI EDITORIALE SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, M.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato MANFREDI BURGIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1623/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 04/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA

FIECCONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con atto notificato il 3/2/2020, S.E., ammesso al gratuito patrocinio, propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, avverso la sentenza n. 1623/2019 della Corte d’Appello di Firenze, depositata in data 4/7/2019. Con controricorso, notificato il 2/3/2020 e illustrato da successiva memoria, resistono la Poligrafici Editoriale s.p.a. e M.G..

2. Per quanto ancora rileva, S.E. ha proposto appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Firenze aveva rigettato la domanda di risarcimento da lui spiegata nei confronti del quotidiano (OMISSIS) per i danni causati dalla pubblicazione, in data (OMISSIS), di un articolo dal contenuto diffamatorio ed intitolato “(OMISSIS)” che riferiva la notizia del suo ricovero da cinque mesi presso un ospedale colombiano a seguito di una lite violenta scoppiata sulla spiaggia con alcuni venditori ambulanti e delle lamentele del direttore dell’ospedale perché nessuno dei parenti si era presentato nel lungo periodo di coma e riabilitazione e del fatto che il Console italiano aveva riferito che i suoi parenti si erano rifiutati di accoglierlo per motivi legati al suo cronico stato di tossicodipendenza. Con la sentenza in questa sede impugnata, la Corte d’Appello di Firenze ha rigettato il gravame e confermato la pronuncia di prime cure per motivi di merito collegati alla mancata prova del danno, non valutabile in re ipsa, ritenendo la questione più liquida rispetto a quella del valore diffamatorio o meno della notizia rilasciata sul quotidiano, ritenuto insussistente dal giudice di primo grado, pur ravvisando forti perplessità sulla correttezza di questa statuizione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia “Violazione o falsa applicazione delle norme di legge, art. 2043 c.c., e degli artt. 276-277 c.p.c.”. La sentenza viene censurata là dove, pur ravvisando forti perplessità sulla non offensività dell’articolo, ha rigettato l’appello sulla base di una ragione più liquida. In tal modo la Corte territoriale avrebbe ignorato le plurime contestazioni contenute nell’atto di appello dell’attuale ricorrente.

2. Con il secondo motivo si denuncia “Violazione o falsa applicazione principi di cui all’art. 2059 c.c.”. La sentenza viene censurata là dove ha ritenuto che mancasse la prova del danno. La Corte d’Appello avrebbe ignorato che nel caso di diffamazione a mezzo stampa si può ricorrere a presunzioni sull’esistenza del danno. Vieppiù, non sarebbe accettabile la decisione ove ha ritenuto che sull’appellante gravasse l’onere di dimostrare che il quotidiano aveva raggiunto una cerchia di persone che conoscevano l’attore o nel cui ambito l’attore operava o aveva contatti quotidiani.

3. Con il terzo motivo si denuncia “Violazione o falsa applicazione delle norme di legge art. 1226-2056 c.c.”. Si rileva che per i casi in cui la prova appaia impossibile, con riferimento alla situazione oggettiva e soggettiva della fattispecie, occorrerebbe applicare le norme in epigrafe. Nel caso concreto, il ricorrente verserebbe in gravi condizioni economiche che avrebbero reso difficili tutte le attività difensive e, soprattutto, la ricerca di prove.

4. Con il quarto motivo si denuncia “Violazione o falsa applicazione di norme di legge: art. 1176 c.c., comma 2, art. 2059 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. Per quanto esposto nel primo motivo, la sentenza sarebbe nulla anche sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa la sussistenza degli elementi relativi alla eventuale legittimità di critica.

5. Con il quinto motivo si denuncia “Violazione o falsa applicazione di norme di legge, in relazione agli artt. 244 e 245 c.p.c.”. Entrambi i giudici di merito avrebbero disapplicato le norme in epigrafe per non aver ammesso le prove testimoniali richieste.

6. Con il sesto e ultimo motivo si denuncia “Violazione o falsa applicazione di norme di legge in relazione agli artt. 1226 e 2056 c.c.”. La Corte territoriale avrebbe dovuto liquidare il danno in via equitativa avvalendosi di formule e parametri ormai in uso ai giudici di merito, non potendo sottrarsi a tale obbligo senza un preciso e grave motivo.

