Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23791 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. II, 28/10/2020, (ud. 18/03/2020, dep. 28/10/2020), n.23791

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20819/2019 R.G. proposto da:

K.A., rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Centore,

domiciliato in Caserta, Via Gasparri n. 48;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma,

Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Salerno, depositato in data

21.5.2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.3.2020 dal

Consigliere Fortunato Giuseppe.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

K.A. ha chiesto la concessione della protezione internazionale, esponendo di esser nato a (OMISSIS), di essere di religione musulmana, di etnia bengala, di non essere sposato e di non avere figli; di essersi trasferito con la propria famiglia nel villaggio di Mohismari del distretto di Madaripur e di aver lavorato nel settore della coltivazione della terra e dell’allevamento di bestiame; di esser stato costretto a lasciare il paese a seguito di una minaccia di morte rivoltagli dai familiari di una ragazza, tale B.S., con la quale aveva intrattenuto una relazione sentimentale; che, inoltre, la condizione di povertà generalizzata del paese di origine e le frequenti carestie dovute alla siccità lo esponevano al rischio di non disporre, per lunghi periodi, dei mezzi di sussistenza.

La richiesta è stata respinta dalla Commissione territoriale con provvedimento confermato dal tribunale.

Il giudice di merito, dopo aver esaminato diffusamente la disciplina sostanziale e processuale della protezione internazionale, ha – nel merito – osservato che dal racconto dell’interessato non emergeva alcuna ipotesi di persecuzione (nè collettiva, nè individuale) ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, e che – riguardo alla protezione sussidiaria – non sussisteva alcun pericolo di danno grave come definito dalle lett. A-C) dell’art. 14, decreto qualifiche, “non essendo in alcun modo ipotizzabile una condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte e nemmeno un pericolo di tortura o altro trattamento inumano o degradante”, non essendovi neppure fondati motivi per ritenere che, se il ricorrente fosse rientrato nel Paese di origine, avrebbe corso un rischio effettivo di subire un grave danno alla persona.

Ha altresì evidenziato come, in base alle informazioni desunte da fonti internazionali, le criticità dei rapporti tra i contrapposti partiti politici fossero ancora esistenti in Bangladesh, ma che tale situazione non fosse riconducibile alla nozione di conflitto armato interno, essendo comunque “in via di sempre maggiore risoluzione pacifica”. Ha soggiunto che, sebbene la S. a vieti categoricamente i rapporti prematrimoniali, erano tuttavia le donne a subire le conseguenze di tale divieto e che, anche se la situazione stava lentamente cambiando in meglio, esistevano ancora casi di aggressione con acido in danno delle donne, da parte di pretendenti respinti o ancora casi (sempre più rari), in cui il maschio subiva conseguenze per violenza alle donne o in ipotesi di stupro”.

Riguardo alla protezione umanitaria, la pronuncia ha ritenuto insussistente la condizione di vulnerabilità soggettiva del richiedente o motivi di carattere umanitario tali da imporre il rilascio di un permesso di soggiorno, osservando che, oltre alla genericità del racconto dell’interessato, l’unico motivo addotto verteva sulla contrarietà al matrimonio da parte della famiglia della fidanzata, e che i rischi denunciati potevano essere neutralizzati mediante il trasferimento in qualsiasi altra città del Bangladesh.

Ha infine giudicato irrilevante che l’istante avesse avviato un percorso di integrazione in Italia, affermando che “il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale”.

La cassazione del decreto è chiesta da K.A. con ricorso in due motivi.

Il Ministero dell’interno ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver il tribunale omesso di considerare la condizione di vulnerabilità soggettiva del richiedente asilo e di comparare la situazione del paese di origine con il grado di integrazione conseguito in Italia, in relazione alle condizioni di diffusa povertà del paese di provenienza, determinata dalle frequenti catastrofi ambientali e dal clima di insicurezza determinato dai conflitti interni, all’origine della grave privazione delle fonti di sostentamento cui il ricorrente era esposto per luoghi periodi dell’anno, essendo impegnato nella coltivazione della terra e nell’allevamento del bestiame, settori particolarmente colpiti dalle periodiche siccità.

Il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, artt. 2 e 3 Cost., art. 8 CEDU, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il tribunale negato la protezione umanitaria, valorizzando la mancanza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, pur essendo le relative condizioni legittimanti del tutto autonome, e per aver omesso di tener conto delle condizioni di povertà del paese di origine e di compararle con il grado di integrazione acquisito in Italia.

2. I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati nei termini che seguono.

Come si è evidenziato in ricorso, la richiesta di protezione internazionale si fondava non solo sul rischio di possibili reazioni violente dei familiari della persona con cui il ricorrente aveva intrattenuto una relazione sentimentale, ma anche sulla grave condizione di difficoltà economica nel paese di provenienza, caratterizzato da diffusa povertà determinata da periodiche siccità e dalle condizioni di insicurezza interna, tanto da non essere assicurati livelli minimi di sostentamento in relazione alla specifica attività lavorativa svolta dall’interessato.

Il tribunale ha in effetti approfondito – dandone conto, sinteticamente, in motivazione – le condizioni di sicurezza del paese di origine (decreto, pag. 10), ma, ai fini della protezione umanitaria, ha considerato solo i motivi di contrasto con i familiari della persona con cui il ricorrente aveva intrattenuto una relazione sentimentale, (cfr., decreto pag. 11), senza esaminare le ulteriori ragioni poste a fondamento della richiesta di protezione.

Difetta – in sostanza – qualsiasi approfondimento e motivazione in ordine alla valutazione del paese di origine con riferimento alla condizione di povertà generale e personale descritta dal ricorrente, oltre che l’eventuale comparazione con il grado di inserimento acquisito in Italia.

Deve ribadirsi che i “seri motivi” di carattere umanitario, risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (art. 5, comma 6, cit.), che ammettono la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non vengono tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore, cosicchè costituiscono un catalogo aperto (Cass. s.u. 5059/2017; Cass. 26566/2013; Cass. s.u. 19393/2009;).

La condizione di “vulnerabilità” può avere ad oggetto anche la mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza nella qualeriffd sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa.

In tali ipotesi, occorre partire dalla situazione oggettiva del paese di origine del richiedente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, e quindi, all’interno di tale indagine comparativa, deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l’effettività dell’inserimento sociale e lavorativo in Italia (Cass. 4455/2018; Cass. s.u. 24549/2019).

Sono quindi accolti entrambi i motivi di ricorso.

Il decreto impugnato è cassato in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa al tribunale di Salerno, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie entrambi i motivi di ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Salerno, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

 

 

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