Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 238 del 09/01/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 238 Anno 2014
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: IOFRIDA GIULIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore
p.t., e Ministero dell’Economia e delle Finanze, in
persona del Ministro p.t., domiciliati in Roma Via
dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale
dello stato, che li rappresenta e difende ex lege
– ricorrenti –

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Fallimento F.B.M.

contro

Fabbrica Bondenese Macchine

srl,in persona del Curatore p.t., elettivamente
domiciliato in Roma Piazza dei Carracci l, presso
lo studio dell’Avv.to Alessandro Alessandri, e
rappresentato e difeso, in forza di procura
speciale in calce al controricorso, dall’Avv.to
Angelo Osnato
controricorrente

avverso la sentenza n. 59/05/2007 della Commissione
Tributaria regionale dell’Emilia-Romagna,
depositata il 20/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 19/11/2013 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
uditi l’Avvocato dello Stato, Bruno Dettori, per

Data pubblicazione: 09/01/2014

parte ricorrente, e l’Avv.to Angelo Osnato, per
parte controricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Federico Sorrentino, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
L’Agenzia

delle

Entrate

ed

il

Ministero

dell’Economia e delle Finanze propongono ricorso

confronti del Fallimento FBM Fabbrica Bondenese
Macchine srl (che ha resistito con controricorso)
ed avverso una sentenza della Commissione
Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna Sez. n. 5,
depositata in data 20/09/2007, con la quale – in
due controversie riunite concernenti l’impugnazione
di un avviso di accertamento, relativo a maggiori
imposte IRPEG-ILOR dovute, per l’anno 1989, dalla
F.B.M. srl in bonis (fallita nel corso del giudizio
di merito), conseguenti al recupero a tassazione di
rctqq -inri redditi, oftre

deduzione

di costi

che

Per contestata

non documentati o

non di

competenza o non inerenti, essenzialmente, per
omessa contabilizzazione di ricavi (individuati
mediante un controllo indiretto basato
sull’utilizzo di alcuni pezzi, costituenti elementi
indispensabili del macchinario denominato
“estrusore”, uno dei prodotti tipici della
società), nonché l’impugnazione di altro avviso di
accertamento, relativo ad un maggior reddito di
capitale accertato, per l’anno 1988, nei confronti
del socio Francesco Falzoni, codichiarante con il
coniuge Lugasi Adua, anch’essa socia,
corrispondente ai maggiori utili percepiti in
relazione alla quota di partecipazione, utili che
l’Ufficio presumeva distribuiti, trattandosi di

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per cassazione, affidato a tre motivi, nei

società di capitali a ristretta compagine sociale sono state parzialmente riformate, negli appelli
riuniti, le decisioni nn. 340/04/1998 e 331/04/2000
della stessa C.T.P. di Ferrara, che avevano,
rispettivamente, respinto ed accolto (sul
presupposto dell’inoperatività della presunzione di
distribuzione ai soci degli utili) i ricorsi della
società e dei soci Falzoni e Lugasi, ed è stata

dell’avviso di accertamento n. 26488/38, per l’anno
1989, quella relativa all’omessa rilevazione di
componenti positivi, per 586.040.040, ed
annullato anche l’avviso di accertamento “n.
3491003744”, relativo a maggiori imposte IRPEF
dovute, per l’anno 1988, dai due soci Falzoni e
Lugasi, non sotto il profilo della prova della
distribuzione dei maggiori utili ai soci, ma “nelle
parti consequenziali alle riprese fiscali contenute
nell’avviso di accertamento pregiudiziale n.
26487/3”,

già annullate con altra sentenza della

C.T.R., pronunciata in pari data.
In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto
che

la

principale

contestazione

dell’Ufficio

erariale, in ordine a maggiori utili non
dichiarati, derivanti dalla vendita, in assenza di
fatturazione, di

“parti dei macchinari”

prodotti

dalla FBM, essenzialmente viti per “estrusori”, era
basata

“su elementi non univoci”,

potendo la

rilevata differenza “tra la consistenza iniziale di
alcune componenti di detti macchinari…e quelle
finali degli stessi beni”

derivare

“da una

molteplicità di fattori diversi ed eventuali”,
quali il maggior consumo di tali pezzi in
conseguenza di rotture, errori di montaggio o
difetti di produzione, e l’attribuzione di codici

3

annullata una delle riprese fiscali oggetto

di magazzino diversi (a seconda della provenienza
interna o esterna all’azienda); inoltre i giudici
rilevavano

che

la

stessa

presunzione

di

commercializzazione di tali componenti di
macchinari doveva ritenersi incongrua, trattandosi
di componentistiche specializzate cui potevano
essere interessate solo le imprese concorrenti, e
non aveva trovato “alcun minimo riscontro esterno”.

l’inammissibilità del ricorso per effetto del
giudicato esterno, questione già dedotta in secondo
grado ma non esaminata dai giudici tributari,
formatosi, nel 2005 (prima della decisione
d’appello qui impugnata, come documentato dal
controricorrente con la produzione di copia della
sentenza, con attestazione di definitività) con la
pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale
di Ferrara n. 134 del 2002, di accoglimento del
ricorso del contribuente, riguardante le stesse
parti ma la rettifica di altra imposta, l’IVA,
sempre per l’anno 1989.
Considerato in diritto
1.

