Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23792 del 11/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/10/2017, (ud. 21/09/2017, dep.11/10/2017),  n. 23792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5705/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma alla via dei

Portoghesi n. 12 è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Danone s.a. e Societè Generale s.a., rappresentate e difese dagli

Avv.ti Augusto Fantozzi e Francesco Giuliani, elettivamente

domiciliate presso il loro studio in Roma alla via Sicilia n. 66,

per distinte procure in calce ai rispettivi controricorsi;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo n. 375,12 depositata il 5 luglio 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 settembre

2017 dal Consigliere Enrico Carbone.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso per quanto di ragione.

Uditi gli Avv.ti Eugenio De Bonis per la ricorrente e Francesco

Giuliani per le controricorrenti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con istanza del 28 aprile 2003, la società di diritto francese Groupe Danone s.a. (oggi Danone s.a.) chiedeva al Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle entrate ai sensi dell’art. 10 della Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni il pagamento dell’importo di Euro 78.029.371,21 per credito d’imposta sui dividendi distribuiti in data 16 dicembre 2002 dalla controllata italiana Roncevaux s.p.a..

Danone s.a. e Societè Generale s.a., quest’ultima cessionaria del credito d’imposta, impugnavano il silenzio-rifiuto e l’atto di diniego ad esso seguito: rigettata in primo grado, l’impugnazione era accolta in appello.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, notificando l’atto alla sola Danone e chiedendo di poter integrare il contraddittorio nei confronti di Societè Generale, pretermessa per errore materiale.

Le società resistono mediante distinti controricorsi.

L’Agenzia ha depositato memoria illustrativa, come pure le controricorrenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Avendo partecipato ai gradi di merito, Societè Generale s.a. è litisconsorte processuale, sicchè la sua posizione non può essere scissa da quella di Danone s.a.; pertanto, l’omessa tempestiva notifica non determina l’inammissibilità del ricorso nei confronti di Societè Generale, come invece questa sostiene.

Anche in materia tributaria, il litisconsorzio processuale comporta l’inscindibilità delle cause pur dove non sussisterebbe litisconsorzio necessario sostanziale, sicchè l’omessa impugnazione nei confronti di tutte le parti non determina l’inammissibilità del mezzo, bensì la necessità di integrare il contraddittorio verso la parte pretermessa (Cass. 27 maggio 2015, n. 10934).

D’altronde, Societè Generale ha notificato un proprio controricorso, provvedendo sua sponte a integrare il contraddittorio fra tutti i litisconsorti processuali.

Nelle memorie illustrative, Danone e Societè Generale insistono sull’autonomia sostanziale delle rispettive posizioni, ma la necessità del litisconsorzio deriva qui da ragioni processuali, cioè dall’avere le società impugnato congiuntamente le determinazioni dell’amministrazione, in tal modo unificando i loro percorsi giudiziali.

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia vizio logico, il terzo violazione dell’art. 5 direttiva n. 90/435/CEE, D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 27 e 27-bis, art. 10, p. 4, lett. b, Convenzione Italia-Francia 5 ottobre 1989, il quarto ancora violazione dell’art. 10, p. 4, lett. b.

Anteposti per il loro carattere assorbente, i motivi vanno trattati insieme per connessione logica, tutti riguardando l’interazione tra regime convenzionale italo-francese dei c.d. dividendi in uscita e regime comunitario della c.d. direttiva madre-figlia.

2.1. L’art. 10, p. 4, lett. b, Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni ratificata con L. n. 20 del 1992 attribuisce alla società madre francese ricevente dalla controllata italiana dividendi che darebbero diritto a credito d’imposta se ricevuti da residente italiano il diritto al pagamento da parte del Tesoro italiano di un ammontare pari alla metà di detto credito d’imposta, diminuito di una ritenuta alla fonte del 5%.

L’art. 4 direttiva 90/435/CEE sul regime fiscale comune delle società madri e figlie (vigente ratione temporis) dispone che lo Stato della società madre si astiene dal tassare gli utili distribuiti dalla figlia o li tassa autorizzando la madre a dedurre l’imposta pagata dalla figlia; l’art. 5 dispone che tali utili sono esenti da ritenuta alla fonte.

Attuando la direttiva 90/435/CEE, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27-bis (testo ratione temporis) conferisce alla società madre percettrice il diritto all’esonero o al rimborso della ritenuta.

2.2. Nella specie, la società madre francese reclama il credito d’imposta di fonte convenzionale nonostante goda di una sostanziale esenzione di fonte comunitaria, giacchè essa assume che il beneficio convenzionale non presuppone l’effettiva tassazione dei dividendi in entrata, l’art. 10 Convenzione Italia-Francia richiedendo solo che la società madre sia “assoggettabile” ad imposta, mentre l’effettivo assoggettamento a tassazione sarebbe richiesto unicamente quando la società percettrice ha una partecipazione non qualificata (pag. 5562 controricorso Danone).

La sentenza d’appello ha evidentemente coltivato questa tesi, pur munendola di un apparato logico-argomentativo molto meno preciso.

Essa non resiste alle denunce compendiate nei motivi secondo, terzo e quarto di ricorso, ciò alla luce dei seguenti rilievi.

