Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23777 del 11/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/10/2017, (ud. 19/07/2017, dep.11/10/2017),  n. 23777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13989/2016 proposto da:

LRA DI L.R., R.L. in proprio e quale titolare

della Ditta LRA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO n.21,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANDREA GIUNTI;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A., in persona del curatore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEVERE n.44, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA RECCHIA, rappresentata e difesa dall’avvocato

FRANCESCO NOTARNICOLA;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE, di BARI n. cronol. 2879/2016 del

02/05/2016 emesso sul provvedimento iscritto al n. 4506/2012 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/07/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

R.L. ricorre per cassazione, con quattro motivi, avverso il decreto del tribunale di Bari che ha respinto la sua opposizione allo stato passivo del fallimento di (OMISSIS) s.p.a., in relazione a un credito per prestazioni professionali asseritamente consistite nella redazione di progetti per macchinari;

la curatela resiste con controricorso;

il ricorrente ha depositato una memoria.

Considerato che:

va anteposto l’esame del secondo motivo, col quale è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2704 e 2721 c.c., e art. 157 c.p.c.;

si sostiene che, non essendo prevista la forma scritta ad substantiam per il contratto posto a fondamento della domanda, la prova per testi non era impedita dalla mancanza di documenti aventi data certa; l’inammissibilità della detta prova, non rispondendo a motivi di ordine pubblico, non poteva essere rilevata d’ufficio dal giudice e, una volta ammessa, la prova doveva essere assunta non essendo stata eccepita la nullità dell’atto;

il motivo è in parte privo di specificità e autosufficienza ed è comunque manifestamente infondato;

il tribunale ha motivato la decisione affermando che non era stata fornita la prova della stipulazione del contratto di prestazione d’opera professionale mediante produzione di documenti aventi data certa anteriore al fallimento;

su tale punto della decisione non v’è censura;

il punto controverso attiene al fatto che il tribunale, revocando l’ordinanza di ammissione dei testi, ha altresì affermato che la prova orale era da considerare inammissibile “in base al divieto ex art. 2721 c.c., prontamente eccepito da controparte”, e che non sussistevano particolari ragioni legate alla qualità delle parti, alla natura del contratto o altre circostanze che potessero comunque autorizzare il giudice ad ammettere la prova ai sensi del comma 2, della disposizione citata;

il ricorrente oppone che la prova era stata espletata nonostante la tempestiva eccezione di inammissibilità, e che era onere della parte, rispetto alla prova espletata, eccepirne la nullità nella prima istanza o difesa successiva all’atto, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., sotto pena di sanatoria;

il primo rilievo di parte ricorrente rende tuttavia palese che l’inammissibilità era stata appunto eccepita, il che contraddice la doglianza in ordine alla non rilevabilità d’ufficio;

dallo stesso ricorso risulta poi che la prova era stata ammessa “con esclusione dei capitoli da 6 a 11, essendo stata eccepita la violazione dell’art. 2721”, e per questa parte il ricorso non soddisfa il fine di autosufficienza, dal momento che non risulta indicato a cosa si riferissero i capitoli di prova ammessi, onde potersi desumere se la prova orale espletata fosse o meno rapportabile all’oggetto che rileva;

già tali considerazioni determinerebbero l’inammissibilità della censura;

a ogni modo è infondato ritenere che l’eccipiente avesse l’onere di reiterare l’eccezione dopo l’assunzione della prova: esattamente al contrario, l’eccezione tempestivamente formulata al fine di contrastare il provvedimento ammissivo consentiva di dedurre l’erroneità dell’ammissione in qualunque momento, finanche impugnando la decisione che si fosse basata sull’esito della prova orale;

tale considerazione è assorbente e determina l’irrilevanza finanche del contrasto esistente presso la giurisprudenza della Corte a proposito della recentemente affermata unitarietà di disciplina risultante dagli artt. 2725 e 2729 c.c., con correlata esclusione di un diverso regime processuale in ordine al rilievo dell’inammissibilità della prova testimoniale con riferimento ai contratti per i quali la forma scritta sia richiesta ad probationem ovvero ad substantíam (v. Cass. n. 1798614);

difatti, ove pur ci si ponesse nell’ottica del prevalente e tradizionale indirizzo, che vede nell’art. 2721 c.c., un limite alla prova testimoniale non di ordine pubblico, come tale suscettibile di essere rilevato solo su iniziativa della parte interessata (per tutte, Cass. n. 7765-10; Cass. n. 3959-12), resta che l’iniziativa all’uopo necessaria deve consistere semplicemente nella tempestiva eccezione di inammissibilità della prova medesima, al momento dell’ammissione ovvero in sede di assunzione o nella prima difesa successiva entro lo stesso grado di giudizio;

non si impone, dunque, nel sistema del codice di rito, di reiterare l’eccezione dopo l’assunzione della prova una volta che l’eccezione sia stata tempestivamente sollevata prima del provvedimento ammissivo;

il secondo motivo di ricorso va quindi disatteso e tanto comporta l’assorbimento di tutti gli altri: il primo, che denunzia il provvedimento in un profilo chiaramente sottordinato, quale quello relativo al privilegio; il terzo e il quarto, che attengono al giudizio di esclusione della prova siccome motivato anche in relazione alla presunta inattendibilità dei testimoni, mentre, a prescindere da tale giudizio, la valutazione del tribunale è comunque destinata a rimanere salda nella parte afferente all’inammissibilità della prova medesima ex art. 2721 c.c.; le spese seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 7.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2017

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