Preliminarmente, va dichiarata

l’inammissibilità del ricorso

ex

officio

proposto dal

Ministero dell’Economia e delle Finanze, per
difetto di legittimazione attiva, non avendo
assunto l’Amministrazione statale la posizione di
parte processuale nel giudizio di appello svoltosi
avanti la C.T.R. dell’Emilia-Romagna, introdotto
con ricorso proposto soltanto dall’Ufficio di
Ferrara della Agenzia delle Entrate, in data
successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie
fiscali a titolo di successione particolare ex lege
nella gestione dei rapporti giuridici tributari
pendenti in cui era parte l’Amministrazione

Il controricorrente Fallimento ha eccepito

statale), con conseguente implicita estromissione
della Amministrazione statale ex art. 111 co3
c.p.c. (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e
3118). Non avendo il ricorso proposto dal Ministero
comportato aggravio di attività difensiva si
ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti
le spese di lite.

pregiudiziale, sollevata dal Fallimento F.B.M., di
a_
inammissibilità
del
ricorso yLper
effetto
di
giudicato esterno.
Questa Corte invero intende dare continuità al
consolidato orientamento secondo il quale non
ricorre l’efficacia estensiva del giudicato
esterno, per quanto qui interessa, allorché siano
oggetto dei separati giudizi tributi diversi (quali
IVA ed IRPEF), stante la diversità strutturale
delle due imposte, oggettivamente differenti,
ancorchè la pretesa impositiva sia fondata sui
medesimi presupposti di fatto ( Cass. 3756/2013;
Cass.802/2011; Cass. 3706/2010; Cass.25200/2009).
3. Nel merito, l’Agenzia ricorrente lamenta, con il
primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione
di norme di diritto, ex art.360 n. 3 c.p.c., in
relazione all’art.2727 c.c.,

avendo i giudici

dell’appello, nel ritenere necessari
esterni”,

snaturato

l’essenza

“riscontri
stessa

dell’argomentazione presuntiva, anziché valutare se
gli indizi offerti, inerenti la presunzione di
vendita

(in primis,

la discrepanza

tra

la

consistenza iniziale e finale delle parti dei
macchinari prodotti dalla società), avessero il
requisito della gravità.
Il secondo motivo del ricorso verte, parimenti,
sulla violazione e/o falsa applicazione di norme di

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2. Sempre preliminarmente, va respinta l’eccezione

diritto, ex art.360 n. 3 c.p.c., in relazione agli
artt.39 DPR 600/1973 e 2697 c.c., potendo,
nell’assunto dell’Agenzia delle Entrate ricorrente,
l’accertamento analitico-induttivo, ai sensi
dell’art.39 comma 1 lett.d), essere anche fondato
su presunzioni semplici (nella specie, il difetto
di documenti di cessione di beni acquistati e non
rinvenuti nelle scritture contabili) e spettando al

mentre, nella fattispecie, i giudici tributari,
nell’escludere la rilevanza probatoria delle
presunzioni offerte dall’Ufficio, avevano dato
rilievo a circostanze del tutto ipotetiche ed
eventuali.
4.

Entrambi

i

motivi,

che

possono

essere

congiuntamente esaminati, sono fondati.
In generale, a fronte della dichiarazione del
contribuente, l’Ufficio può rettificare in aumento
l’imponibile esposto nella dichiarazione con tre
metodi, quello analitico-contabile, quello
extracontabile o induttivo e quello, che qui
interessa, misto, analitico-induttivo. Con tale
metodologia, la determinazione (o meglio, la
rettifica) del reddito viene effettuata sempre
nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma
con una ricostruzione induttiva di singoli
elementi, attivi o passivi, di cui risulti provata
aliunde l’inesattezza o la mancanza.
Nell’ipotesi prevista dalla lettera d) dell’art.39
l ° comma DPR 600/1973, in tema di imposte
reddituali, la rettifica in aumento dell’imponibile
esposto in dichiarazione è possibile se
l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli
elementi indicati nella dichiarazione e nei
relativi allegati risulta dall’ispezione delle

