Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23793 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. II, 28/10/2020, (ud. 18/03/2020, dep. 28/10/2020), n.23793

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21441/2019 R.G. proposto da:

K.L., rappresentato e difeso dall’avv. Cosimo Pio De

Benedetto, domiciliato in Eboli, Viale Amendola n. 68;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma,

Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 1987/2018,

depositata in data 27.12.2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.3.2020 dal

Consigliere Fortunato Giuseppe.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

K.L. ha chiesto il riconoscimento della protezione internazionale, esponendo di esser figlio di padre mussulmano e di madre cristiana, convertitasi all’Islam dopo il matrimonio; di aver vissuto con la famiglia di origine e con le mogli e gli altri figli del padre; che, dopo la morte di quest’ultimo, era stato costretto dai altri fratelli a lasciare la scuola per lavorare in un impianto di allevamento di bestiame; di aver conosciuto un prete cristiano e di essersi convertito al cristianesimo, fino a trasferirsi presso l’abitazione del prete unitamente alla madre, diseredata dalla famiglia di origine per ragioni religiose; di aver subito, per tali motivi, violenze e torture e di essersi rifugiato in Libia ove, pur lavorando, era stato vittima di un’aggressione; di esser perciò giunto in Italia con l’aiuto di un trafficante.

Il Tribunale – con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. del 18.6.2018 – ha confermato il provvedimento di rigetto della domanda, adottato dalla Commissione territoriale.

L’ordinanza è stata successivamente confermata in appello.

Il Giudice distrettuale ha ritenuto scarsamente credibile il racconto del richiedente asilo, osservando che questi, nel narrare una vicenda prettamente personale e familiare di contrasti con i fratelli, aveva prima ricondotto tali dissidi alla sua conversione al cristianesimo e poi, sia dinanzi alla Commissione, che dinanzi al tribunale, aveva ammesso di non aver alcun interesse per la religione cristiana e che il suo problema consisteva in una contesa in cui aveva preso le parti della madre, entrando in contrasto con i fratelli.

Ha comunque rilevato che da fonti attendibili risultava che in Gambia,, la percentuale del 4% era di religione cristiana, che vi erano chiese e comunità di anglicani, metodisti, luterani pentecostali ed evangeliche, che i rapporti tra mussulmani e cristiani erano pacifici, che erano possibili matrimoni interreligiosi, che non era infrequente che in una stessa famiglia vi fossero appartenenti a religioni diverse, che non si riscontravano denunce di conversione forzata.

Ha ritenuto insussistenti i presupposti della concessione dello status di rifugiato, attesa l’insussistenza di un pericolo di persecuzione religiosa da parte di organismi statuali o da parte di soggetti rispetto ai quali lo Stato non fosse in condizione di fornire protezione, nonchè l’impossibilità di riconoscere la protezione sussidiaria, osservando che, dalle fonti maggiormente accreditate, risultava che dal 2016 era cessato il regime dittatoriale di (OMISSIS) e al suo posto era stato eletto il candidato dell’opposizione; che la crisi originata dalle contestazioni del voto da parte dello sconfitto era stata superata anche per l’opera di mediazione internazionale e per l’intervento di truppe dell’Ecowas; che il nuovo Presidente aveva avviato un’opera di pacificazione e di riconoscimento dei diritti fondamentali.

Ha perciò escluso una situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armato interno o internazionale da cui potesse farsi derivare una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente, come pure l’incapacità delle forze di sicurezza interne di contrastare eventuali minacce della criminalità comune.

Secondo il giudice distrettuale non poteva accogliersi neppure la richiesta di protezione umanitaria, poichè nulla era stato dedotto in merito a specifiche condizioni soggettive di vulnerabilità o agli altri presupposti giustificativi, precisando che il ricorrente era stato arrestato per spaccio di stupefacenti, il che non lo rendeva meritevole di protezione.

La cassazione della sentenza è chiesta da K.L. con ricorso in tre motivi.

Il Ministero dell’interno ha proposto controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 8, 11 e 14, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza escluso che il ricorrente fosse esposto al rischio di persecuzione religiosa, pur non essendo necessario che egli avesse effettivamente aderito alla confessione religiosa e fosse a conoscenza dei precetti cristiani, essendo sufficiente che l’appartenenza al credo religioso gli fosse attribuita dall’autore delle persecuzioni.

Il secondo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte di merito respinto la domanda di protezione internazionale in base alla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, senza procedere all’audizione personale e senza aver compiuto alcun approfondimento per verificare l’effettiva credibilità delle dichiarazioni, non considerando che la confusione cronologica di quanto dichiarato era dovuta ad una diversa concezione del tempo. Si assume inoltre, riguardo al contenuto del racconto dell’interessato, che l’aver sostenuto di essersi recato in chiesa solo di notte era ascrivibile al fatto che il ricorrente era stato accolto da un prete, mentre l’aver dichiarato di essersi convertito al cristianesimo durante il ramadan non poteva considerarsi in contraddizione con l’adesione al culto cattolico.

