Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23797 del 23/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 23/11/2016, (ud. 18/03/2016, dep. 23/11/2016), n.23797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2001/2009 R.G. proposto da:

S.A.BA.R. S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Bruno Buozzi, 87,

presso lo studio dell’Avv. Massimo Colarizi che, unitamente all’Avv.

Ermes Coffrini del Foro di Reggio Emilia e all’Avv. Prof. Francesco

Tesauro del Foro di Milano, la rappresenta e difende, giusta delega

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, n. 114/23/2008,

depositata il 06/11/2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18

marzo 2016 dal Relatore Cons. Dott. Emilio Iannello;

udito per la ricorrente gli Avv.ti Ermes Coffrini e Francesco

Tesauro;

udito l’Avvocato dello Stato Gianni De Bellis per la

controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

GIACALONE Giovanni, il quale ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La S.A.BA.R. S.p.A., società costituita ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, comma 3, lett. e), da otto comuni della Bassa Reggiana per lo svolgimento del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti, impugnava con separati ricorsi, avanti la C.T.P. di Reggio Emilia, le ingiunzioni nei suoi confronti emesse in data 20/3/2007 per il recupero del complessivo importo di Euro 7.637.180, costituito dalle imposte e relativi interessi che la società medesima avrebbe dovuto pagare tra il 1994 e il 1997 ove non avesse fruito del regime agevolativo di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 66, comma 14, convertito con modificazioni in L. 29 ottobre 1993, n. 427.

A tale recupero l’Agenzia delle entrate provvedeva in forza del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, convertito con modificazioni in L. 6 aprile 2007, n. 46, a sua volta emanato in attuazione della decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, con la quale era stato qualificato aiuto di Stato – illegittimo perchè lesivo del principio della libera concorrenza di mercato – il regime di esenzione triennale dall’imposta sul reddito, fruito dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico, istituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, citato art. 22, per la gestione dei servizi pubblici locali.

I ricorsi, riuniti, erano accolti dalla adita C.T.P. con sentenza n. 439/01/2007 avendo la Commissione provinciale ritenuto insufficiente a giustificare l’applicazione alla odierna ricorrente della ricordata Decisione della Commissione Europea il solo fatto che la stessa sia stata costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990, essendo invece necessaria a tal fine – secondo il primo giudice – un’indagine volta ad accertare che la fattispecie concreta che la riguarda possa essere ricompresa tra quelle considerate dalla Decisione medesima.

2. Con la sentenza in epigrafe la C.T.R. dell’Emilia-Romagna, sezione staccata di Parma, respinta l’eccezione di inammissibilità per asserita tardività, accoglieva l’appello proposto dall’amministrazione e rigettava quello incidentale della società e, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava legittime le ingiunzioni di pagamento, compensando le spese.

Avverso tale decisione la S.A.BA.R. S.p.A. propone ricorso per cassazione sulla base di undici motivi, corredati da quesiti di diritto, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

La ricorrente ha depositato una prima memoria illustrativa in data 12/1/2012 e una seconda in data 16/4/2015, altre due in date 7 e 10 marzo 2016.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo di ricorso la contribuente ripropone la questione di costituzionalità del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, conv. in L. n. 46 del 2007, nonchè occorrendo del D.L. 8 aprile 2008, n. 59, conv. in L. 6 giugno 2008, n. 101 e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 47-bis, in quanto la controversia concernente il rimborso degli aiuti di Stato avrebbe natura non tributaria, ciò rendendo a suo dire incostituzionale (per violazione dell’art. 102 Cost.) la devoluzione delle relative controversie alle Commissioni Tributarie.

4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47-bis, come modificato del D.L. n. 59 del 2008, art. 2, conv. in L. n. 101 del 2008, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2 e art. 22, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. omesso di dichiarare l’inammissibilità del ricorso in appello per tardività della costituzione in giudizio, avvenuta al di là del termine di 15 giorni dalla notifica dell’appello stesso, in violazione delle norme suddette che hanno dimezzato il termine ordinario.

5. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, conv. in L. n. 46 del 2007, per avere ritenuto riferibile la decisione della Commissione CE 2003/193 del 5 giugno 2002, anche a società – quale essa ricorrente – a capitale interamente pubblico, affidataria in house del servizio di smaltimento dei rifiuti prodotti nel territorio dei comuni suoi soci.

6. Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 88 del Trattato CE, per avere la C.T.R. ritenuto costituire indebiti aiuti di Stato anche le sovvenzioni erogate in settori non aperti alla concorrenza, com’è quello dello smaltimento dei rifiuti.

7. Con il quinto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del principio di affidamento sulla regolarità dell’aiuto di cui all’art. 14 Reg. CE 659/99, nonchè del principio della certezza del diritto, ponendo il quesito se sia compatibile con tale norma un procedimento di infrazione avviato nel 1997 e terminato nel 2002.

8. Con il sesto motivo la S.A.BA.R. S.p.A. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 234 Trattato CE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. omesso di sottoporre alla Corte di Giustizia, con rinvio pregiudiziale, l’interpretazione della deliberazione della Commissione CE al fine di stabilire la sua riferibilità anche alle società a totale capitale pubblico: rinvio a cui, secondo la ricorrente, i giudici a quibus avrebbero potuto sottrarsi solo nel caso in cui avessero accolto l’interpretazione da essa in tal senso proposta.

9. Con il settimo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, conv. in L. n. 46 del 2007, nonchè degli artt. 86 e 87 Trattato CE, in quanto la decisione di recuperare a carico di essa società gli aiuti di stato sarebbe incompatibile con l’art. 87 del Trattato, non essendo essa nelle condizioni di falsare o minacciare di falsare la concorrenza in difetto del presupposto della sussistenza di un mercato aperto, o apribile, all’azione di vari soggetti e trattandosi inoltre di società costituita quale modulo operativo dell’ente pubblico, dei cui servizi è affidataria in house.

10. Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, “ovvero alternativamente” dell’art. 2946 c.c. e art. 14 Regolamento CE 659/1999, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver omesso di attribuire rilievo ostativo al recupero delle imposte in questione, ai sensi delle citate norme, al tempo trascorso dagli anni cui le stesse sono riferite. Formula al riguardo il seguente quesito di diritto: “dica la Corte di cassazione se sia conforme alle norme in esame, nonchè al principio dell’affidamento e della certezza del diritto, avviare una procedura di recupero di imposte non corrisposte notificando le relative ingiunzioni decorsi oltre 10 anni dal periodo di imposta cui si riferisce il recupero”.

11. Con il nono motivo di ricorso la società deduce ancora, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, nonchè del principio di affidamento, proporzionalità e parità di trattamento, nonchè ancora del principio di irretroattività. Pone al riguardo, in forma multipla, il quesito se il recupero in esame sia compatibile: con la L. n. 289 del 2002, art. 9, sul condono; con il principio di affidamento, proporzionalità e parità di trattamento, atteso che essa società ebbe a presentare le dichiarazioni dei redditi senza seguito di provvedimenti da parte dell’Amministrazione; con il principio della irretroattività delle leggi.

