Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23796 del 14/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 14/11/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 14/11/2011), n.23796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 16797/10) proposto da:

G.V. (c.f. (OMISSIS)); G.E. (c.f.

(OMISSIS)); G.G. (c.f. (OMISSIS));

GU.Gr. (c.f. (OMISSIS)); questi ultimi due

anche come eredi di B.G., parti tutte rappresentate e

difese, sia congiuntamente che in via disgiunta, dall’avv. MENICHETTI

Fabio e dall’avv. Paolo Pacifici ed elettivamente domiciliate presso

lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Vallisneri n. 11, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

O.A.M. (c.f. (OMISSIS)), rappresentata e difesa

dal prof. avv. CECCHELLA Claudio e dall’avv. Lucio Nicolais ed

elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma,

Piazza Mazzini n. 27, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 1628/2009,

depositata il 15/12/09 e notificata il 10/05/2010;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza del 14/10/2011

dal Presidente Dott. Bruno Bianchini;

udito l’avv. Lucio Nicolais per la parte contro ricorrente, che ha

concluso per il rigetto del ricorso;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha dichiarato di nulla

osservare in contrario alla relazione depositata.

Fatto

OSSERVA IN FATTO

– rilevato che il Consigliere designato ha ritenuto d’avviare la trattazione in Camera di consiglio redigendo la seguente relazione ex art. 380 bis c.p.c.:

” V., E. e G.S. citarono O.A.M. innanzi al Tribunale di Lucca per sentir dichiarare il loro diritto di passare sul tratto di strada – c.d. resede – antistante l’abitazione della convenuta, sita in (OMISSIS), in quanto acquisito per effetto di usucapione e per far rimuovere la catena, posta dalla predetta O., ad ostacolare detto passaggio; la convenuta si costituì contestando il fondamento della domanda, adducendo sia la carenza di legittimazione dei G. sia l’esistenza di un accordo tra i medesimi ed il Comune di Sillano, diretto a garantire ai predetti il passaggio per il tramite di un percorso alternativo adducente alla pubblica via.

Il Tribunale adito respinse la domanda di usucapione ma condannò comunque la O. a rimuovere la catena in quanto ritenne accertato che sul c.d. resede si sarebbe esercitata una servitù pubblica di passaggio.

La Corte di appello di Firenze, pronunziando sentenza n. 1628/2009 riformò la precedente decisione ritenendo che fosse affetta da ultrapetizione, così respingendo le domande del G. anche con riferimento all’ordine di rimozione della catena.

Hanno proposto ricorso per la cassazione di tale decisione G. V., E., G. e Gr. – questi ultimi due come eredi di G.S. e di B.G., consorte del primo, parte nel giudizio di appello a seguito del decesso dello stesso – sulla base di cinque motivi corredati da memoria; si è costituita la O. con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

RILEVA IN DIRITTO

1 – Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – art. 360, comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 112 e 113 c.p.c.” in cui sarebbe incorsa la Corte fiorentina, avendo erroneamente ritenuto che il Tribunale di Lucca fosse incorso nel vizio di ultrapetizione mentre, al contrario, la decisione era stata determinata dalla verifica dell’assunto difensivo della stessa O. che, nel contestare la propria legittimazione passiva, avrebbe sostenuto che il tratto di strada ove si pretendeva di esercitare il passaggio, non sarebbe mai divenuto di proprietà della deducente, permanendo nel demanio comunale; tale qualificazione non avrebbe comunque introdotto nuovi elementi di fatto o diversi campi di indagine.

1/a – Il motivo è infondato in quanto vi è una differenza ontologica tra la servitù come disciplinata dall’art. 1027 cod. civ., e segg. e le c.d. servitù pubbliche che invece sono riconducibili alle limitazioni legali della proprietà, non essendo configurabile un fondo dominante che se ne avvantaggi, con l’ulteriore conseguenza che non sarebbe stata invocabile – a legittimare la pronunzia del Tribunale – la particolare disciplina processuale in caso di accertamento dell’esistenza dei diritti reali, tale che essi si autodeterminano, consentendo il loro riconoscimento anche per un titolo diverso da quello fatto valere in giudizio.

