Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23807 del 23/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 23/11/2016, (ud. 30/06/2016, dep. 23/11/2016), n.23807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2955-2010 proposto da:

FIS DI F.I. SRL in persona del suo Amministratore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.G. BELLI 27, presso lo

studio dell’avvocato GIACOMO MEREU, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MASSIMILIANO BATTAGLIOLA giusta delega in

calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 184/2008 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 25/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/06/2016 dal Consigliere Dott. ANDRONIO ALESSANDRO;

udito per il controricorrente l’Avvocato PISANA che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Con sentenza del 24 novembre – 25 dicembre 2008, la Commissione tributaria regionale di Milano ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della sentenza di primo grado, con la quale erano stati annullati gli avvisi di accertamento con recupero a tassazione, per costi inesistenti, relativamente a pretesi rapporti di sponsorizzazione sportiva tra la società contribuente Fis s.a.s. e la società Mercurius Sport. La Commissione tributaria regionale ha dichiarato legittimi gli avvisi di accertamento impugnati, ritenendo sussistente una frode fiscale.

2. – Avverso la sentenza d’appello la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi di doglianza, chiedendone l’annullamento.

L’Agenzia delle Entrate ha presentato controricorso, con cui chiede il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. – Il ricorso è infondato.

3.1. – Con un primo motivo di doglianza, si lamenta l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, il quale sancisce il divieto dell’utilizzazione del giuramento e della prova testimoniale nel processo tributario. In particolare, la pretesa frode fiscale sarebbe stata desunta dalle dichiarazioni rese da R.F., legale rappresentante della società Mercurius Sport, il quale aveva riferito che tra la sua società e la Fis s.a.s. non erano mai intercorsi reali rapporti commerciali e che la sua società aveva emesso a favore di quest’ultima fatture per operazioni di sponsorizzazione sportiva in realtà inesistenti. La ricorrente afferma che tali dichiarazioni, rese in sede amministrativa, avrebbero dovuto essere qualificate come testimonianza e, comunque, avrebbero potuto essere poste a base dell’accertamento fiscale solo unitamente ad altri elementi probatori, nella specie mancanti.

Il motivo è infondato.

Deve premettersi che, nel processo tributario, il ricorso alle presunzioni è ammissibile tanto in materia di tributi erariali che di tributi dell’ente locale, essendo positivamente esclusi dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, solo il giuramento e la prova testimoniale; il divieto di ammissione di quest’ultima, infatti, non comporta la conseguente inammissibilità della prova per presunzioni ai sensi dell’art. 2729 c.c., comma 2, in quanto detta norma, stante la natura della materia ed i mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei giudici tributari, non è applicabile nel contenzioso tributario (ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 7509 del 15/04/2016, Rv. 639693; Sez. 5, Sentenza n. 22804 del 23/10/2006, Rv. 595462). E le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell’avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell’Ufficio (ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 6946 del 08/04/2015, Rv. 635271; Sez. 5, Sentenza n. 21812 del 05/12/2012, Rv. 624483). Più specificamente, nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla polizia tributaria nel corso di un’ispezione e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall’avviso di accertamento, hanno dì regola valore meramente indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice, qualora confortate da altri elementi di prova. Tuttavia, tali dichiarazioni del terzo possono, nel concorso di particolari circostanze ed in ispecie quando abbiano valore confessorio, integrare non un mero indizio, ma una prova presuntiva, ai sensi dell’art. 2729 c.c., idonea da soia ad essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, da parte dell’amministrazione finanziaria (Sez. 5, Sentenza n. 9876 del 05/05/2011, Rv. 617655). In altri termini, gli elementi assunti a fonte di presunzione nel corso dell’accertamento tributario non debbono essere necessariamente plurimi – benchè l’art. 2729 c.c., comma 1, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4 e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, si esprimano al plurale – potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria (Sez. 5, Sentenza n. 656 del 15/01/2014, Rv. 629325).

La Commissione tributaria regionale ha fatto corretta applicazione di tali principi, attribuendo efficacia d’indizio preciso e grave alle circostanziate dichiarazioni, dotate di carattere confessorio, rese da R.F., legale rappresentante della ditta pretesa fornitrice, in sede di accertamento amministrativo, e analiticamente valutando – come si vedrà – anche ulteriori elementi di conferma.

3.2. – La ricorrente lamenta, in secondo luogo, l’erroneità e la contraddittorietà della motivazione, sul rilievo che il giudice di secondo grado non avrebbe valutato l’effettiva esistenza di ulteriori elementi indiziari oltre alle dichiarazioni di R.F. e non avrebbe considerato sul punto, le deduzioni difensive secondo cui: vi era documentazione dell’effettivo espletamento di un servizio pubblicitario reso da un pilota di rally, documentato da fotografie prodotte in giudizio; lo stesso R. non aveva mai avuto contatti con la società ricorrente ma solo con tale pilota, il quale non aveva mai restituito alcuna somma alla società; la contribuente aveva effettivamente corrisposto alla società Mercurius Sport le somme fatturate, come risulterebbe dagli assegni depositati.

Anche tale doglianza è infondata.

Deve preliminarmente richiamarsi il consolidato principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (ex plurimis, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5024 del 28/03/2012, Rv. 622001).

Nel caso in esame, questa Corte non può procedere, dunque, ad una rivalutazione del materiale probatorio. E ciò, a prescindere dalla sostanziale correttezza e completezza dell’analisi svolta dalla Commissione tributaria regionale, la quale, oltre alle dichiarazioni accusatorie rese da R.F., ha correttamente valorizzato il fatto che la società Fis non avesse sporto querela e la complessiva inconsistenza delle difese da questa proposte. Tali difese sono state meramente reiterate – peraltro in forma del tutto generica, in mancanza di puntuali riferimenti agli atti di causa – con il ricorso per cassazione.

4. – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controparte nel presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 2200,00, oltre spese generali e accessori di legge.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dall’Agenzia delle entrate, liquidate in Euro 2200,00, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016

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