12. Con il decimo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della normativa in tema di interessi come richiamata nelle ingiunzioni, nonchè degli artt. 2946 e 2935 c.c., in tema di prescrizione.

Formula al riguardo i seguenti quesiti: “se il Regolamento CE n. 794/2004 del 21 aprile 2004, cui rinvia il D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 3, si possa applicare alle decisioni di recupero della Commissione CE notificate prima della entrata in vigore di detto regolamento, e in particolare alla Decisione 2003/193/CE notificata allo Stato italiano il 7 giugno 2002; se sul suddetto credito possano essere conteggiati interessi con decorrenza dal 1994 al 1997, ossia da molti anni prima rispetto alla insorgenza del credito; se gli interessi possano prescindere dal ritardato pagamento del credito liquido ed esigibile cui accedono, fino ad arrivare a precedere come obbligo, Io stesso insorgere del credito medesimo; se la prescrizione degli interessi può essere senza termine iniziale di decorrenza; se sussista automatismo tra restituzione del supposto aiuto di Stato e decorrenza degli interessi a prescindere dal periodo cui l’aiuto di Stato si riferisce e dalla data del provvedimento di recupero”.

13. Con l’undicesimo motivo la ricorrente infine deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 47-bis; del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 2, conv. in L. n. 46 del 2007; dell’art. 87 Trattato CE; del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 44 e dell’art. 352 c.p.c..

Formula il seguente quesito multiplo: “dica la Corte di cassazione: se il dispositivo della sentenza di che trattasi, avendo dichiarato ammissibile l’appello principale ma non dichiarando, nel contempo, il suo accoglimento, risponda alla ratio e alla lettera di quanto richiesto, a pena di nullità, anche dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47-bis; se il D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 2, nell’ancorare il recupero degli aiuti di Stato “alla misura della effettiva fruizione” debba essere interpretato con riferimento solo alla quantificazione dell’aiuto ottenuto, con riferimento alla imposta non corrisposta, senza considerare, altresì, i crediti di imposta che la normativa consentiva; se l’inciso predetto prescinda dalla individuazione del soggetto o dei soggetti che hanno tratto concreto vantaggio – ed in quale entità – dal beneficio fiscale oggetto di recupero; se sia conforme alle norme che la riforma della sentenza di primo grado sia effettuata senza una congrua e non contraddittoria motivazione”.

14. La prospettata questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 10 del 2007, art. 1 – proposta con il primo motivo di ricorso ed evidentemente finalizzata ad una pronuncia di difetto di giurisdizione – è inammissibile per difetto di rilevanza.

Sulla giurisdizione dell’adito giudice tributario si è formato infatti il giudicato interno per effetto della mancata impugnazione della sentenza di primo grado che, accogliendo il ricorso proposto dalla contribuente, aveva implicitamente riconosciuto la giurisdizione della adita commissione tributaria.

Tale presupposta statuizione (ancorchè, come detto, implicita) non è stata appellata da alcuna delle parti, risultando pacifico in causa che la questione di legittimità costituzionale nei detti termini è stata prospettata dalla società appellata per la prima volta con memoria depositata nel corso del giudizio di appello, mentre il tema non risulta trattato nell’appello incidentale dalla stessa proposto (v. Cass. Sez. U, Ord. n. 2067 del 28/01/2011, Rv. 616102; conf., ex aliis, Sez. 6-5, Ord. n. 2752 del 23/02/2012, Rv. 621692)

15. E’ infondato il secondo motivo.

Giova premettere che, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, con indirizzo incontrastato e qui condiviso, “in tema di contenzioso tributario, del D.Lgs n. 546 del 1992, art. 47-bis – introdotto con effetto dal 9 aprile 2008, del D.L. n. 59 del 2008, art. 2, comma 1, conv. dalla L. n. 101 del 2008 – si interpreta, in considerazione della sedes materiae in cui è stato inserito, della finalità di accelerare le controversie in materia di aiuti di Stato e della disciplina transitoria, contenuta nei commi 2 e 3 del cit. D.L. n. 59, art. 2, nel senso che i termini dimidiati (ad eccezione di quello per proporre ricorso in appello) si riferiscono unicamente ai casi di concessione della sospensione cautelare da parte della commissione tributaria provinciale” (Sez. 5, n. 26285 del 29/12/2010, Rv. 615753).

Nel caso in esame non è dato conoscere, alla stregua degli atti prodotti e trasmessi nella presente sede, se sussista detto presupposto per la dimidiazione dei termini di costituzione in appello, se cioè sia stata concessa oppure no, in primo grado, la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato.

La ricorrente lo afferma, sia pure incidentalmente, per la prima volta nella memoria del 12/1/2012 (v. pag. 7); l’Agenzia invece lo nega, implicitamente ma univocamente, nelle proprie controdeduzioni.

Senza però che metta conto procedere ad ulteriori accertamenti in merito, appare dirimente il rilievo che il giudicato – che occorrerebbe nel primo caso ritenere si sia formato – condurrebbe inammissibilmente a paralizzare il recupero di un aiuto di Stato dichiarato illegittimo dall’Unione europea e impedirebbe pertanto l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario.

Cosa che non è consentita per il principio, costantemente affermato nella giurisprudenza della S.C. in fattispecie similari, secondo cui il potere-dovere del giudice nazionale di conformarsi al diritto comunitario comporta la necessaria disapplicazione delle regole processuali di diritto interno che, precludendo in sede di legittimità l’esame di questioni non specificamente dedotte dal ricorrente, impediscono la piena applicazione delle norme comunitarie (così Sez. 5, n. 26285 del 2010 cit.; cfr. anche Sez. 5, n. 25320 del 15/12/2010, Rv. 615368, la quale, se da un lato ha affermato che, di regola, “il diritto comunitario, così come costantemente interpretato anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europa (sentenza 3 settembre 2009, in causa C-2/08 Olimpiclub e sentenza 16 marzo 2006, in causa C-234/04, Kapferer) non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne da cui deriva l’autorità di cosa giudicata di una decisione, nemmeno quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione”, dall’altro ha tuttavia fatto salve le ipotesi “da ritenersi assolutamente eccezionali, in cui ricorrano discriminazioni tra situazioni di diritto comunitario e situazioni di diritto interno ovvero che sia reso in pratica impossibile o estremamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario”, il che è per l’appunto quanto si verificherebbe nella materia qui trattata degli aiuti di Stato).

In tale prospettiva giova rammentare che la Corte di giustizia C.E. ha affermato che il diritto comunitario osta all’applicazione del principio di autorità della cosa giudicata ove esso contrasti con il principio di effettività, nei limiti in cui l’applicazione del primo principio impedisca il recupero di un aiuto di stato dichiarato incompatibile con decisione della commissione divenuta definitiva (Corte di giustizia sentenza 18 luglio 2007 in causa C-119/05 Lucchini).

Tanto più tale principio deve condurre nella specie a ritenere inapplicabile la norma processuale sopra richiamata, nei sensi indicati dalla ricorrente, ove si consideri la sua evidente finalità acceleratoria, tesa a garantire la celerità del giudizio a tutela delle ragioni dell’Amministrazione (in ipotesi lese dal ritardo nel recupero determinato dalla sospensione dell’esecuzione cautelare dell’atto a tal fine emesso), di tal che la sua incondizionata applicazione anche al caso in cui sia l’amministrazione a impugnare la sentenza di primo grado comporterebbe l’esito paradossale di aggravare, anzichè agevolare, la posizione della stessa e di fatto ostacolare l’obiettivo che la norma invece tendeva a favorire.

