Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23792 del 02/09/2021

Cassazione civile sez. I, 02/09/2021, (ud. 12/05/2021, dep. 02/09/2021), n.23792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5032/2020 proposto da:

V.G., B.P., F.F., P.G.,

domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato

Morrone Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.M., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi

dagli avvocati Izzo Francesco, Sciumbata Luigi, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

A.G., Fr.An., G.V., Procuratore

Generale Corte Appello Catanzaro, R.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 101/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

pubblicata il 27/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/05/2021 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA;

lette le conclusioni scritte, D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma

8-bis convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020, del

P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO

ALBERTO, che chiede il rigetto del ricorso. In subordine, la

rimessione alle Sezioni Unite, con riferimento al motivo di ricorso

1).

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 27.01.2020, in riforma dell’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Catanzaro in data 30 aprile 2018, ha dichiarato che non sussistono i presupposti per pronunciare l’incompatibilità e la decadenza di C.M. dalla carica di Sindaco del Comune di (OMISSIS), dichiarando, altresì, il diritto dello stesso a ricoprire la carica elettiva.

La Corte calabrese, pur dando atto che la causa di incompatibilità, relativa alla pendenza di una lite con il predetto Comune – avente ad oggetto la restituzione delle somme indebitamente percepite dall’odierno controricorrente a titolo di indennità di funzione – fosse esistente al momento dell’elezione, tuttavia, la stessa incompatibilità era stata eliminata ancor prima di qualsiasi contestazione formale, attraverso il pagamento di una somma di danaro all’esito dell’approvazione da parte della giunta comunale di (OMISSIS), con Delib. 22 giugno 2017, n. 2 della proposta transattiva avanzata del C., cui aveva fatto seguito la formale stipula della transazione e successivamente l’estinzione del giudizio pendente innanzi al Tribunale di Catanzaro per cessazione della materia del contendere.

La Corte catanzarese ha ritenuto la validità della transazione approvata dalla Giunta comunale, non ritenendo rilevante che, a causa del dissesto del Comune di (OMISSIS), fosse stata nominata, con D.P.R. 19 agosto 2016, la Commissione Straordinaria di Liquidazione, avente competenza relativamente ai “fatti di gestione” verificatisi entro il 31.12.2015: a quella data il credito del Comune era ancora oggetto di accertamento dinanzi all’Autorità Giudiziaria, né era stata prodotta dai ricorrenti alcuna documentazione attestante che il predetto rapporto obbligatorio fosse stato eventualmente riportato nel bilancio portato all’attenzione del Ministero dell’Interno D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 261 o in altro bilancio precedente.

Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione V.G., B.P., F.F. e P.G. affidandolo a quattro motivi.

C.M. si è costituito in giudizio con controricorso.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha depositato requisitoria scritta.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, artt. 16 bis e 16 sexies.

Lamentano i ricorrenti che con l’iscrizione telematica del ricorso del primo grado, in data 6 agosto 2017, avevano depositato la nota di iscrizione a ruolo in cui era specificato, oltre al domicilio in (OMISSIS), anche il domicilio telematico (OMISSIS).

Orbene, l’appello era stato notificato presso il domicilio eletto in primo grado e non al domicilio digitale previsto dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179.

2. Il motivo è infondato.

Va osservato che il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-sexies convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, rubricato “Domicilio digitale”, introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 52, comma 1 convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, dispone che “Salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.

Il dato testuale (quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario…) attesta in modo chiaro ed inequivoco che la disposizione richiamata, nell’ambito della giurisdizione civile, fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c. per il giudizio di cassazione, ha depotenziato la domiciliazione ex lege presso la Cancelleria dell’ufficio giudiziario, la quale oggi è prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario (Cass. n. 14140 del 2019, n. 14914 del 2018, Cass. 17048/2017).

Deve, però, escludersi che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati (Cass. 1982/2020, Cass. 2942/2019, Cass. 22892/2015). Non vi e’, infatti, norma che escluda la validità della notificazione tradizionale presso il domicilio eletto e che sancisca la validità della sola notificazione a mezzo p.e.c.

Ne consegue che, ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, anche dopo l’introduzione del “domicilio digitale”, nei termini sopra illustrati, resta pienamente valida la notificazione effettuata presso il domicilio eventualmente eletto ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 (vedi anche Cass. n. 3557/2021).