2.3. Il fatto che la disciplina comunitaria non abbia determinato il superamento di quella convenzionale e anzi ne abbia lasciata impregiudicata l’applicazione (art. 7 direttiva madre-figlia) non significa che i rispettivi benefici siano cumulabili, essi operando viceversa su un piano di “alternatività”, giacchè la sommatoria della detassazione e del credito eccede la finalità di evitare la doppia imposizione, generando semmai una fattispecie di c.d. doppia non-imposizione (per la Convenzione italo-francese, Cass. 28 dicembre 2016, n. 27111; analogamente per la Convenzione italo-britannica, Cass. 12 marzo 2009, n. 5943).

2.4. La doppia non-imposizione si risolve in un’agevolazione fiscale (c.d. credito d’imposta figurativo).

In tal senso, a fini di promozione dello sviluppo economico, gli accordi bilaterali con paesi emergenti ospitano sovente una clausola di detassazione (tax sparing clause); all’opposto, la Convenzione italo-francese vieta la doppia esenzione bilaterale (art. 15 Protocollo), mercè una tipica clausola di assoggettamento (subject to tax clause).

Il percettore francese di dividendi esenti che ottenesse anche l’avoir fiscal sommerebbe due benefici tributari, e la circostanza che uno di questi (il credito d’imposta) subisce un abbattimento marginale (ritenuta alla fonte del 5%) riduce l’effetto distorsivo della doppia non-imposizione, senza tuttavia eliderlo.

Nelle memorie illustrative, Danone e Societè Generale insistono sulla dimensione astratta e formale del requisito dell'”assoggettabilità” ad imposta, e tuttavia l’elaborazione giurisprudenziale sulla doppia imposizione dei dividendi transfrontalieri qualifica l’assoggettamento fiscale in termini concreti ed effettivi, come ancora recentemente evidenziato da questa Corte (Cass. 24 febbraio 2017, n. 4771).

2.5. Nel coordinare regime di direttiva e regime di convenzione, la giurisprudenza unionale ha precisato che il credito d’imposta “è uno strumento fiscale diretto ad evitare, in termini economici, una doppia imposizione degli utili distribuiti sotto forma di dividendi: una prima volta a carico della società controllata e una seconda volta a carico della società capogruppo beneficiaria dei dividendi” (Corte giust. 25 settembre 2003, C-58/01, Ocè van der Grinten, p. 56).

La Corte del Lussemburgo ha altresì osservato che quando la società madre beneficia nel proprio Stato di una detassazione dei dividendi “il rischio di doppia imposizione (…) degli utili che le sono stati distribuiti dalla sua società figlia è escluso” (Corte giust. 8 marzo 2017, C-448/15, Wereldhave, p. 40).

Nella specie, poichè la società madre francese gode di una sostanziale esenzione dei dividendi in entrata, il credito d’imposta eccederebbe la ratio di neutralizzazione della doppia imposizione, questa intesa – secondo una classica distinzione – come doppia imposizione c.d. giuridica (due prelievi su stesso soggetto) e doppia imposizione c.d. economica (stesso prelievo su due soggetti).

La clartè assicurata dalla giurisprudenza Europea in merito alla necessità dell’effettiva doppia imposizione quale presupposto applicativo dei regimi di contrasto evidenzia l’inutilità del rinvio pregiudiziale interpretativo sollecitato dalle controricorrenti a norma dell’art. 267 TFUE.

2.6. Vale il seguente principio: “la società madre francese che riceve dalla società figlia italiana dividendi esenti da tassazione per effetto dell’attuazione in Francia della direttiva 90/435/CEE non ha diritto al credito d’imposta previsto dall’art. 10, p. 4, lett. b, Convenzione Italia-Francia 5 ottobre 1989, ratificata con L. n. 20 del 1992, in quanto l’esenzione di fonte comunitaria esclude la doppia imposizione che il credito di fonte pattizia è diretto a neutralizzare”.

3. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43-bis, art. 1260 cod. civ., per aver il giudice d’appello ritenuto valida la cessione del credito d’imposta da Danone a Societè Generale.

3.1. Il primo motivo è assorbito, poichè la riconosciuta insussistenza del diritto di credito toglie ogni interesse alla questione – logicamente successiva – della validità del negozio di cessione, questione che ormai si esaurisce sul piano dei rapporti interni tra cedente e cessionario.

4. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 107 TFUE, per non aver il giudice d’appello rilevato che l’erogazione del credito d’imposta a fronte di una doppia imposizione in realtà inesistente costituisce aiuto di Stato.

4.1. Il quinto motivo è assorbito, poichè la riconosciuta insussistenza del diritto di credito toglie ogni interesse alla questione – logicamente successiva – della compatibilità di tale beneficio con la concorrenza di mercato interno.

5. Il ricorso deve essere accolto nei motivi secondo, terzo e quarto, assorbiti gli altri; la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa decisa nel merito col rigetto dell’impugnazione del silenzio-rifiuto e dell’atto di diniego, non essendo necessarie indagini di fatto; le spese dei gradi di merito sono compensate in ragione dell’esito alterno, quelle del giudizio di legittimità regolate per soccombenza.

PQM

 

Accoglie il ricorso nei motivi secondo, terzo e quarto, assorbiti gli altri; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e – decidendo nel merito – rigetta l’impugnazione del silenzio-rifiuto e dell’atto di diniego; compensa le spese dei gradi di merito e condanna in solido le controricorrenti a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 42.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2017

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