Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23795 del 23/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 23/11/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 23/11/2016), n.23795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2276/2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SUPERMERCATI DELLA CALZATURA SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA PO 9 presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO NAPOLITANO, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 175/2007 della COMM. TRIB. REG. del LAZIO,

depositata il 06/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ENZA LA TORRE;

udito per il ricorrente l’Avvocato PISANA CARLO MARIA, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato MUCCARI PIERLUIGI per delega

Avvocato NAPOLITANO FRANCESCO, che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR del Lazio (n. 175/32/07, dep. 6.12.2007). Il contenzioso ha origine dall’impugnazione dell’avviso di accertamento, notificato del D.P.R. n. 600 del 1973, ex artt. 39 e 40, col quale l’Agenzia delle entrate aveva rettificato il reddito dichiarato dalla società Supermercati della calzatura srl, ai fini dell’Irpef e dell’Ilor per l’anno 1996. In particolare risultavano gravi incongruenze fra redditi e ricavi – per elevati crediti e rimborsi IVA a fronte di bassi redditi e notevoli ricavi, ed incongruenza nel ricarico, rilevanti ai fini dell’accertamento presuntivo basato su studi di settore, D.L. n. 331 del 1993, ex art. 62 sexies – oltre a considerevoli investimenti, incoerenti con l’attività, data la complessiva antieconomicità e conseguente inattendibilità della dichiarazione dei redditi.

La CTP accoglieva il ricorso, ritenendo l’accertamento tributario fondato su presunzioni prive di adeguato riscontro negli atti.

La CTR respingeva l’appello interposto dall’Ufficio, ritenendo dalla società “documentato e dimostrato attraverso scritture contabili una sufficiente documentazione ed argomentazioni con le quali aveva moltiplicato le ragioni del limitato risultato economico dovuto alla strategia aziendale che aveva anteposto l’obiettivo di un immediato programma di espansione e di investimenti in strutture in locazione in diverse località, ed un elevato acquisto di merci per fornire i vari punti vendita che gradualmente venivano aperti, e ciò non avrebbe consentito annualmente adeguati ricavi”. A fronte di ciò l’Ufficio non avrebbe evidenziato “punti specifici di incoerenza ed errori contabili”.

L’intimata si costituisce con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Col primo motivo del ricorso l’Agenzia delle entrate deduce insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso (ex art. 360 c.p.c., n. 5), costituito dalla produzione di ricavi non contabilizzati da parte della società, desunti presuntivamente dal costante e progressivo sviluppo della sua attività commerciale senza corrispondenza con la produzione effettiva di reddito, con conseguenti dubbi di evasione fiscale – dalla stessa CTR paventati e poi fugati in base alla documentazione prodotta dalla contribuente – di cui non è stato precisato il contenuto nè l’idoneità a superare la presunzione di evasione.

2. Il motivo va respinto.

La CTR ha congruamente motivato sulla apparente antieconomicità del comportamento della società, derivante dalla strategia aziendale di espansione dei punti vendita in diverse località, richiedente investimenti in vista di futuri guadagni.

A fronte di tale ricostruzione del comportamento economico della società, l’Ufficio si è limitato ad opporre illazioni e congetture, senza una critica adeguata del vizio logico della motivazione sull’apprezzamento di fatto compiuto dalla CTR.

3. Col secondo motivo si deduce violazione di legge, in ordine al riparto dell’onere della prova (artt. 2697 e 2729 c.c.), e alla rilevanza delle presunzioni riscontrate dall’Ufficio nel comportamento della società (incongruenza fra accrescimento aziendale e mancata produzione di utili), idonea a giustificare la rettifica della dichiarazione (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) e D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies).

4. Col terzo motivo si deduce violazione di legge (artt. 2709 e 2797 c.c.), per avere la CTR basato la propria decisione su non meglio precisati documenti contabili d’azienda, non idonei allo scopo, in quanto destinati esclusivamente a far prova contro l’imprenditore che li ha formati.

Anche questi motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Per una più chiara comprensione degli indicati motivi occorre rammentare che il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito nella L. n. 427 del 1993, prevede, al comma 3, che “Gli accertamenti di cui del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) e successive modificazioni, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del presente Decreto”. A fronte della presunzione dell’Ufficio incombe sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni.

Nel caso di specie la CTR ha esaminato la documentazione fornita dalla società e le scritture contabili (costituenti pertanto elementi determinati e non imprecisati, come ritenuto dall’Ufficio), che pur non avendo valore di prova legale a favore dell’imprenditore che le ha redatte sono soggette, come ogni altra prova, al libero apprezzamento del giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 1, la cui valutazione, se congruamente motivata, come nella fattispecie, è insindacabile in sede di legittimità. Compete infatti al giudice di merito stabilire, nei singoli casi, se e in quale misura le indicate scritture siano attendibili ed idonee a dimostrare la fondatezza della pretesa – o della eccezione – della parte che le ha prodotte, spettando sempre la loro valutazione al suo libero apprezzamento (v. Cass. n. 26216/2011; n. 3188/2003).

La motivazione della CTR, che ha ritenuto che le incongruenze riscontrate fra redditi e ricavi – da cui la presunzione posta a base dell’accertamento – rispondeva a esigenze di strategia aziendale, è idonea a sorreggere le conclusioni in fatto raggiunte.

A fronte di ciò l’Ufficio si è limitato a prospettare una diversa spiegazione dei fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, che non appare tuttavia come l’unica possibile. Costituisce sul punto principio consolidato, dal Collegio confermato, quello secondo cui, ove nel ricorso per cassazione venga prospettato un vizio di motivazione della sentenza, il ricorrente, il quale denunzi l’insufficiente spiegazione logica relativa all’apprezzamento dei fatti della controversia o delle prove, non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa pur se essa sia supportata dalla probabilità di corrispondenza alla realtà fattuale – essendo invece necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (fra le tante, Cass. n. 25927 del 2015; Cass. n. 261 del 2009).

5. Il ricorso va pertanto rigettato, con condanna alle spese della ricorrente.

Agenzia delle Entrate, per il principio di soccombenza, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese liquidate in Euro 4.000,00, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016

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