Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23790 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. II, 28/10/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 28/10/2020), n.23790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20680/2019 R.G. proposto da:

M.D., rappresentato e difeso dall’avv. Luciano

Santoianni, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cornelia Dei

Gracchi n. 126, presso l’avv. Roberto Raglione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma,

Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Salerno, depositato in data

21.5.2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.3.2020 dal

Consigliere FORTUNATO Giuseppe.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.D. ha chiesto la concessione della protezione internazionale, esponendo di provenire dal Casamance, dove era dedito alla coltivazione dei campi; che, per ripulire i terreni dalle sterpaglie aveva appiccato un incendio, estesosi alle proprietà circostanti; che, a causa dell’accaduto, aveva subito aggressioni e minacce di morte dai vicini; di aver abbandonato il paese di origine nel timore di essere ucciso.

La richiesta è stata respinta dalla Commissione territoriale, con provvedimento confermato dal tribunale.

Il giudice di merito, dopo aver esaminato diffusamente la disciplina sostanziale e processuale della protezione internazionale, ha – nel merito – osservato che dal racconto dell’interessato non emergeva alcuna ipotesi di persecuzione (nè collettiva, nè individuale) ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, e che – riguardo alla protezione sussidiaria – non sussisteva nessun pericolo di danno grave come definito dalle lett. A-C) dell’art. 14, decreto qualifiche, “non essendo in alcun modo ipotizzabile una condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte e nemmeno un pericolo di tortura o altro trattamento inumano o degradante” e non essendovi fondati motivi per ritenere che, se il ricorrente fosse rientrato nel Paese di origine, avrebbe corso un rischio effettivo di subire un grave danno alla persona.

Ha inoltre osservato che la situazione della Regione di provenienza non consentiva di ravvisare un conflitto armato interno, ai sensi della giurisprudenza nazionale e comunitaria, non ponendosi problemi di sicurezza in relazione ad episodi di violenza indiscriminata e ripetuta, emergendo, dai reports internazionali, che:

la Regione della Casamance viveva una situazione di relativa stabilità e sicurezza e che il Senegal risultava una delle democrazie più stabili dell’Africa;

dal punto di vista economico il paese di origine si presentava con ottime performances e come uno dei più dinamici del panorama sub-sahariano, anche se il tasso di povertà restava molto elevato;

la lotta al terrorismo appariva sempre più determinata ed efficace;

la politica del nuovo Presidente (in carica da marzo 2012) aveva attenuato le conseguenze devastanti che la guerra civile aveva avuto sulla popolazione e sulle infrastrutture della Regione, e che dal 2014 si erano intensificati gli sforzi volti al dialogo ed alla pacificazione ed era in atto una sorta di tregua fra i movimenti indipendentisti.

Riguardo alla protezione umanitaria, il tribunale ha ritenuto insussistenti motivi di particolare vulnerabilità soggettiva del richiedente o gravi ed oggettivi motivi di carattere umanitario, affermando che i fatti addotti a fondamento della richiesta erano legati a ragioni essenzialmente economiche.

La cassazione del decreto è chiesta da M.D. con ricorso in tre motivi.

Il Ministero dell’interno ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il tribunale omesso di approfondire la storia personale del ricorrente e di considerare i rischi cui questi sarebbe esposto in caso di rimpatrio a causa dei conflitti che riguardano la proprietà terriera, negando immotivatamente la ricorrenza di un pericolo di persecuzione sulla base di un’acritica valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni rese nel corso del procedimento.

Il secondo motivo denuncia, letteralmente, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, assumendo che il tribunale avrebbe dovuto considerare le gravi violazioni dei diritti umani consumate nel territorio del Casamance ed il rischio derivante dalle azioni dei ribelli, confermate da vari precedenti di merito e dalle informazioni provenienti dall’ambasciata italiana in Senegal.

I due motivi, che sono suscettibili di esame congiunto, appaiono inammissibili, in quanto sollecitano un non consentito riesame delle risultanze processuali in merito alla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione internazionale.

Riguardo alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato il tribunale ha invero rilevato che non erano stati neppure allegati fatti di persecuzione per motivi religiosi, politici, etc., mentre riguardo alla protezione sussidiaria, ha approfondito – sulla scorta delle informazioni tratte dai reports Easo aggiornati al 2017 e dal sito “sicurezzainternazionale” della Luiss – la situazione della regione di provenienza del ricorrente, rilevando che il paese, nella sua interezza, aveva avviato una fase di normalizzazione anche sul versante del contenimento dei conflitti indipendentisti, che la Regione della Casamance viveva una situazione di relativa stabilità e sicurezza e che gli sforzi del Presidente eletto nel 2019 erano orientati a arrestare le conseguenze devastanti che la guerra civile aveva avuto sulla popolazione e sulle infrastrutture della Regione. L’accertamento in fatto – svolto dal tribunale – circa l’assenza, nel paese di origine, di uno dei rischi tipizzati dal D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 14, era sufficiente a respingere la domanda, restando irrilevante la condizione personale dell’interessato, che andava necessariamente valutata in relazione al contesto.

Risulta – infine – osservato il dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice.

Giova – in proposito – ricordare che D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, prescrive che ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa.

Tale informazioni rivestono un grado di particolare affidabilità se risultino aggiornate al momento della decisione, poichè il rischio deve essere valutato nell’attualità. Solo nell’ipotesi in cui le fonti istituzionali previste dalla norma risultino insufficienti o di difficile ricezione, è consentito il ricorso a fonti integrative, purchè qualificate ed inerenti all’oggetto della ricerca (Cass. 29056/2019; Cass. 11302/2019).

A tali principi si è attenuto il giudice di merito che, nel respingere la richiesta di protezione sussidiaria, ha utilizzato informazioni provenienti da fonti accreditate, aggiornate alla situazione in essere al momento della pronuncia, mentre il ricorso richiama informazioni dell’ambasciata italiana ferme al 2015, meno recenti di quelle valorizzate dalla pronuncia impugnata.

2. Il terzo motivo denuncia – genericamente – la violazione di

legge con riferimento alla mancata concessione del permesso per ragioni umanitarie, per non aver il tribunale considerato il periodo che il ricorrente aveva trascorso in Libia, trascurando che questi per mere ragioni cronologiche, sarebbe esposto ad un’ingiusta disparità di trattamento rispetto a coloro che abbiano già ottenuto un permesso giustificato dall’emergenza che ava interessato il Nord Africa.

Il motivo è inammissibile.

La questione non risulta trattata nel provvedimento impugnato ed il ricorso non chiarisce se e dove la descritta situazione soggettiva di vulnerabilità, ricollegabile al paese di transito, sia stata prospettata e dibattuta dalle parti.

Detta questione, per la sua novità, non può avere ingresso direttamente in cassazione.

Il ricorso è quindi inammissibile, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 21000,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

 

 

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