16. Sono altresì infondati il terzo, quarto, sesto e settimo motivo, congiuntamente esaminabili.

Essi pongono tutte questioni affrontate e decise negativamente nei numerosi precedenti di questa Corte già intervenuti in materia, cui questa Corte intende dare continuità non ravvisando ragioni nuove o diversamente argomentate tali da dover condurre a diversa soluzione.

16.1. Va infatti riaffermato il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “ai sensi del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, convertito nella L. 6 aprile 2007, n. 46, l’Agenzia delle Entrate ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni usufruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico istituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22, per la gestione dei servizi pubblici locali e ritenute incompatibili con il diritto comunitario come aiuti di Stato dalla decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE. Il recupero è escluso solo nell’ipotesi che si tratti di aiuti, comunque determinati nella comunicazione di ingiunzione notificata al soggetto beneficiario, rientranti nell’ambito di applicabilità della regola de minimis, esclusi i settori disciplinati da norme comunitarie speciali in materia di aiuti di Stato emanate sulla base dal Trattato che istituisce la Comunità economica europea o del Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, vigenti nel periodo di riferimento. Spetta alla società destinataria dell’ingiunzione eccepire, e provare, che l’aiuto ricevuto appartenga all’ambito di applicabilità della regola de minimis, mentre all’amministrazione incombe l’onere di provare che detta società sia una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990 e che abbia effettivamente usufruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario. Tali elementi, unitamente all’invito ad avvalersi dell’eccezione relativa all’appartenenza dell’aiuto all’ambito di applicabilità della regola de minimis, esauriscono la motivazione necessaria dell’ingiunzione” (v. Cass., Sez. 5, nn. 23417 – 23419 del 19/11/2010; v. anche, conformi, ex multis Sez. 5, nn. 15407 – 15409 del 22/07/2015; Sez. 5, n. 6538 del 27/04/2012; Sez. 5, nn. 23414 – 23416 del 19/11/2010).

L’obbligatorietà del recupero non consente dunque al giudice nazionale alcuna diversa valutazione, in quanto l’esame della compatibilità di una misura nazionale di aiuto di Stato rientra nella competenza esclusiva della Commissione della Comunità Europea (Sez. 5, nn. 15407 – 15409 del 2015 cit.; n. 6538/2012 cit.).

Sono quindi destituiti di fondamento gli stessi presupposti delle censure, vale a dire la necessità di procedere ad una analisi del caso concreto, ai fini di verificare la sussistenza delle specifiche condizioni per il recupero. Il recupero dell’agevolazione, infatti, è escluso nella sola ipotesi che si tratti di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola del “de minimis”, circostanza che non risulta eccepita, nè tanto meno provata dalla contribuente, investita del relativo onere.

Nel caso di specie, la società contribuente ha infatti semplicemente insistito nel ritenersi esente dal recupero in ragione del fatto di essere una società a partecipazione pubblica totalitaria (come mera trasformazione di una municipalizzata) e del fatto che nel settore di attività dove essa operava non sarebbe stato realizzato alcun rafforzamento della propria posizione concorrenziale nel territorio di appartenenza, in ragione della stessa non ipotizzabilità di una apertura alla concorrenza.

Correttamente però la decisione impugnata ha negato rilevanza a siffatte argomentazioni difensive, occorrendo anzi rilevare che una diversa decisione sul punto si sarebbe infatti risolta in un’inammissibile revisione della decisione della Commissione, la quale costituisce fonte di diritto comunitario di immediata applicazione nei giudizi tra privati e pubblici poteri (v. Sez. 5, n. 2428 del 03/02/2010).

In particolare, devesi ribadire che il fatto che la società contribuente sia a partecipazione pubblica totalitaria non costituisce ragione perchè le agevolazioni ricevute, le stesse riconosciute ad una società a partecipazione pubblica maggioritaria, non debbano considerarsi “aiuti di Stato” non consentiti, non essendo elemento in grado di assumere rilevanza nella lettura della portata della decisione della Commissione europea cui il giudice interno è tenuto a dare attuazione.

Invero la L. n. 142 del 1990, stabilisce che le società per azioni mediante le quali i comuni e le province possono gestire i servizi pubblici locali debbono essere a “prevalente capitale pubblico locale”: il concetto di prevalenza (del capitale pubblico) vale a stabilire un limite minimo e non un limite massimo di legittimazione della costituita società alla gestione dei servizi pubblici, sicchè non ne cambia nè la natura, nè la funzione, se per avventura la società in questione fosse interamente partecipata dal comune.

Varrà al riguardo peraltro rammentare che la Commissione ha affermato che “quand’anche la concorrenza in un determinato settore economico e in un determinato momento sia limitata, gli Stati membri non possono adottare misure comportanti aiuti di Stato suscettibili di impedirne lo sviluppo o di diminuire il grado di concorrenza già esistente” (decisione 2003/193/CE, punto 84). Inoltre, la Commissione ha evidenziato come la legge non imponga alle società ex lege n. 142 del 1990, le limitazioni per materia e per territorio che valevano per le aziende municipalizzate: tali società per azioni, infatti, “possono svolgere qualsiasi attività economica in qualsiasi territorio” (decisione citata, punto 92).

Appare pertanto impraticabile una diversa valutazione da parte dell’amministrazione finanziaria e da parte del giudice italiano che sono entrambi chiamati ad applicare la decisione (v. in tal senso Sez. 5, n. 23419 del 2010 cit.).

16.2. Va conseguentemente disattesa la richiesta, avanzata dalla società ricorrente, di rinvio pregiudiziale ex art. 234 Trattato CE, alla Corte di Giustizia relativamente all’ipotesi di società per azioni interamente partecipata dal capitale pubblico locale, in quanto:

a) la Corte di Giustizia si è già pronunciata in ordine alla decisione della Commissione n. 2003/193/CE, confermandone i risultati;

b) l’interpretazione della decisione è evidente nel senso che essa ricomprende anche le società interamente partecipate, dato che, nell’economia della decisione in parola, come detto, non è la composizione del capitale sociale la ragione della ritenuta incompatibilità con il diritto comunitario, quali aiuti di Stato, delle agevolazioni riconosciute in modo identico alle società di gestione dei servizi pubblici, comunque partecipate. Le ragioni della decisione della Commissione sono quelle indicate nei punti 48 e seguenti della decisione stessa ed esse non hanno alcun riferimento alla composizione del capitale sociale delle società per azioni considerate (v. già in tal senso Sez. 5, n. 23419 del 2010 cit.).