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del T.U. n. 267 del 2000, art. 63, comma 1, n. 6.

Lamentano i ricorrenti che, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, il credito vantato dal Comune di (OMISSIS) nei confronti del C. era liquido ed esigibile, non occorrendo, a tal fine, un accertamento giudiziale, atteso che tale credito era certo sia nell’an che nel quantum in virtù di una sentenza passata in giudicato.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione per falsa applicazione del TU n. 267 del 2000, art. 63, comma 1, nn. 4 e 6, art. 69 e art. 254.

Contestano i ricorrenti che il C. avesse rimosso la causa di incompatibilità per l’esercizio della funzione di sindaco, atteso che la delibera con cui la giunta comunale, nominata dallo stesso controricorrente, aveva approvato la proposta transattiva formulata da quest’ultimo era illegittima, e come tale da disapplicare.

Il C. era, infatti, più che incompatibile, ineleggibile, e prima della rimozione della causa di ineleggibilità non poteva compiere alcun atto e non avrebbe quindi potuto nominare una Giunta “di scopo”, ovvero avente come unico fine quello di consentirgli di rimuovere la causa ostativa alla funzione di Sindaco e con il minor sacrificio economico possibile.

In ogni caso, evidenziano i ricorrenti che la competenza per la transazione delle vertenze afferenti fatti di gestione verificatisi fino al 31 dicembre 2015 apparteneva alla Commissione per la gestione del dissesto.

5. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 1965 e 2959 c.c. sul rilievo che la deliberazione della Giunta comunale si fondava su fatti contrastanti con accertamenti coperti da giudicato, essendo divenuta irrevocabile la sentenza che aveva accertato l’indebita percezione da parte del C. della somma di Euro 59.010,11, questione che era già stata proposta in primo grado e no esaminata dal primo giudice, poi riproposta in appello ex art. 346 c.p.c. su cui l’impugnata sentenza aveva taciuto completamente.

6. Il secondo ed il quarto motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili per difetto di autosufficienza e specificità.

Posto che nel provvedimento impugnato non vi è traccia della questione relativa alla sentenza passata in giudicato che avrebbe accertato in modo irrevocabile il debito del C., è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha adempiuto a tale onere di allegazione, non avendo neppure indicato il dove, il come e il quando questa questione processuale sarebbe stata sottoposta all’esame dei giudici di merito, limitandosi a dedurre genericamente di averla proposta in primo grado e riproposta in appello.

Peraltro, non sono stati neppure precisati gli estremi della sentenza asseritamente passata in giudicato che avrebbe accertato in modo irrevocabile il debito dovuto dal C. a titolo di indebita indennità di funzione ricevuta, con conseguente manifesta genericità delle censure svolte.

7. Il terzo motivo è infondato, pur se deve correggersi la motivazione, a norma dell’art. 384 c.p.c., u.c..

Va preliminarmente osservato che la sentenza impugnata, nel porsi la questione concernente la validità e l’efficacia del negozio transattivo stipulato tra il sindaco C. e il Comune di (OMISSIS), ai fini della iscrimozione della causa di incompatibilità pendente (esistenza di una lite innanzi ad un giudice civile, a norma del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 63, comma 1, n. 4), nell’occuparsi del profilo dell’attribuzione della competenza a deliberare la stipula della transazione (se in capo alla Giunta Comunale o alla Commissione Straordinaria di Liquidazione), ha effettuato la seguente premessa: la dichiarazione di dissesto di un Comune produce l’effetto di separare la gestione ordinaria, di competenza degli organi ordinari dell’Ente, ed in special modo del Consiglio Comunale, cui spetta il compito di riequilibrare il bilancio con una serie di manovre correttive, dalla gestione straordinaria, di competenza dell’organo di liquidazione, cui spetta la tacitazione delle pretese creditorie e la risoluzione di eventuali pendenze pregresse, e le cui competenze risultano riferite a fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente quello in cui è stato dichiarato il dissesto.

Con riferimento al caso sottoposto al suo esame, la Corte d’Appello ha evidenziato che la Commissione straordinaria di Liquidazione del Comune di (OMISSIS) era stata nominata a seguito di dissesto deliberato nel 2015, con D.P.R. 19 agosto 2006, con la conseguenza che, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 252, comma 4 tale Commissione aveva competenza relativamente ai “fatti di gestione” verificatisi fino al 31.12.2015.