7. I motivi sono inammissibili per plurimi motivi collegati alla mancata integrazione dei requisiti di ammissibilità indicati nell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, per lo più correlati al mancato riferimento alla ratio decidendi, dovendosi essa ricostruire tramite un’autonoma lettura del ricorso, a prescindere dalla sentenza allegata.

7.1. Occorre evidenziare, invero, che le censure hanno carattere di genericità e tendono a indurre il giudice di legittimità a ricercare negli atti allegati, e soprattutto nella sentenza impugnata, il raccordo logico da farsi in relazione alle censure, mentre, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati “causa petendi” e “petitum”, nonché degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perché tanto equivarrebbe a devolvere alla S.C. un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente (cfr. Cass., Sez. 1 -, Ordinanza n. 24432 del 3/11/2020; Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13312 del 28/5/2018; ex plurimis, v. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1926 del 3/2/2015).

7.2. Nel caso di specie, innanzitutto, il ricorso si rivela in palese difetto di indicazione specifica ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, nella parte dedicata allo “Svolgimento del processo”, non offre a questa Corte alcun riferimento utile a comprendere i fatti di causa. Il ricorrente si limita a denunciare il rigetto della domanda risarcitoria spiegata dinanzi al Tribunale, senza indicare le ragioni addotte dal giudice di prime cure a fondamento della decisione e, ciò che maggiormente rileva, non indica né il decisum né la ratio decidendi della sentenza di secondo grado;

neppure è dato sapere quale fosse il preciso contenuto della pretesa attorea, posto che vengono menzionati solo i motivi dell’atto di appello, senza ulteriori indicazioni rispetto agli atti di parte attrice e, tanto meno, alle difese spiegate dai convenuti-appellati.

7.3. Peraltro, tali carenze non vengono colmate dalle singole censure, comunque inidonee, per aspecificità, a porre rimedio alle lacune informative riguardanti la parte relativa alla descrizione dello svolgimento del giudizio, posto che, a parte il secondo motivo (carente di altri requisiti di autosufficienza per quanto sopra detto), con esse non si individuano i punti della sentenza che sarebbero in contrasto con le norme menzionate, e dunque manca un confronto diretto con la motivazione resa dalla Corte d’Appello, risolvendosi dette censure in “non motivi”, di per sé inammissibili ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass., Sez. 1 -, Ordinanza n. 16700 del 5/8/2020; Sez. 1 -, Sentenza n. 24298 del 29/11/2016; Sez. 1, Sentenza n. 5353 dell’8/3/2007).

8. Al limite, la ratio decidendi risulta specificamente censurata solo nel secondo motivo, là dove si denunciano il mancato ricorso a presunzioni e la inesigibilità di una prova, in tesi mancata, collegata all’onere del diffamato di provare chi avesse, nella cerchia dei conoscenti, letto il quotidiano e quale fosse la sua posizione sociale e professionale lesa, in tesi supponendo che chi è privo di una posizione sociale da dovere difendere non avrebbe alcun diritto al risarcimento del danno.

8.1. L’argomento, riguardante il fatto che il giudice dell’appello abbia ritenuto non provata l’estensione della notizia fino a raggiungere la cerchia di amici e conoscenti dell’attore, dato il grado di diffusività per definizione della notizia mediante stampa, per come esposto non si sottrae tuttavia ai rilievi che valgono per gli altri motivi, perché non risulta indicato quale sia stato il pregiudizio dedotto nell’originaria domanda, in particolare quali siano stati i danni patrimoniali e non patrimoniali domandati, risultando in difetto del principio di autosufficienza e di specificità ex art. 366 c.p.c., n. 6.

8.2. Le singole censure, in effetti, risultano in difetto di indicazione specifica ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto si fondano su una serie di atti processuali – inter alios, le contestazioni contenute nell’atto di appello e asseritamente ignorate dal giudice di secondo grado; nonché, le prove richieste e non ammesse – le quali non vengono né riportate, quanto meno per sintesi, né localizzate con specifico riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo e rispetto alla loro collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e alla loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (per tutte, Cass., Sez. Un., Sentenza n. 34469 del 27/12/2019).

9. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile con ogni conseguenza in ordine alle spese di giudizio e raddoppio del contributo, se dovuto, stante l’ammissione al gratuito patrocinio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; per l’effetto condanna il ricorrente alle spese, liquidate in favore del controricorrente in Euro 2.300,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% di spese forfetarie e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, stante l’ammissione al gratuito patrocinio.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021

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