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contribuente fornire la necessaria prova contraria,

scritture contabili e dalle altre verifiche ovvero
dal controllo della completezza, esattezza e
veridicità delle registrazioni contabili sulla
scorta delle fatture e degli altri atti e documenti
relativi all’impresa nonché dei dati e delle
notizie raccolte dall’Ufficio, anche sulla base di
presunzioni semplici, purché queste siano gravi,
precise e concordanti. Il metodo misto trova

disciplinato dall’art.54, comma 2 e 3, DPR
633/1972;

la determinazione dell’imponibile è

ancorata

alle

contabili

e

risultanze
la

delle

rettifica

registrazioni

concerne

singoli

corrispettivi relativi ad operazioni imponibili non
dichiarati o non risultanti dalla contabilità.
Nella specie, la modalità di accertamento adottata
dall’Ufficio nell’atto impositivo impugnato risulta
fondata su dati desunti proprio dalle scritture
aziendali e quindi non soggiace alla disciplina del
D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e D.P.R.
n. 633 del 1973, art. 55, bensì a quella del D.P.R.
n. 600 del 1973, art. 39, comma l e D.P.R. n. 633
del 1973, art. 54; si tratta, cioè, di accertamento
analitico-induttivo e non di accertamento induttivo
extracontabile
legittimo
formalmente

e,

anche

pertanto,

andava

in presenza

di

regolare

(Cass.

giudicato
contabilità

1647-17408

e

21697/2010; Cass.7184/2009; Cass.5977/2007).
5. Occorre quindi rilevare che, come già chiarito
da questa Corte (da ultimo, Cass. 9108/2012), la
prova, ai sensi degli artt. 39, comma primo, lett.
d), e 40 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e
54, comma secondo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.
633, ai fini della rettifica delle dichiarazioni,
può essere fornita dall’Amministrazione anche

7

applicazione analoga anche ai fini IVA ed è

mediante presunzioni semplici dotate dei requisiti
di cui all’art. 2729 c.c., nel qual caso passerà
sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva
esistenza delle operazioni contestate, a norma
dell’art. 2697, secondo comma, c.c..
Pertanto il giudice tributario, qualora ritenga gli
elementi addotti dall’Amministrazione dotati dei
caratteri di gravità, precisione e concordanza,

dal contribuente. La giurisprudenza di questa Corte
è ferma nel ritenere incensurabile in sede di
legittimità l’apprezzamento del giudice di merito
circa la ricorrenza dei requisiti di gravità,
precisione e concordanza richiesti dalla legge per
valorizzare elementi di fatto come fonti di
presunzione, sempre che la relativa motivazione
risulti adeguata e logica.
6. Ora, la C.T.R. ha ritenuto non supportati da
adeguati

“riscontri esterni”

e

“non univoci”

gli

elementi offerti dall’Agenzia a fondamento
dell’accertamento dell’omessa contabilizzazione di
ricavi (elementi desunti dalla contabilità
aziendale e dalla discrepanza tra il numero di
componenti del macchinario “estrusore”, viti,
cilindri,

motori,

utilizzato,

rilevati

nella

contabilità di magazzino, ed il numero di
componenti vendute, risultanti dall’esame delle
fatture di vendita esibite dalla società), perché
rimasti

“a livello di presunzione semplice”,

laddove, incontestato il fatto noto (nella specie,
la carenza nelle quantità finali dei pezzi
necessari alla costruzione degli estrusori), il
fatto ignoto (la vendita senza fattura), fondante
la pretesa tributaria, poteva ben essere ricavato
anche in via di presunzione semplice, previa

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deve passare a valutare la prova contraria offerta

tegrE DA 7’11301STRAZIONE
AI SENS
N. 13: .•
valutazione analitica

della gravità e precisione

degli indizi offerti, salva la prova contraria
offerta dalla contribuente.
7.

Il

terzo

motivo

di

ricorso,

inerente

l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo e
controverso, ex art.360 n. 5 c.p.c., vale a dire,
la presunzione di vendita di parti di macchinari

8. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve
essere accolto e la sentenza impugnata deve essere
cassata con rinvio ad altra Sezione della C.T.R,
Emilia-Romagna, perché proceda a nuovo esame delle
controversie, sulla base dei principi di diritto
sopra esposti, nonché alla liquidazione delle spese
del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso
proposto dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze, compensa do tra le parti le spese di lite;
accoglie il ricor o quanto ai primi due motivi,
assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata,
con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle
spese del presente giudizio di legittimità, ad
altra Sezione della Commissione Tributaria
Regionale dell’Emilia-Romagna.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Quinta sezione civile, il 19/11/2013.

(viti per estrusori), è assorbito.

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