Tutto ciò premesso, ad avviso della Corte d’Appello, nessuna irregolarità era stata compiuta in merito all’approvazione della proposta transattiva formulata dal sindaco C., atteso che la competenza a deliberare su tale proposta non poteva che appartenere alla Giunta Comunale. Ciò sul rilievo che, alla data del 31.12.2015, il credito vantato dal Comune nei confronti del C. era ancora oggetto di accertamento dinnanzi all’Autorità Giudiziaria, per azione proposta dall’Ente Pubblico, né le parti ricorrenti avevano prodotto alcuna documentazione attestante che il predetto rapporto obbligatorio fosse stato eventualmente riportato nel bilancio portato all’attenzione del Ministero dell’Interno D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 261 o in altro bilancio precedente.

Questo Collegio, pur condividendo la statuizione della Corte d’Appello in ordine all’individuazione nella Giunta Comunale dell’organo competente ad autorizzare la proposta transattiva formulata dal Sindaco, ritiene, tuttavia, che tale statuizione debba basarsi su un diverso percorso argomentativo.

In primo luogo, degli elementi di fatto indicati dalla Corte d’Appello per giustificare la competenza della Giunta Comunale (ovvero che, alla data del 31.12.2015, il credito vantato dal Comune di (OMISSIS) nei confronti del C. era ancora oggetto di accertamento dinanzi alla Autorità Giudiziaria per azione proposta dall’Ente pubblico, nonché che i ricorrenti non avevano prodotto alcuna documentazione attestante che il rapporto obbligatorio tra l’Ente ed il C. fosse stato eventualmente riportato nel bilancio portato all’attenzione del Ministero dell’Interno D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 261 o in altro bilancio precedente) solo il primo è conferente.

L’art. 261 TUEL fa riferimento, invece, ad una fattispecie del tutto diversa, in alcun modo riconducibile alla gestione di un credito pregresso oggetto di contestazione (quale quello di specie) e, segnatamente, alla competenza della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali per l’istruttoria dell’ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato formulata dal Consiglio Comunale, a norma dell’art. 259, comma 2, e sfociante nell’attivazione di entrate proprie e nella riduzione delle spese correnti. La pratica, dopo il parere di tale Commissione, è portata all’esame del Ministero dell’Interno.

Quanto al rilievo che il credito rivendicato dal Comune di (OMISSIS) nei confronti del C. era ancora oggetto di accertamento presso l’Autorità Giudiziaria, se, da un lato, trattasi di elemento utile per ritenere che non si trattava di un rapporto obbligatorio di pronta liquidazione, dall’altro, non consente da solo di arrivare alla conclusione che di quel credito dovesse occuparsi proprio la Giunta Comunale, dato che, secondo lo stesso percorso argomentativo della Corte d’Appello sopra riportato, la dichiarazione di dissesto di un Comune produce l’effetto di separare la gestione ordinaria, di competenza degli organi ordinari dell’Ente, ed in special modo del Consiglio Comunale – cui spetta il compito di riequilibrare il bilancio con una serie di manovre correttive – “dalla gestione straordinaria, di competenza dell’organo di liquidazione, cui spetta la tacitazione delle pretese creditorie e la risoluzione di eventuali pendenze pregresse”, e le cui competenze risultano riferite a fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente quello in cui è stato dichiarato il dissesto.

In realtà, se è indubbio che il credito rivendicato dal Comune nei confronti del sindaco C. rientri a pieno titolo tra le pendenze pregresse, dall’altro, per le considerazioni che saranno di seguito svolte, tale rapporto obbligatorio non può essere gestito dalla Commissione Straordinaria di Liquidazione.

Infatti, è pur vero che, a norma del combinato disposto dell’art. 252, comma 4, lett. b) e art. 255, comma 1 TUEL, l’organo straordinario di liquidazione provvede all’acquisizione e gestione dei mezzi finanziari disponibili ai fini del risanamento, e, in tale ambito, provvede all’accertamento della massa attiva, costituita dal contributo dello Stato di cui allo stesso art. 255, “da residui da riscuotere”, etc… da ratei di mutuo disponibili in quanto non utilizzati dall’ente, da altre entrate e, se necessari, da proventi derivanti da alienazione di beni del patrimonio disponibile.