17. Sono altresì infondati il quinto, l’ottavo e il nono motivo, anch’essi congiuntamente esaminabili.

Come ricordato dal citato precedente di Sez. 5, n. 23419 del 2010, la Corte costituzionale con ordinanza n. 36 del 6 febbraio 2009, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale attinente al valore retroattivo del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 aprile 2007, n. 46, art. 1, sollevate dalla C.T.P. di Firenze, in riferimento agli artt. 53 e 97 della Costituzione. Per il giudice delle leggi “la denunciata efficacia retroattiva delle norme censurate trova giustificazione sia nell’art. 117 Cost., comma 1, in conseguenza dell’obbligo imposto dall’ordinamento comunitario al legislatore italiano di procedere al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni fiscali non compatibili con la normativa comunitaria; sia nell’art. 3 Cost., data l’esigenza di ricondurre ad uguaglianza la posizione dei contribuenti, eliminando sin dall’origine gli effetti economici illegittimamente accordati ad alcuni di essi”, e non potendo questi ultimi, di regola, invocare alcun legittimo affidamento sugli aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. In particolare, secondo la Corte delle leggi, non sussiste violazione dei principi di capacità contributiva e di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione, poichè il prelievo fiscale “costituisce un recupero dell’ammontare dell’esenzione fiscale indebitamente concessa e non è effetto di un’ulteriore imposta ad efficacia retroattiva”, bensì comporta la sottoposizione ad imposta di redditi che all’epoca della loro formazione erano già imponibili.

Come fondatamente rilevato dall’Agenzia, inoltre, l’affidamento oggetto di tutela può essere solo quello direttamente imputabile a comportamenti dell’Istituzione comunitaria, mentre non rappresenta una causa di esclusione dell’obbligo di restituzione delle somme percepite l’affidamento basato solo sulla fiducia riposta nella legge dello Stato e nel comportamento dell’Amministrazione deputata ad applicarla tanto più nei casi, come in quello in esame, in cui l’aiuto è stato concesso in violazione dell’art. 88, pt. 3, del Trattato.

Quanto poi agli effetti del condono ex art. 9 legge 289 del 2002 è sufficiente rammentare che il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 24, che reca il significativo titolo di “Attuazione della decisione 2003/193/CE in materia di recupero di aiuti illegittimi”, stabilisce espressamente al comma 1, ultimo periodo, che per “il recupero dell’aiuto non assume rilevanza l’intervenuta definizione in base agli istituti di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289 e successive modificazioni e integrazioni”. La disposizione costituisce esplicitazione di una norma già interna al sistema e funzionale alla prevalenza del diritto comunitario: il principio di effettività impone la disapplicazione della normativa nazionale che osti al recupero dell’aiuto di Stato dichiarato incompatibile dalla Commissione. Non può dubitarsi che tale principio osta a che una norma nazionale, come ad es. quella espressa dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 9, a tenore della quale “la definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dal contribuente o all’applicabilità di esclusioni”, non potrebbe mai avere la forza di rendere legittime agevolazioni che costituiscano aiuti di Stato incompatibili con il diritto comunitario, come sono quelle delle quali nella causa si discute (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 23421 del 19/11/2010).

Questa Corte ha, al riguardo, avuto modo di affermare la piena conformità a Costituzione anche di tale disposizione, rilevando che essa è diretta proprio a ricondurre ad eguaglianza la posizione dei contribuenti, eliminando sin dall’origine gli effetti economici illegittimamente accordati ad alcuni di essi, i quali non possono invocare, di regola, alcun legittimo affidamento nel godere di aiuti di Stato incompatibili con l’ordinamento comunitario (Sez. 5, n. 14022 del 03/08/2012).

18. Il decimo motivo è infondato nella parte relativa alla eccepita prescrizione dell’azione di recupero.

In tema di recupero di aiuti di Stato, la normativa nazionale riguardante gli effetti del decorso del tempo sui rapporti giuridici (sia in tema di prescrizione che di decadenza) deve essere disapplicata per contrasto con il principio di effettività proprio del diritto comunitario, qualora impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione europea divenuta definitiva (v. Cass., Sez. 5, n. 23418 del 2010, cit.; Sez. 5, n. 26286 del 29/12/2010; Sez. 5, n. 11228 del 20/05/2011; Sez. 5, n. 6542 del 27/04/2012).

Va aggiunto che l’obbligazione restitutoria – cui va correlata l’azione di recupero – sortisce dalla declaratoria di illegittimità della misura agevolativa, in quanto dichiarata aiuto di Stato illegittimo, e non dalla normativa nazionale: il profilo dei limiti temporali trova soluzione nella disciplina comunitaria prevalente, nella quale è previsto (art. 15 del citato Reg. CE n. 659/1999) che i poteri della Commissione europea, per quanto riguarda il recupero degli aiuti, sono essi stessi soggetti a un termine decennale, all’infruttuoso spirare del quale l’aiuto è considerato come un aiuto esistente (sottratto al recupero). Tanto si impone sui termini prescrizionali interni, i quali non decorrono se non dalla notifica della decisione di recupero (così Sez. 5, n. 14022 del 2012 cit.).

19. Il motivo è altresì infondato nella parte relativa agli interessi.

La ricorrente sostiene l’illegittimità dell’applicazione al caso di specie degli interessi composti quali previsti dal Regolamento CE n. 794/2004 del 21 aprile 2004, cui rinvia il D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 3, giacchè – a suo dire – essendo stata la decisione di recupero notificata allo Stato italiano il 7 giugno 2002, vale a dire in data anteriore a quella (di notifica) del citato Regolamento CE n. 794/2004, la norma di diritto comunitario evocata per il calcolo degli interessi sarebbe inapplicabile al caso di specie, tanto meno con decorrenza fin dal 1994, primo degli anni cui si riferisce l’imposta la cui esenzione è stata dichiarata costituire illegittimo aiuto di Stato.

La tesi non può essere condivisa alla stregua di una corretta ricostruzione della normativa comunitaria in materia e di quella interna emessa al fine di darne attuazione.

19.1. Quanto alla prima, giova rammentare che:

a) il Regolamento CE n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999 (recante modalità di applicazione dell’art. 93 del Trattato CE) dispone, all’art. 14, paragrafo 2, che “all’aiuto da recuperare ai sensi di una decisione di recupero si aggiungono gli interessi calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla Commissione. Gli interessi decorrono dalla data in cui l’aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data di recupero”; il successivo art. 27 prevede che la Commissione è autorizzata ad emanare disposizioni di attuazione riguardanti, fra l’altro, “il tasso di interesse di cui all’art. 14, paragrafo 2”;

b) la decisione della Commissione del 5 giugno 2002, 2003/193/CE (notificata il 7 giugno 2002), che qui interessa, stabilisce, all’art. 3, comma 3, che “l’aiuto da recuperare è produttivo di interessi, decorrenti dalla data in cui l’aiuto è stato posto a disposizione dei beneficiari fino alla data di effettivo recupero, calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell’equivalente sovvenzione nell’ambito degli aiuti a finalità regionale”; nel punto 127 della motivazione si precisa che tale calcolo degli interessi è conforme alla prassi della Commissione;

