Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23799 del 23/11/2016

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 23/11/2016), n.23799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19890/2010 R.G. proposto da:

INSULA S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Cola di Rienzo, 271, presso

lo studio dell’Avv. Costantino Tessarolo che, unitamente agli Avv.ti

Alessio Vianello e Andrea Bortoluzzi del Foro di Venezia, la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso,

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del

Veneto, n. 44/9/2009, depositata il 11/06/2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15

giugno 2016 dal Relatore Cons. Dott. Emilio Iannello;

udito per la ricorrente l’Avv. Alessio Vianello;

udito l’Avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

ZENO Immacolata, la quale ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Insula S.p.A., società costituita ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, comma 3, lett. e), dal Comune di Venezia, quale socio di maggioranza, e da ASPIV (Azienda Servizi Pubblici Idraulici Vari), ISPES S.p.A., Telecom S.p.a. e Italgas S.p.a., quali soci di minoranza, per lo svolgimento di servizi volti alla manutenzione urbana del Comune di Venezia, impugnava, con ricorso depositato in data 1/6/2007, avanti la C.T.P. di Venezia, le ingiunzioni ad essa notificate in data 7/5/2007 per il recupero del complessivo importo di Euro 471.589,96, costituito dalle imposte e relativi interessi che la società medesima avrebbe dovuto pagare tra il 1997 e il 1999 ove non avesse fruito del regime agevolativo di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 66, comma 14, convertito con modificazioni in L. 29 ottobre 1993, n. 427.

A tale recupero l’Agenzia delle entrate provvedeva in forza del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, convertito con modificazioni in L. 6 aprile 2007, n. 46, a sua volta emanato in attuazione della decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, con la quale era stato qualificato aiuto di Stato – illegittimo perchè lesivo del principio della libera concorrenza di mercato – il regime di esenzione triennale dall’imposta sul reddito, fruito dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico, istituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, citato art. 22, per la gestione dei servizi pubblici locali.

Il ricorso era accolto dalla adita C.T.P. che – respinte le eccezioni di prescrizione della pretesa restitutoria e di nullità delle ingiunzioni in quanto non precedute dalla previa comunicazione dell’avvio del procedimento – riteneva insufficiente a giustificare l’applicazione alla odierna ricorrente della ricordata Decisione della Commissione Europea il solo fatto che la stessa sia stata costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990, essendo invece necessaria a tal fine un’indagine volta ad accertare che la fattispecie concreta che la riguarda possa essere ricompresa tra quelle considerate dalla Decisione medesima.

2. Con la sentenza in epigrafe la C.T.R. del Veneto accoglieva l’appello proposto dall’amministrazione e, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava legittime le ingiunzioni di pagamento, compensando le spese.

Avverso tale decisione Insula S.p.A. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, corredati da quesiti di diritto, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce falsa applicazione “della decisione della Commissione europea e del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 2”, nonchè contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La prima censura (falsa applicazione di norme di diritto) è sintetizzata nei seguenti termini nel conclusivo quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte di Cassazione se la Decisione della Commissione e la normativa nazionale che ha dato ad essa attuazione, con particolare riferimento al D.L. n. 10 del 2007, art. 1, debbano essere interpretati nel senso: 1) che negli atti con cui le autorità nazionali procedono al recupero degli aiuti dichiarati illegittimi con la citata Decisione è necessaria la motivazione circa l’applicabilità della Decisione medesima al caso concreto e 2) di non limitare l’indagine del giudice nazionale – sull’applicabilità della Decisione al caso concreto – ai soli casi sussumibili nell’ambito della disposizione di cui al D.M. 21 luglio 2006… nonchè 3) possa e debba, invece, detta indagine essere estesa alla valutazione del caso specifico, allo scopo di verificare se, in concreto, un determinato aiuto, pur non rientrando nei casi di cui al citato D.M., non produca effetti distorsivi della concorrenza e tanto meno di facilitare l’espansione del soggetto beneficiario dell’aiuto in altri mercati e sia quindi sottratto all’ambito di operatività della Decisione”.

La seconda censura (vizio di motivazione) è invece riassunta, alla fine del paragrafo ad esso dedicato, nei seguenti termini: contraddittoriamente la C.T.R. “da un lato… afferma che, in via di principio, il giudice nazionale ha il potere-dovere di verificare se il caso specifico rientri nel perimetro applicativo della Decisione, cioè di operare la sussunzione dell’ipotesi concreta nella fattispecie generale astratta delineata dalla Commissione…; dall’altro… statuisce che tale indagine sarebbe fortemente limitata, richiamando una disciplina (quella del contraddittorio comunitario procedimentalizzato di cui all’art. 8 Reg. n. 994/98) che nel caso di specie non potrebbe in ogni caso essere invocata ratione temporis”.