2 – Con il secondo motivo viene dedotta la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – art. 360, comma 1, n. 3, in relazione all’art. 100 c.p.c.” in cui si pone in rilievo la carenza di interesse della O. ad impugnare la sentenza che, oltre a respingere la domanda degli esponenti, avrebbe in sostanza acceduto alla tesi della medesima convenuta: il motivo è infondato perchè pur sempre i Tribunale aveva ordinato alla predetta la rimozione all’ostacolo al (pubblico) passaggio, così determinando – nel concreto – la medesima situazione che la stessa aveva voluto evitare opponendosi alla domanda dei G..

3 – Con il terzo motivo viene dedotta la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – art. 360, comma 1, n. 3, in retazione agli artt. 342 e 343 c.p.c. e art. 1158 cod. civ.” assumendosi che non legittimamente il proprio appello incidentale sarebbe stato dichiarato inammissibile per genericità delle censure, residuando pur sempre il potere-dovere del giudice del gravame di riesaminare le circostanze di fatto a sostegno della domanda.

3/a – Il motivo è infondato in quanto non viene contestata la dedotta genericità delle censure contenute nell’appello incidentale, a fronte delle numerose argomentazioni poste a base della sentenza di primo grado, sostenendosi invece l’esistenza di un generale potere di controllo del giudice del gravame su tutte le emergenze istruttorie e deduzioni difensive svolte nel precedente grado di giudizio, non considerando però che l’effetto devolutivo dell’appello è necessariamente mediato dalla specificità dei motivi.

4 – Con il quarto motivo viene denunziata la “violazione per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 132 c.p.c.” riproponendo, come nel precedente motivo, critiche alla valutazione dell’insufficienza del proprio appello incidentale a portare all’attenzione della Corte del gravame le argomentazioni esposte nel corso del precedente grado di giudizio.

5 – Con il quinto motivo viene denunziata la “violazione per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 132 c.p.c., sotto altro aspetto” avendo la Corte territoriale omesso di valutare l’incongruenza logica in cui sarebbe incorso il Tribunale di Lucca nell’ordinare la rimozione della catena, pur respingendo la domanda principale di usucapione della servitù di passaggio.

6 – I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica: entrambi sono infondati.

Invero i richiamati mezzi non contengono una critica alla motivazione della sentenza – che la violazione di legge denunziata è funzionale all’introduzione dell’error in judicando di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – al fine di farne emergere la insufficienza o la contraddittorietà nelle varie articolazioni logiche dalle quali è composta, una volta che si sia esclusa la possibilità di un nuovo scrutinio circa l’esistenza di una servitù privata di passaggio;

inammissibile è quindi cercare, attraverso un mezzo incongruo quale quello esposto nei motivi in esame, di far formulare alla Corte un giudizio di fatto sulla congruenza delle emergenze istruttorie raccolte e valutate nei precedenti gradi del processo.

7 – Da quanto sin qui esposto si trae la conclusione che la causa può essere trattata in sede di adunanza ex art. 375 c.p.c., n. 1 e art. 380 bis c.p.c., per quivi essere respinto il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza”.

La relazione è stata ritualmente comunicata alle parti ed al P.M. che, in sede di adunanza, non ha sollevato obiezioni alle conclusioni ivi espresse.

Tali conclusioni ritiene il Collegio di poter integralmente recepire dal momento che parti ricorrenti hanno depositato memorie critiche dalle quali non si traggono argomenti di riflessione che possano incidere sulle argomentazioni esposte nella relazione suddetta; ad integrazione della relazione va solo dichiarata la inammissibilità del controricorso per tardiva notifica, atteso che il ricorso è stato notificato il 14 giugno 2010 e depositato il successivo 3 luglio, mentre il controricorso – che, à sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, doveva esser notificato entro i successivi venti giorni – e stato invece avviato per la notifica il 27 luglio: ciò non toglie che legittimamente – sussistendo idonea procura – il patrono della controricorrente ha svolto discussione orale (con riflesso anche sul regime della ripartizione delle spese: cfr. da ultimo: Cass. 22269/2010).

Del pari inammissibile è l’allegazione, a corredo della memoria ex art. 348, da parte dei ricorrenti, di documentazione non attinente all’ammissibilità del ricorso o alla nullità della decisione – secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c..

Il ricorso va pertanto respinto ed il controricorso va dichiarato inammissibile; conseguente è la condanna al pagamento delle spese, nei limiti in precedenza messi in evidenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione Rigetta il ricorso e dichiara inammissibile il controricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta , il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2011

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