c) nella Comunicazione 8 maggio 2003, 2003/C 110/08, sui tassi di interesse da applicarsi in caso di recupero di aiuti illegali, la Commissione, premesso che per diversi anni aveva seguito la prassi di imporre nelle decisioni di recupero il calcolo basato sul tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell’equivalente sovvenzione netto nell’ambito degli aiuti regionali come base del tasso di interesse di mercato e che era sorta la questione se il predetto tasso dovesse essere applicato su base semplice o composta, ha osservato che, nonostante la varietà delle situazioni, gli aiuti illegali hanno “l’effetto di fornire fondi al beneficiario a condizioni analoghe ad un prestito a medio termine senza interessi. L’applicazione di interessi composti appare pertanto necessaria per neutralizzare tutti i vantaggi fiscali risultanti da una tale situazione”; ha, pertanto, informato gli Stati membri e le parti interessate che “in tutte le decisioni che essa adotterà in futuro per disporre il recupero di aiuti illegali verrà applicato il tasso di riferimento utilizzato per calcolare l’equivalente sovvenzione netto nell’ambito degli aiuti regionali su base composta”; ed ha aggiunto che la Commissione “si aspetta che gli Stati membri applichino interessi composti all’atto dell’esecuzione delle decisioni di recupero ancora in corso, a meno che ciò non sia contrario ad un principio generale del diritto comunitario”;

d) il Regolamento CE n. 794/2004 della Commissione del 21 aprile 2004, adottato in applicazione del sopra citato art. 27 del Reg. n. 659/1999, dispone, al Capo 5 (Tassi di interesse per il recupero di aiuti illegittimi), art. 11, paragrafo 2, che “il tasso di interesse è applicato secondo il regime dell’interesse composto fino alla data di recupero dell’aiuto. Gli interessi maturati l’anno precedente producono interessi in ciascuno degli anni successivi”; il successivo Capo 6 (Disposizioni finali) all’art. 13 stabilisce, per quanto qui rileva, che “gli artt. 9 e 11 si applicano a tutte le decisioni di recupero notificate successivamente alla data di entrata in vigore del presente regolamento”.

19.2. Il legislatore nazionale, nel dare attuazione alla citata normativa comunitaria, ha disciplinato l’azione di recupero degli aiuti de quibus dapprima con il D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1 (convertito, con modificazioni, dalla L. 6 aprile 2007, n. 46), poi con il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 24 (convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2), ed infine con il D.L. 25 settembre 2009, n. 135, art. 19 (convertito, con modificazioni, dalla L. 20 novembre 2009, n. 166).

Per quanto qui rileva, del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, il comma 3 e del D.L. n. 185 del 2008, art. 24, il comma 4, hanno identicamente stabilito che:

“Gli interessi sono determinati in base alle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, secondo i criteri di calcolo approvati dalla Commissione europea in relazione al recupero dell’aiuto di Stato C57/03, disciplinato dalla L. 25 gennaio 2006, n. 29, art. 24. Il tasso di interesse da applicare è il tasso in vigore alla data di scadenza ordinariamente prevista per il versamento di saldo delle imposte non corrisposte con riferimento al primo periodo di imposta interessato dal recupero dell’aiuto”.

Della L. 25 gennaio 2006, n. 29, citato art. 24, disciplina l’attuazione della decisione della Commissione del 20 ottobre 2004, n. 2003/315/CE (con la quale fu dichiarato parzialmente incompatibile con il mercato comune il regime di aiuti a favore delle imprese che avevano realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, disposto del D.L. n. 282 del 2002, art. 5 sexies), e stabilisce, al comma 3, che gli interessi vanno “calcolati sulla base delle disposizioni di cui al capo 5^ del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, maturati a partire dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari fino alla data del loro recupero effettivo”.

19.3. Tale essendo il quadro normativo di riferimento, la questione che già si è più volte posta al vaglio di questa Corte e che qui si ripropone concerne specificamente la compatibilità con il diritto comunitario del richiamo, da parte del cit. D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 3, ai fini della determinazione degli interessi, al Regolamento CE n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, anche in caso di decisioni di recupero notificate – come nel caso di specie – anteriormente ad esso, ciò in particolare alla luce della ricordata previsione del regolamento secondo cui lo stesso si applica solo alle decisioni di recupero notificate successivamente alla sua entrata in vigore.

Al riguardo si sono in passato registrati nella giurisprudenza di questa Corte diversi orientamenti: secondo un primo indirizzo, il criterio di determinazione degli interessi su base composta deriva direttamente dalla legge nazionale, risultando il Regolamento CE del 2004 semplicemente il parametro richiamato dal legislatore nazionale (v. Sez. 5, n. 6542 del 2012, cit., che ha per tal motivo ritenuto legittima l’applicazione degli interessi composti sulle somme anche in quel caso ingiunte per restituzione di aiuti di Stato fruiti nell’anno fiscale 1994 e dichiarati illegittimi con la ricordata decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE); secondo altro orientamento detti interessi sono invece da corrispondere in misura composta se – e solo se – si tratti di decisioni di recupero notificate successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento stesso e, anche in tale ipotesi, solo relativamente al periodo intercorrente tra la notifica della decisione della Commissione e il recupero effettivo (Sez. 5, n. n. 14022 del 2012, cit.).

Con ordinanza n. 3006 del 11/02/2014 questa Corte ha successivamente investito la Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, della seguente questione pregiudiziale:

“se l’art. 14 del Regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’art. 93 del trattato CE, e gli artt. 9, 11 e 13 del Regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione del 21 aprile 2004, recante disposizioni di esecuzione del regolamento predetto, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una legislazione nazionale che, in relazione ad un’azione di recupero di un aiuto di Stato conseguente ad una decisione della Commissione notificata in data 7 giugno 2002, stabilisca che gli interessi sono determinati in base alle disposizioni del capo 5^ del citato Regolamento n. 794/2004 (cioè, in particolare, agli artt. 9 e 11), e, quindi, con applicazione del tasso di interesse in base al regime degli interessi composti”.

Su tale questione la Corte di giustizia si è pronunciata con sentenza del 3 settembre 2015 (in causa C-89/14), recante il seguente dispositivo: “L’art. 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’art. 93 del trattato CE, nonchè gli artt. 11 e 13 del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, recante disposizioni di esecuzione del regolamento n. 659/1999, non ostano a una normativa nazionale, come del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 24, comma 4, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e imprese e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, convertito, con modificazioni, nella L. del 28 gennaio 2009, n. 2, che preveda, tramite un rinvio al regolamento n. 794/2004, l’applicazione di interessi composti al recupero di un aiuto di Stato, sebbene la decisione che ha dichiarato detto aiuto incompatibile con il mercato comune e ne ha disposto il recupero sia stata adottata e notificata allo Stato membro interessato anteriormente all’entrata in vigore di detto regolamento”.

19.4. Tutto ciò premesso, reputa questa Corte che alla luce della citata sentenza, cui occorre ovviamente uniformarsi nella interpretazione del diritto comunitario, il dubbio posto circa l’applicabilità al caso di specie degli interessi composti così come indicati dalla norma interna sia destituito di fondamento.