4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa o comunque insufficiente motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al subordinato rilievo, contenuto in sentenza, secondo cui, nel caso di specie, l’aiuto erogato ad essa ricorrente avrebbe comunque generato un effetto distorsivo della concorrenza.

Lamenta al riguardo che la C.T.R. ha omesso di considerare che, come documentalmente provato, essa società: non è stata costituita per operare e non ha mai operato in un mercato, bensì è soggetto creato ad hoc quale longa manus del Comune di Venezia per far fronte esclusivamente all’esecuzione degli interventi previsti nell’accordo di programma tra lo stesso ente locale, Regione del Veneto e Magistrato delle acque, ai sensi della L. 5 febbraio 1992, n. 139, art. 5; non ha mai operato al di fuori di tale perimetro.

5. E’ infondata la prima delle due censure formulate con il primo motivo di ricorso, con la quale si denuncia violazione di legge nei termini sopra sintetizzati, di rilievo evidentemente preliminare e assorbente rispetto alle rimanenti.

Essa pone questioni già affrontate e decise negativamente nei numerosi precedenti di questa Corte intervenuti in materia, cui questa Corte intende dare continuità non ravvisando ragioni nuove o diversamente argomentate tali da dover condurre a diversa soluzione.

Va infatti riaffermato il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “ai sensi del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, convertito nella L. 6 aprile 2007, n. 46, l’Agenzia delle Entrate ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni usufruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico istituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22, per la gestione dei servizi pubblici locali e ritenute incompatibili con il diritto comunitario come aiuti di Stato dalla decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE. Il recupero è escluso solo nell’ipotesi che si tratti di aiuti, comunque determinati nella comunicazione di ingiunzione notificata al soggetto beneficiario, rientranti nell’ambito di applicabilità della regola de minimis, esclusi i settori disciplinati da norme comunitarie speciali in materia di aiuti di Stato emanate sulla base dal Trattato che istituisce la Comunità economica europea o del Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, vigenti nel periodo di riferimento. Spetta alla società destinataria dell’ingiunzione eccepire, e provare, che l’aiuto ricevuto appartenga all’ambito di applicabilità della regola de minimis, mentre all’amministrazione incombe l’onere di provare che detta società sia una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990 e che abbia effettivamente usufruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario. Tali elementi, unitamente all’invito ad avvalersi dell’eccezione relativa all’appartenenza dell’aiuto all’ambito di applicabilità della regola de minimis, esauriscono la motivazione necessaria dell’ingiunzione” (v. Cass., Sez. 5, nn. 23417 – 23419 del 19/11/2010; v. anche, conformi, ex multis Sez. 5, nn. 15407 – 15409 del 22/07/2015; Sez. 5, n. 6538 del 27/04/2012; Sez. 5, nn. 23414 – 23416 del 19/11/2010).

L’obbligatorietà del recupero non consente dunque al giudice nazionale alcuna diversa valutazione, in quanto l’esame della compatibilità di una misura nazionale di aiuto di Stato rientra nella competenza esclusiva della Commissione della Comunità Europea (Sez. 5, nn. 15407 – 15409 del 2015 cit.; n. 6538/2012 cit.).

E’ quindi destituito di fondamento il presupposto da cui muovono, sotto diversi profili tutte le censure svolte dal ricorrente, vale a dire la necessità di procedere ad una analisi del caso concreto, ai fini di verificare la sussistenza delle specifiche condizioni per il recupero. Il recupero dell’agevolazione, infatti, è escluso nella sola ipotesi che si tratti di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola del “de minimis”, circostanza che non risulta eccepita, nè tanto meno provata dalla contribuente, investita del relativo onere.

Nel caso di specie, la società contribuente ha infatti semplicemente insistito nel ritenersi esente dal recupero in ragione del fatto che nel settore di attività dove essa operava non sarebbe stato realizzato alcun rafforzamento della propria posizione concorrenziale nel territorio di appartenenza, in ragione del circoscritto perimetro dello stesso e della non ipotizzabilità di una apertura alla concorrenza.

Correttamente, però, la decisione impugnata ha negato rilevanza a siffatte argomentazioni difensive, occorrendo anzi rilevare che una diversa decisione sul punto si sarebbe risolta in un’inammissibile revisione della decisione della Commissione, la quale costituisce fonte di diritto comunitario di immediata applicazione nei giudizi tra privati e pubblici poteri (v. Sez. 5, n. 2428 del 03/02/2010).

Varrà al riguardo peraltro rammentare che la Commissione ha affermato che “quand’anche la concorrenza in un determinato settore economico e in un determinato momento sia limitata, gli Stati membri non possono adottare misure comportanti aiuti di Stato suscettibili di impedirne lo sviluppo o di diminuire il grado di concorrenza già esistente” (decisione 2003/193/CE, punto 84). Inoltre, la Commissione ha evidenziato come la legge non imponga alle società ex lege n. 142 del 1990, le limitazioni per materia e per territorio che valevano per le aziende municipalizzate: tali società per azioni, infatti, “possono svolgere qualsiasi attività economica in qualsiasi territorio” (decisione citata, punto 92).

