Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23800 del 11/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/10/2017, (ud. 03/10/2017, dep.11/10/2017),  n. 23800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25713/2011 R.G. proposto da:

B.R., rappresentata e difesa dall’Avv. Renato Palumbi,

elettivamente domiciliata in Roma alla via Silvio Pellico n. 24

presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Valvo, per procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Monterenzio, rappresentato e difeso dall’Avv. Rita

Colleluori, elettivamente domiciliato presso il di lei studio in

Roma alla via Emanuele Gianturco n. 11, per procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Emilia Romagna n. 18/2/11 depositata il 18 aprile 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3 ottobre 2017

dal Consigliere Dott. Enrico Carbone.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Udito l’Avv. Bianca Maria D’Ugo su delega per il controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Comproprietaria di due terreni edificabili in (OMISSIS), B.R. impugnava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) notificatole per omessa dichiarazione e omesso versamento dell’ICI per le annualità 2002-2005.

L’impugnazione era respinta in primo grado, con sentenza confermata in appello.

La soccombente ricorre per cassazione con cinque motivi.

Il Comune di Monterenzio resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia vizio logico, il secondo ancora vizio logico e violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b e art. 9, D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, comma 2, il terzo illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, comma 2.

I motivi vanno scrutinati unitariamente per connessione logica, tutti attenendo all’esenzione fiscale reclamata da B.R. quale imprenditore agricolo, esenzione che illegittimamente sarebbe stata ignorata dall’avviso di accertamento e poi negata dal giudice d’appello per il solo dato formale della mancata iscrizione previdenziale della contribuente.

1.1. I motivi sono infondati.

Subordinando le agevolazioni ICI per coltivatori diretti e imprenditori agricoli all’iscrizione negli elenchi INPS (già elenchi SCAU), il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58,comma 2, ha introdotto pro futuro un requisito a garanzia del sistema fiscale (Cass. 17 dicembre 2003, n. 19375, Rv. 569034; Cass. 2 aprile 2010, n. 8092, Rv. 612680), corrispondente a un’opzione discrezionale del legislatore, non manifestamente irragionevole nella misura in cui esclude dal beneficio chi non risulta avere nel lavoro agricolo la propria esclusiva fonte di reddito (Corte Cost. 7 novembre 2003, n. 336; Corte Cost. 2 marzo 2005, n. 87).

Con valutazione probatoria insindacabile nella sede di legittimità, il giudice d’appello ha stabilito che B.R. non era iscritta negli elenchi INPS dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali, ma solo nella gestione dei titolari di “aziende agricole con dipendenti”: ella non aveva titolo al beneficio fiscale, quindi, per effetto di una norma che correla tale beneficio a uno status previdenziale indicativo di una determinata condizione reddituale (condizione personale ben differente da quella del titolare di “azienda agricola con dipendenti”); poichè siffatta correlazione esprime una ragionevole discrezionalità legislativa, la questione di legittimità sollevata dalla contribuente in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., si rivela manifestamente infondata.

2. Il quarto motivo di ricorso denuncia vizio logico e violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, L. n. 448 del 2001, art. 7, per aver il giudice d’appello ritenuto legittima ai fini ICI la determinazione dell’imponibile sulla base di due perizie giurate redatte ai fini IRPEF, oltre che non coincidenti con le annualità d’imposta 2002-2005 (aprile 2002 e settembre 2004).

2.1. Il motivo è inammissibile.

Pur dovendo essere determinato in base ai parametri vincolanti del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, l’imponibile ai fini ICI può essere desunto dalla perizia giurata di stima redatta L. n. 448 del 2001, ex art. 7, ai fini IRPEF, purchè questa applichi i criteri indicati nell’art. 5 cit. (Cass. 27 febbraio 2015, n. 4093, Rv. 634677).

Nella specie, pur avendo il giudice d’appello affermato che le perizie giurate redatte dal tecnico di fiducia della contribuente hanno tenuto conto di tutti i parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, la contribuente non ha inteso specificare quale tra gli indici di legge sarebbe stato pretermesso, nè la ragione per cui la stima peritale non riflettesse la corretta applicazione di quegli indici per uno tra gli anni d’imposta accertati, il che esclude in radice la decisività del mezzo.

3. Il quinto motivo di ricorso denuncia vizio logico e violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g, per aver il giudice d’appello dichiarato legittima la determinazione dell’imponibile in deroga al valore regolamentare di zona omogenea.

3.1. Il motivo è infondato.

La determinazione regolamentare dei valori venali per zone omogenee ha natura presuntiva, sottraendo all’accertamento il contribuente che vi aderisca, con funzione analoga agli studi di settore (Cass. 3 maggio 2005, n. 9135, Rv. 583459; Cass. 7 maggio 2010, n. 11171, Rv. 612834; Cass. 13 marzo 2015, n. 5068, Rv. 635340): il giudice d’appello ha ritenuto che B.R. non potesse beneficiare dell’esenzione dall’accertamento poichè non aveva versato l’imposta sul valore predeterminato, avendo anzi mancato di dichiarare valore alcuno; conforme alla lettera del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g (“qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato”) e coerente alla sua dichiarata ratio legis (“ridurre al massimo l’insorgenza di contenzioso”), la motivazione è logicamente congrua e giuridicamente corretta.

4. Il ricorso deve essere respinto, con aggravio di spese.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2017

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