Chiaro e insuscettibile di diversa interpretazione appare invero anzitutto il citato dispositivo con il quale, a ben vedere, rispondendo alla questione come sopra menzionata posta dall’ordinanza di rinvio (compatibilità con il diritto comunitario di una legislazione nazionale che, in relazione ad un’azione di recupero di un aiuto di Stato conseguente ad una decisione della Commissione notificata in data 7 giugno 2002, stabilisca che gli interessi sono determinati in base alle disposizioni del capo 5^ del citato Regolamento n. 794/2004… e, quindi, con applicazione del tasso di interesse in base al regime degli interessi composti), la Corte di giustizia vi ha dato risposta incondizionatamente affermativa, onde non si vede come da tale pronuncia possa trarsi ragione per una disapplicazione della norma interna ovvero per una interpretazione della stessa in termini tali da ridurne la portata (il che si risolverebbe a ben vedere in una parziale disapplicazione non sorretta da alcuna giustificazione).

Ma varrà a ciò aggiungere che anche la lettura della motivazione della sentenza offre argomenti che non solo non contrastano tale piana lettura del dispositivo, ma anzi la avvalorano.

I principali passaggi argomentativi della sentenza della C.G. possono invero così schematizzarsi:

a) l’art. 11, par. 2, del Regolamento n. 794/2004 (il quale detta il regime dell’interesse composto) è applicabile, conformemente all’art. 13, comma 5, del medesimo regolamento, solo alle decisioni di recupero notificate dopo la data di entrata in vigore di quest’ultimo (pt. 27): decisioni tra le quali non rientra quella che nel caso viene in rilievo (n. 2003/193/CE) notificata alla Repubblica italiana il 7 giugno 2002 (pt. 28);

b) per le azioni di recupero conseguenti alla Decisione 2003/193 – stante l’assenza di indicazioni dettate dalla stessa o da altre fonti comunitarie – spettava dunque al diritto nazionale determinare se, nello specifico, il tasso di interessi andasse applicato su base semplice o su base composta (ptt. 31-32);

c) al riguardo non può dedursi dalla disposta applicabilità del regolamento n. 794/2004 alle sole decisioni di recupero notificate dopo la data della sua entrata in vigore (art. 13, comma 5), un divieto di principio per gli Stati membri, nel determinare la base di calcolo degli interessi, di legiferare in un senso anzichè in un altro. “L’art. 13 del regolamento n. 794/2004 non introduce, dunque, una norma di irretroattività applicabile alle normative nazionali prima dell’entrata in vigore del regolamento n. 794/2004” (pt. 34);

d) resta fermo che nel dare attuazione al diritto dell’Unione (e, nello specifico, alla Decisione 2003/193/CE nonchè, per quanto riguarda gli interessi, all’art. 14, paragrafo 1, del Reg. n. 659/1999) lo Stato membro è tenuto a rispettare i principi generali di tale diritto (pt. 35) e fra essi, in particolare, quelli di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento (pt. 36); nè l’uno nè l’altro ostano però a che una nuova disciplina si applichi agli “effetti futuri di situazioni sorte in vigenza della vecchia legge” (ptt. 37-38);

e) a tanto la legge interna si è attenuta posto che essa si limita ad applicare una normativa nuova agli “effetti futuri di situazioni sorte sotto l’impero della disciplina anteriore” (pt. 40); infatti: da un lato, la norma nazionale non è entrata in vigore anteriormente alla data della sua pubblicazione; dall’altro, gli avvisi di imposta che prevedevano l’applicazione di interessi su base composta sono stati notificati (nel caso esaminato dal giudice del rinvio, ma anche nel presente, n.d.r.) posteriormente all’entrata in vigore di detta norma. “Siccome l’aiuto dichiarato incompatibile con il mercato comune di cui trattasi nel procedimento principale non era stato recuperato nè aveva costituito oggetto di avviso di imposta alla data di entrata in vigore di detto decreto legge, quest’ultimo non può essere considerato incidere su una situazione già acquisita” (pt. 41);

g) “peraltro, con riferimento all’importante scarto di tempo tra l’adozione, il 5 giugno 2002, della decisione n. 2003/193, con la quale la Commissione ha chiesto il recupero dell’aiuto di Stato in questione nel procedimento principale, e l’emissione, nel corso dell’anno 2009 (nel nostro caso, nel 2007, n.d.r.), di un avviso di imposta destinato ad assicurare il recupero effettivo di detto aiuto, si deve considerare che l’applicazione di interessi composti costituisce uno strumento appropriato per neutralizzare il vantaggio concorrenziale conferito illegittimamente alle imprese beneficiarie di detto aiuto di Stato” (pt. 42).

Appare evidente da tale iter argomentativo che l’unico limite all’applicazione, da parte del legislatore nazionale, degli interessi composti nelle azioni di recupero degli aiuti di Stato conseguenti a decisioni comunicate anteriormente al Regolamento n. 794/2004, riguardi le “situazioni acquisite”, intese quali situazioni esaurite, in tal senso particolarmente chiaro risultando l’ultimo periodo del pt. 41 della citata sentenza che esplicitamente considera quale situazione acquisita quella relativa ad aiuto di Stato già recuperato ovvero posto ad oggetto di avviso di imposta anteriormente alla data di entrata in vigore della norma interna.

19.5. Nè argomento contrario può trarsi dalla sentenza del Tribunale dell’U.E., resa in data 9 giugno 2016 nella causa T-122/14, che ha annullato la decisione della Commissione C(2013) 8681 final, del 6 dicembre 2013, la quale – in esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia del 17 novembre 2011, in causa C-496/09, che (in relazione al già accertato inadempimento della Decisione della Commissione 11 maggio 1999, 2000/128/CE, che obbligava al recupero degli aiuti concessi per interventi a favore dell’occupazione) aveva condannato l’Italia al pagamento di una penalità di ammontare corrispondente alla moltiplicazione dell’importo di base di euro 30 milioni per la percentuale degli aiuti illegali incompatibili il cui recupero non era ancora stato effettuato – aveva fissato l’importo della penalità dovuta dalla Repubblica italiana per il secondo semestre successivo a tale sentenza comprendendo nella base di calcolo anche gli interessi composti.

Tale sentenza rimane infatti perfettamente in linea con gli enunciati della sentenza sopra citata della Corte di giustizia 3 settembre 2015, in causa C-89/14 (non a caso, infatti, più volte richiamata).

Anche in tale pronuncia, invero, si ribadisce che “se è vero che l’art. 11, paragrafo 2, del regolamento n. 794/2004 enuncia che il tasso di interesse è applicato secondo il regime dell’interesse composto fino alla data di recupero dell’aiuto e che gli interessi maturati l’anno precedente producono interessi in ciascuno degli anni successivi, si deve comunque constatare che tale disposizione è applicabile, conformemente all’art. 13, comma 5, del medesimo regolamento, solo alle decisioni di recupero notificate dopo la data di entrata in vigore di quest’ultimo, ossia dopo il 20 maggio 2004” (pt. 59) e che, pertanto, con riferimento alle decisioni notificate anteriormente, per determinare se gli interessi debbano essere semplici o composti, “in assenza di disposizioni del diritto dell’Unione in materia”, la relativa disciplina va ricercata nel diritto nazionale applicabile alla azione di recupero.