Appare pertanto impraticabile una diversa valutazione da parte dell’amministrazione finanziaria e da parte del giudice italiano che sono entrambi chiamati ad applicare la decisione (v. in tal senso Sez. 5, n. 23419 del 2010 cit.).

6. Non può indurre a diversa conclusione la sentenza della Corte di Giustizia 9 giugno 2011, nei proc. riuniti C-71/09, C-73/09 e C-76/09, invocata dalla ricorrente nella memoria illustrativa per essere in essa affermato il principio secondo cui, prima di procedere al recupero dell’aiuto di Stato, “le autorità nazionali devono necessariamente verificare in ciascun caso individuale se l’agevolazione concessa può, in capo al suo beneficiario, falsare la concorrenza ed incidere sugli scambi intracomunitari” (pt. 115), nonchè “previamente dimostrare, alla luce delle considerazioni esposte ai punti 113-121… che le agevolazioni concesse costituiscono, in capo ai beneficiari, aiuti di Stato” (pt. 183).

Tale sentenza afferisce infatti a una diversa decisione della Commissione europea, adottata in data 25 novembre 1999, che ha ritenuto configurare aiuto di Stato illegittimo l’applicazione alle aziende operanti nei territori di Venezia e Chioggia del regime di sgravi contributivi già concessi alle aziende del mezzogiorno per gli anni 1994-1996 ai sensi del D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 59 e del successivo D.M. 5 agosto 1994; estensione disposta dal D.L. 29 marzo 1995, n. 96, art. 5-bis, convertito in L. 31 maggio 1995, n. 206 e dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 27, convertito in L. 28 febbraio 1997, n. 30. Come rimarcato nella sentenza della Corte di giustizia tale decisione, a differenza di quella che occupa nella fattispecie, “ai sensi dell’art. 5 della decisione controversa, la Repubblica italiana adotta tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli “aiuti incompatibili con il mercato comune”. L’esecuzione di tale obbligo implica, pertanto, che sia previamente accertato che le agevolazioni concesse possono essere qualificate come aiuti di Stato” (pt. 113). Più precisamente ancora viene evidenziato dalla Corte di Giustizia che “dalla lettura dei punti 49 e 50 della decisione controversa emerge che questa si è limitata, per quanto riguarda i criteri di incidenza sugli scambi intracomunitari e di distorsione della concorrenza, ad un’analisi delle caratteristiche del regime di aiuti in questione. Infatti, la Commissione ha solamente verificato se talune delle imprese che beneficiavano degli sgravi degli oneri sociali in base a detto regime esercitassero attività economiche che potevano incidere sugli scambi tra Stati membri e falsare la concorrenza, dal momento che una simile verifica era sufficiente a dimostrare la sua competenza al fine di procedere ad un’analisi della compatibilità del suddetto regime con il mercato comune” (pt. 114); da qui la susseguente affermazione, secondo cui “di conseguenza, prima di procedere al recupero di un’agevolazione, le autorità nazionali dovevano necessariamente verificare, in ciascun caso individuale, se l’agevolazione concessa potesse, in capo al suo beneficiario, falsare la concorrenza ed incidere sugli scambi intracomunitari, poichè altrimenti tale verifica supplementare, essenziale per qualificare come aiuti di Stato le agevolazioni individuali ottenute, non poteva essere compiuta” (pt. 115): affermazione, questa, che dunque, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa della ricorrente, non può essere assunta a principio di ordine generale valevole per ogni decisione di recupero di aiuto di Stato illegittimo, ma è strettamente legata (“di conseguenza”) al peculiare contenuto della decisione che si trattava in quel caso di attuare.

Varrà invece ribadire che, la Decisione che nella specie si tratta di attuare, n. n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, così come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia del 1 giugno 2006 in causa C-207/05 e, quindi, attuata dalla L. n. 10 del 2007, non lascia altro spazio che alla verifica dei due soli presupposti: a) che il soggetto destinatario della pretesa sia una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990; b) che tale società abbia usufruito (per restare al caso di specie) effettivamente dell’esenzione triennale prevista dal D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14; in presenza dei quali l’azione di recupero può essere esclusa solo nel caso dell’appartenenza dell’aiuto “individualmente concesso” all’ambito di applicazione della regola de minimis, situazione che, come detto, deve essere eccepita dalla società contribuente, ai sensi di quanto previsto ai commi 4 e 9 della norma interna citata.

7. Come anticipato, resta assorbito l’esame delle restanti censure (quella posta ad oggetto del secondo motivo risultando peraltro in sè inammissibile in quanto non corredata dalla formulazione di momento di sintesi, richiesta dall’art. 366-bis c.p.c., applicabile nella specie ratione temporis).

Deve pertanto pervenirsi al rigetto del ricorso.

La complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione delle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016

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