Tuttavia, come può notarsi proprio dalla precedente elencazione, tra le poste attive di cui la Commissione Straordinaria di liquidazione è abilitata ad occuparsi non rientrano i c.d. crediti litigiosi, verosimilmente perché l’imprevedibile, nei tempi, gestione di tali pratiche è incompatibile con la durata relativamente breve dell’attività della Commissione Straordinaria, la quale, entro 24 mesi dal suo insediamento, deve predisporre, a norma dell’art. 256, comma 6, il piano di estinzione delle passività (una sorta di piano di riparto) e lo deve depositare presso il Ministero dell’Interno ai fini dell’approvazione.

Non a caso, l’art. 255, comma 8, nell’indicare in dettaglio le attività che la Commissione può porre in essere, ne individua alcune che possono ritenersi di pronta soluzione o comunque di relativa rapidità nei tempi. In proposito, la norma sopra citata dispone che l’organo straordinario di liquidazione provvede a riscuotere i ruoli pregressi emessi dall’ente e non ancora riscossi, totalmente o parzialmente, nonché all’accertamento delle entrate tributarie per le quali l’ente ha omesso la predisposizione dei ruoli o del titolo di entrata previsto per legge, e, ai sensi del comma 9, ove necessario ai fini del finanziamento della massa passiva, ed in deroga a disposizioni vigenti che attribuiscono specifiche destinazioni ai proventi derivanti da alienazioni di beni, l’organo straordinario di liquidazione procede alla rilevazione dei beni patrimoniali disponibili non indispensabili per i fini dell’ente, avviando, nel contempo, le procedure per l’alienazione di tali beni.

Inoltre, elemento dirimente che induce fondatamente a ritenere che non sia la Commissione Straordinaria di liquidazione l’organo deputato ad occuparsi della gestione dei crediti litigiosi dell’Ente dichiarato insolvente è dato dal rilievo che il D.Lgs. n. 267 del 2000, con riferimento ai rapporti passivi, prevede all’art. 254, comma 3, lett. c), che nel piano di rilevazione della massa passiva sono inclusi i debiti derivanti da transazioni compiute dall’organo straordinario di liquidazione ai sensi del comma 7, norma la quale, a sua volta, prevede che l’organo straordinario di liquidazione è autorizzato a transigere vertenze giudiziali e stragiudiziali relative a debiti rientranti nelle fattispecie di cui al comma 3, inserendo il debito risultante dall’atto di transazione nel piano di rilevazione. Sempre con riferimento ai rapporti passivi, l’art. 258, comma 3 legge cit. stabilisce che l’organo straordinario di liquidazione, effettuata una sommaria delibazione sulla fondatezza del credito vantato, può definire transattivamente le pretese dei relativi creditori, anche periodicamente, offrendo il pagamento di una somma variabile tra il 40 ed il 60 per cento del debito e, a norma del comma 6, i debiti transatti ai sensi del comma 3 sono indicati in un apposito elenco allegato al piano di estinzione della massa passiva.

Orbene, proprio la circostanza che il legislatore abbia disciplinato in modo dettagliato e minuzioso il potere della Commissione Straordinaria di Liquidazione di concludere con i creditori transazioni relativi ai debiti dell’Ente in dissesto, e non abbia, invece, previsto alcunché con riferimento ai rapporti attivi controversi non ancora definiti, denota la volontà dello stesso legislatore di non far rientrare tale competenza tra quelle di pertinenza della Commissione.

Deve, pertanto, ritenersi che organo competente a gestire il contenzioso riguardante i rapporti attivi dell’Ente, pur se originato da fatti anteriori alla dichiarazione di dissesto dello stesso Comune, sia la Giunta Comunale, a norma del D.Lgs. n. 267 del 200, art. 48, comma 2 che prevede che la Giunta compie tutti gli atti rientranti ai sensi dell’art. 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia o degli organi di decentramento (vedi sul punto anche Cass. S.U. n. 8770/2020).

Il rigetto del motivo si impone dunque.

In ragione della novità della questione sottoposta all’esame di questa Corte, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Compensa tra le parti le spese di lite.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

La presente sentenza è sottoscritta dal solo Presidente, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 3, essendo il Consigliere relatore ed estensore impedito a causa della pandemia in atto, come previsto dal Decreto del Primo presidente della Corte del 23 novembre 2020 n. 163.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021

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