Con la conseguenza che, nel caso in quella sede considerato, all’azione di recupero (e correlativamente anche ai fini della determinazione delle sanzioni conseguenti alla sua tardata o incompleta attuazione), non potevano applicarsi gli interessi composti dal momento che “diversamente dalla causa che ha dato luogo alla sentenza del 3 settembre 2015, A2A (C-89/14)” – precisazione significativamente ripetuta più volte nella sentenza del Tribunale UE in esame (v. ptt. 44 e 66) – “nessun’altra disposizione di diritto italiano è stata invocata dalle parti in quanto disposizione applicabile alla presente causa”, diversa da quella di cui all’art. 1283 c.c., che, come noto, consente l’applicazione di interessi anatocistici “solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

E’ appena il caso di soggiungere che la diversità del caso in questa sede considerato sta proprio nel fatto che – nella materia degli aiuti di Stato illegittimi concessi alle società costituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22, comma 3, lett. e) – il diritto interno prevede una disciplina dell’azione di recupero (D.L. n. 10 del 2007, citato art. 1, nonchè l’identico D.L. n. 185 del 2008, art. 24, comma 4) espressamente e inequivocabilmente intesa ad affermare – attraverso il rinvio formale al Reg. 794/2004 – la dovutezza anche degli interessi composti e ciò retroattivamente a partire dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari: retroattività che, per quanto visto, non trova ostacolo nel diritto dell’U.E..

19.6. La sentenza della Corte di giustizia del 3 settembre 2015 non manca di offrire argomenti utili a palesare l’infondatezza anche degli ulteriori rilievi esposti dalla ricorrente nella memoria datata 10 marzo 2016, circa l’asserita violazione dei principi di pari trattamento (per non avere il legislatore interno mai richiesto interessi composti in relazione al recupero di aiuti dichiarati illegittimi da decisioni della commissione europea emesse prima dell’entrata in vigore del Reg. 794/2004) e di proporzionalità (per essere gli interessi composti, anche per effetto del notevole lasso di tempo intercorso, superiori a quanto necessario a ristabilire la concorrenza violata): rendendosi pertanto inutile il nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sollecitato sotto tali profili.

19.6.1. Sotto il primo di essi la Corte di giustizia, invero, pur premettendo che si tratta di questione che esula da quelle che hanno costituito oggetto della decisione di rinvio del giudice nazionale (pt. 44), ha comunque evidenziato di non avere “elementi che consentano di verificare se l’A2A tenti di avvalersi di una prassi decisionale nazionale che potrebbe disattendere il principio di legalità” e che, peraltro, “secondo una giurisprudenza costante della Corte, il principio di parità di trattamento deve conciliarsi con il rispetto della legalità, secondo cui nessuno può invocare, a proprio vantaggio, un illecito commesso a favore di altri (sentenza The Rank Group, C-259/10 e C-260/10, EU:C:2011:719, punto 62 e giurisprudenza ivi citata)” (pt. 46).

Orbene non si ravvisano, nell’ordinamento interno, indici evidenti della formazione di una prassi normativa tesa ad escludere l’applicazione di interessi composti nelle azioni di recupero di aiuti dichiarati illegittimi da decisioni della Commissione europea emesse anteriormente all’entrata in vigore del Reg. 794/2004.

Tra le fonti richiamate dalla difesa della ricorrente (D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, art. 46-quater, conv. in L. 29 novembre 2007, n. 222, la cui attuazione è stata disciplinata con decreto del 1 febbraio 2008, relativo al recupero degli aiuti alla ricapitalizzazione a favore delle cooperative pesca o dei loro consorzi, aiuti dichiarati illegittimi dalla decisione della commissione del 28 luglio 1999; il D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 1, emanato per recuperare gli aiuti fiscali concessi in favore delle banche, dichiarati illegittimi dalla decisione n. 2002/581/CE dell’11 dicembre 2001; il D.L. 20 marzo 2002, n. 36, art. 2, emanato per il recupero delle somme destinate agli autotrasportatori sotto forma del riconoscimento di un credito d’imposta per gli anni 1992, 1993 e 1994 (considerati aiuti di Stato illegittimi dalle decisioni n. 93/496/CEE e n. 97/270/CE del 22 ottobre 1996); la Circolare del Min. Finanze n. 218/E del 14 settembre 1998 emessa in relazione al recupero degli aiuti concessi a favore delle imprese siderurgiche sotto forma di esenzioni fiscali sugli utili reinvestiti, a dichiarati illegittimi dalla decisione C(1998) 1434 del 13 maggio 1998)) solo una, la prima citata, è successiva all’approvazione del Reg. 794/2004 e riguarda l’attuazione di una decisione della Commissione europea ad essa invece anteriore; tutte le altre risalgono ad anni antecedenti e non può ovviamente in esse ricercarsi alcun rinvio al detto Regolamento: il mero fatto che, successivamente all’emanazione di quest’ultimo, la disciplina interna di attuazione, anche per quel che riguarda gli interessi, sia rimasta immutata, costituisce dato non significativo, in quanto non imputabile ad una positiva, consapevole e volontaria scelta del legislatore, tanto meno nel senso di instaurare ed alimentare una prassi contraria all’applicazione degli interessi composti nelle azioni di recupero. La mancata applicazione degli interessi composti va piuttosto, per tali casi, necessariamente valutata nel contesto normativo vigente al tempo dell’entrata in vigore delle relative discipline (risalente al 2002 o ad anni anteriori) nel quale – come s’è visto – anche a livello comunitario non era ancora stata ponderata l’importanza degli interessi composti in funzione di un effettivo e pieno ripristino della situazione di pari concorrenza violata (per la prima volta ciò essendo avvenuto con la citata Comunicazione 8 maggio 2003, 2003/C 110/08).

Il raffronto può, dunque, essere condotto soltanto tra la norma di diritto interno nella specie richiamata e il D.L. n. 159 del 2007, citato art. 46-quater, il quale pertanto costituisce unico appropriato termine di paragone ai fini della richiesta valutazione, con la conseguenza che, indipendentemente da ogni altra considerazione, quantomeno sul piano strettamente quantitativo è escluso che esso possa considerarsi espressivo di una “prassi decisionale nazionale” costantemente seguita dal legislatore interno e derogata soltanto nel caso degli aiuti di Stato quali quelli nella specie considerati.

19.6.2. Sotto il secondo profilo, ma con refluenza anche su quello appena esaminato, occorre nuovamente rimarcare che, assai significativamente, la Corte di giustizia ha tenuto ad evidenziare che “con riferimento all’importante scarto di tempo tra l’adozione, il 5 giugno 2002, della decisione n. 2003/193, con la quale la Commissione ha chiesto il recupero dell’aiuto di Stato in questione nel procedimento principale, e l’emissione, nel corso dell’anno 2009, di un avviso di imposta destinato ad assicurare il recupero effettivo di detto aiuto, si deve considerare che l’applicazione di interessi composti costituisce uno strumento appropriato per neutralizzare il vantaggio concorrenziale conferito illegittimamente alle imprese beneficiarie di detto aiuto di Stato” (pt. 42).