1.1. I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di merito non si è arrestata al giudizio di intrinseca inattendibilità del racconto del richiedente, ma, oltre ad effettuare un doveroso riscontro sulla logicità e plausibilità dei fatti dedotti, ha approfondito la situazione del paese di provenienza in relazione ai rischi di persecuzione derivanti, secondo la prospettazione di parte, da fattori religiosi, rilevando che, non solo il ricorrente non era a conoscenza deit basilari concetti del cristianesimo, ma che, in base a fonti qualificate di sicura attendibilità, non sussisteva un rischio di persecuzione, precisando come in Gambia fosse presente una percentuale consistente di comunità cristiane, come fossero tutt’altro che rare famiglie con componenti di religione diversa e come non si registrassero fenomeni di intolleranza o episodi di conversione forzosa.

Nel doveroso sforzo di cooperazione istruttoria la Corte ha poi valorizzato le informazioni desunte da siti internazionali, escludendo motivatamente l’esistenza di rischio di conflitti interni a seguito della cessazione del regime dittatoriale, dello svolgimento delle elezioni e dell’investitura del nuovo presidente, dando atto di un processo di pacificamente, pur se non ancora definitivamente giunto a compimento.

La ritenuta inattendibilità del discorso del richiedente riguardo alla reale appartenenza alla religione cristiana e – comunque – la riscontrata insussistenza di rischi connessi alla confessione religiosa, oltre che l’accertamento che il paese di origine non conosceva fenomeni di violenza indiscriminata o altri rischi per l’incolumità, sostanziano accertamenti di merito correttamente motivati, restando escluso, per quanto detto, che il giudice abbia disatteso l’obbligo di cooperazione istruttoria.

Quanto alla mancata audizione del ricorrente, la doglianza difetta di specificità, non chiarendo se l’interessato ne abbia fatto richiesta al tribunale, se l’eventuale diniego, tempestivamente contestato, sia stato dedotto a motivo di appello avverso la sentenza di primo grado o se l’audizione sia stata vanamente sollecitata dinanzi alla Corte distrettuale, essendo comunque escluso un vizio di nullità della sentenza, atteso che l’audizione non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice, anche d’appello, di valutarne la specifica rilevanza e di provvedere in conformità (cfr. Cass. 8931/2020; Cass. 3003/2018; Cass. 24544/2011).

2. Il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 2008, art. 5, comma 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza contraddittoriamente ritenuto che le ipotesi in cui è ammissibile la protezione sussidiaria non siano tipizzate, salvo poi a circoscrivere i casi in cui il beneficio può essere concesso, e per aver omesso di considerare la condizione di vulnerabilità del richiedente, allontanatosi dal paese di origine ancora minorenne ed ormai lontano dal Gambia da circa sei anni, con oggettive difficoltà di reinserimento e con il pericolo di essere sottoposto a ritorsioni per motivi di carattere religioso.

Il motivo è infondato.

La dedotta violazione di legge è del tutto insussistente, poichè la Corte di merito ha espressamente affermato che la protezione umanitaria riguarda situazioni non tassative e, coerentemente con tale premessa, ha negato il beneficio non per l’impossibilità di ricondurre il caso concreto ad ipotesi tipizzate, ma per la mancata allegazione di specifiche situazioni soggettive di vulnerabilità (oltre che all’esito della verifica della situazione del paese di provenienza: cfr.: sentenza, pag. 9).

Va al riguardo ribadito che, in materia di protezione internazionale, l’attenuazione del principio dispositivo si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solamente se sia stato adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine si registrino fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda.

Le condizioni di vulnerabilità soggettiva che possono fondare il diritto alla protezione umanitaria devono inscriversi in un contesto di diffusa e grave violazione dei diritti umani. In tale verifica è essenziale l’accertamento della l’esistenza e l’entità della lesione dei diritti contenuti nell’art. 8 CEDU, in relazione alla situazione oggettiva del paese di origine del richiedente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza.

In mancanza di tali condizioni, della cui insussistenza la Corte di appello, con giudizio in fatto ha dato atto, per quanto succintamente, con motivazione esente da vizi (cfr. sentenza pag. 9), la domanda è di per sè insuscettibile di accoglimento, non dovendo procedersi ad alcuna comparazione con il grado di inserimento in Italia, inserimento che peraltro il Tribunale ha escluso, evidenziando che il richiedente asilo era stato arrestato per spaccio di stupefacenti ed era stato destinatario dell’avviso orale del Questore.

Il ricorso è respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 2100,00 per compenso, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

 

 

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