Nella stessa prospettiva, la citata Comunicazione della Commissione sui tassi d’interesse da applicarsi in caso di recupero di aiuti illegali (Comunicazione 8 maggio 2003, 2003/C 110/08) aveva già evidenziato che: a) “il recupero è la logica conseguenza del carattere illegale di un aiuto; il recupero dell’aiuto è inteso a ristabilire lo status quo ante; per effetto della restituzione, il beneficiario è privato del vantaggio sleale di cui aveva fruito rispetto ai suoi concorrenti sul mercato, il che consente di ripristinare la situazione esistente prima dell’erogazione dell’aiuto”; b) “nella pratica di mercato, si utilizza l’interesse semplice quando il beneficiario del finanziamento non può disporre dell’importo degli interessi prima della fine del periodo, ad esempio quando gli interessi vengono pagati solo alla fine del periodo. Si calcola invece di norma l’interesse composto quando si può ritenere che per ogni anno (o per ogni periodo) venga pagato al beneficiario l’importo dell’interesse, il quale va pertanto ad incrementare il capitale iniziale. In tal caso, il beneficiario percepisce interessi sugli interessi pagati per ogni periodo”; c) pur nel variare del tipo di aiuto concesso e della situazione del singolo beneficiario, “gli aiuti illegali… (hanno, n.d.r.) l’effetto di fornire fondi al beneficianio a condizioni analoghe ad un prestito a medio termine senza interessi. L’applicazione di interessi composti appare pertanto necessaria per neutralizzare tutti i vantaggi fiscali risultanti da una tale situazione”.

Non sembra inutile al riguardo ancora sottolineare che – come già sopra ricordato – assai significativamente, nella detta Comunicazione dell’8 maggio 2003, la Commissione U.E. non solo preannuncia che “in tutte le decisioni che essa adotterà in futuro per disporre il recupero di aiuti illegali verrà applicato il tasso di riferimento utilizzato per calcolare l’equivalente sovvenzione netto nell’ambito degli aiuti regionali su base composta”, ma esplicitamente raccomanda (“la Commissione si aspetta”), quanto alle decisioni già prese e “ancora in corso” di attuazione (quale per l’appunto quella di che trattasi), che “gli Stati membri applichino interessi composti”, “a meno che ciò non sia contrario ad un principio generale del diritto comunitario”: contrarietà che, nei limiti e per le ragioni dette, non sussiste nel caso qui considerato.

Tutto ciò, da un lato, esclude che il risultato cui conduce l’applicazione degli interessi composti possa considerarsi sproporzionato rispetto al fine perseguito dall’azione di recupero di ripristino della situazione concorrenziale precedente; dall’altro dimostra che, per converso, una diversa opzione renderebbe il recupero inidoneo ad un pieno conseguimento dello scopo e, dunque, non varrebbe a sanare l’illegalità insita nella concessione dell’aiuto di Stato, il che non può non riverberarsi anche sul tema prima esaminato (rispetto del principio di pari trattamento) nel senso che, quand’anche possano ipotizzarsi scelte del legislatore interno discriminatorie circa le modalità attuative del recupero di aiuti di Stato, quella più favorevole al beneficiario, in quanto adottata attraverso un’opzione che non consente di sanare integralmente l’illegalità commessa, non potrebbe comunque costituire valido elemento di comparazione in quanto incoerente con il principio di legalità (come ricordato dalla Corte di Giustizia nel già sopra ricordato pt. 46 della sentenza citata).

Da qui anche la manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale della norma interna per contrasto con l’art. 3 Cost..

19.7. Mette conto infine segnalare che la società ricorrente (nella citata memoria del 10/3/2016) correla la dedotta lesione del principio di proporzionalità anche al ricalcolo del tasso di interesse applicato ad intervalli di cinque anni. La circostanza non ha formato oggetto di specifico motivo di gravame, nè di ricorso per cassazione, con la conseguenza che con riferimento ad essa non è consentita alcuna valutazione nella presente sede.

Tuttavia e solo al fine di corroborare e meglio calibrare la valutazione sopra espressa circa l’insussistenza di profili di violazione del principio di proporzionalità, varrà incidentalmente rilevare che, a norma dell’art. 11, comma 3, del citato Regolamento n. 794/2004, come sostituito dall’art. 1 del Regolamento (CE) 30 gennaio 2008 n. 271/2008 – norma di diritto comunitario cui, come s’è detto, fa rinvio (formale e non recettizio) il D.L. n. 10 del 2007, art. 1 – “se è trascorso più di un anno tra la data in cui l’aiuto illegittimo è stato per la prima volta messo a disposizione del beneficiario e la data di recupero dell’aiuto, il tasso di interesse è ricalcolato a intervalli di un anno, sulla base del tasso in vigore nel momento in cui si effettua il ricalcolo”.

Il rispetto del principio di proporzionalità deve essere pertanto valutato in rapporto a tale corretta modalità di ricalcolo degli interessi a intervalli di un anno (e, in tale corretta prospettiva, non si ravvisano, nè vengono dedotti, specifiche ragioni che possano indurre a dubitarne); per converso, come detto, la sua lesione deve ritenersi inammissibilmente dedotta, nella specie, in rapporto a un aspetto fattuale (il ricalcolo degli interessi a intervalli di cinque anni) che non ha costituito oggetto di dibattito nel processo, nè specifico motivo di ricorso per cassazione.

20. L’undicesimo motivo contiene infine diverse censure eterogenee, la maggior parte delle quali – quelle riferibili ai quesiti secondo, terzo e quarto – inammissibili proprio per la inadeguatezza del quesito per esse formulato.

Pur non considerando ostativa la formulazione cumulativa di tali quesiti (v. Sez. U, n. 5624 del 09/03/2009, Rv. 607216; conf. Sez. 5, n. 16345 del 28/06/2013, Rv. 627064), devesi rilevare che essi si rivelano inadeguati ad assolvere la precipua funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale; manca in particolare un riferimento compiuto alle peculiarità del caso specifico necessario al fine di comprendere la pertinenza e la decisività dei principi che si chiede siano enunciati. Varrà al riguardo rammentare che una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso, la parte – dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso – esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (Sez. U, n. 7258 del 26/03/2007, Rv. 595864). E’ perciò inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Sez. U, n. 6420 del 11/03/2008, Rv. 602276; Sez. 2, n. 16941 del 20/06/2008, Rv. 603733); come è parimenti inammissibile il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice (Sez. U, n. 28536 del 02/12/2008, Rv. 605848).

E’ poi infondata la prima doglianza relativa alla formulazione del dispositivo.

Questo infatti, indipendentemente dalla mancanza di una esplicita affermazione nel senso dell’accoglimento dell’appello, esprime chiaramente il contenuto della decisione e la statuizione nella quale essa si risolve (“in riforma della sentenza impugnata dichiara legittime le ingiunzioni di pagamento impugnate”), non potendo pertanto sussistere alcun dubbio su di essa, nè ravvisarsi alcuna causa di nullità della sentenza.

21. In ragione delle considerazioni che precedono deve in definitiva pervenirsi al rigetto del ricorso.

La complessità delle questioni trattate – per alcune delle quali (interessi composti) la decisione rimanda a una recente pronuncia della Corte di Giustizia U.E. – giustifica l’integrale compensazione delle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016

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