Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23776 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. I, 24/09/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 24/09/2019), n.23776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23495/2018 proposto da:

A.N., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Angelo Raneli in forza di procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di PALERMO, depositato il

21/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/07/2019 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

sentito il difensore, avvocato ANGELO VERRASTRO per delega orale

dell’avvocato ANGELO RANELI,

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale DE RENZIS LUISA, che in via principale ha chiesto il rinvio

a nuovo ruolo, e in subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis A.N., cittadino della (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Palermo – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva raccontato di essere nato a (OMISSIS), stato musulmano; di aver studiato a Lagos per sei anni e di essere tornato successivamente a (OMISSIS) ad aiutare il padre nel suo negozio di alimentari; di essere cristiano e di aver avuto problemi per tale ragione; che nel (OMISSIS) avevano sparato a suo padre e avevano incendiato il negozio; che il padre portato al villaggio natale di (OMISSIS), in (OMISSIS), per essere curato con la medicina tradizionale era deceduto il (OMISSIS); che il villaggio di (OMISSIS) aveva in atto un conflitto per un giacimento di petrolio con il villaggio di (OMISSIS) e la comunità premeva su di lui perchè prendesse parte ai combattimenti.

Con decreto del 21/6/2018, il Tribunale di Palermo – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria, a spese compensate.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso A.N., con atto notificato il 19/7/2018, svolgendo sette motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con controricorso notificato il 24/8/2018, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare il ricorrente richiede alla Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, così come convertito nella L. n. 46 del 2017 per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2, nella parte in cui prevedendo un differimento dell’entrata in vigore del nuovo rito nei procedimenti di protezione internazionale, non rispetta i presupposti di necessità e urgenza previsti per l’emanazione di un decreto legge.

1.1. Nel caso in esame, i dubbi di costituzionalità sollevati non hanno in effetti nulla a che vedere con la decisione adottata dal giudice di merito, che non ha trovato alcun fondamento nella disciplina introdotta nel 2017 (D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, recante: “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonchè per il contrasto dell’immigrazione illegale”).

Il decreto, cioè, è stato pronunciato in ragione della ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni provenienti dal sig. A. quanto alla sua provenienza territoriale dal (OMISSIS), e della mancanza di riscontri circa la faida in corso fra le comunità (OMISSIS) e (OMISSIS), elementi questi rispetto ai quali la disciplina sopravvenuta non rileva.

Dunque l’accoglimento della sollevata questione di costituzionalità non produrrebbe, di per sè, un concreto effetto nel giudizio a quo.

1.2. In ogni caso la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito con modifiche in L. n. 46 del 2017, appare anche manifestamente infondata per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (Sez. 1, n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521 01; Sez. 1, n. 28119 del 05/11/2018, Rv. 651799 – 02).

E’ stato al proposito condivisibilmente affermato che è evidentemente privo di fondamento logico l’assunto del ricorrente secondo cui la previsione di un termine di 180 giorni per l’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale denoterebbe l’insussistenza del requisito di urgenza per l’adozione dello strumento del decreto-legge, dal momento che l’esigenza di un intervallo temporale perchè possa entrare a regime una complessa riforma processuale, quale quella in discorso, non esclude affatto che l’intervento di riforma sia caratterizzato dal requisito dell’urgenza.

2. Sempre in via preliminare, con il secondo mezzo il ricorrente richiede alla Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella misura in cui prevede il diverso termine di giorni trenta dalla comunicazione del decreto di primo grado a cura della cancelleria per proporre ricorso per cassazione.

2.1. La questione è irrilevante nel giudizio a quo, dal momento che il ricorrente ha provveduto a impugnare tempestivamente il decreto nel termine che sospetta di incostituzionalità.

2.2. In ogni caso, questa Corte ha condivisibilmente ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di particolare speditezza che caratterizza il procedimento (Sez. 1, n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521-03; Sez. 1, n. 28119 del 05/11/2018, Rv. 651799 – 03).

3. Sempre in via preliminare, con il terzo mezzo il ricorrente richiede alla Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui prevede che la procura alle liti per proporre ricorso per cassazione debba essere conferita a pena di inammissibilità in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato.

3.1. Ancora una volta la questione appare irrilevante, in presenza agli atti di valida procura speciale.

3.2. In ogni caso questa Corte ha ritenuto, ancora in modo condivisibile, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (Sez. 1, n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521 – 04).

In particolare, quanto alla questione della disparità di trattamento tra il privato e il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, la previsione normativa si pone in armonia con il requisito di specialità della procura necessaria per il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 83 c.p.c..

La sanzione di improcedibilità, e non di inammissibilità, concepita per il deposito della procura alle liti, ai sensi del numero 3 dell’art. 369 c.p.c., comma 2, non è pertinente giacchè l’applicazione di detta norma non è affatto esclusa dalla previsione della disposizione sospettata di incostituzionalità.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7 relativamente allo status di rifugiato.

4.1. L’asserita genericità e contraddittorietà del racconto non era mai stata contestata in sede di audizione; il richiedente aveva risposto analiticamente alle domande che gli erano state poste; la richiesta di audizione del ricorrente sulla base di un preciso articolato era stata rigettata; il giudizio di inattendibilità era stato assolutamente unilaterale, senza coinvolgere il ricorrente e senza chiedergli chiarimenti.

La valutazione era stata compiuta sulla base di un solo elemento, l’indicazione contenuta nel mod.C3, senza il necessario inquadramento complessivo.

4.2. Così argomentando, il ricorrente, lungi dal proporre la dichiarata censura per violazione di legge, introduce una critica nel merito alla ricostruzione dei fatti effettuata dal Tribunale, dissentendo dalla sua valutazione circa la credibilità soggettiva del richiedente asilo.

A questo proposito il Tribunale ha ritenuto non credibile il richiedente nella sua pretesa provenienza da (OMISSIS) in (OMISSIS), sia quanto da lui dichiarato in sede di compilazione del mod.C/3, circa la nascita in (OMISSIS) (e non a (OMISSIS)), sia per la estrema genericità della sua descrizione della situazione generale a (OMISSIS), con particolare riguardo alle condizioni di sicurezza e agli attacchi dei terroristi Boko Haram.

4.3. Giova ricordare, al proposito, che la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez.6, 25/07/2018, n. 19716).

Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez.6, 27/06/2018, n. 16925; Sez.6, 10/4/2015 n. 7333; Sez.6, 1/3/2013 n. 5224).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro allegativo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez.6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez.6, 10/5/2011, n. 10202).

Beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez.1, 31/1/2019 n. 3016).

Inoltre questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 relativamente alla protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e b).

5.1. Secondo il ricorrente, il Tribunale non aveva tenuto conto quanto dichiarato dal richiedente, che non era stato nè vago nè superficiale, e aveva ben descritto le condizioni di vita in (OMISSIS), e soprattutto aveva rigettato le richieste istruttorie avanzate dalla difesa (audizione del richiedente asilo) che avrebbero sfatato qualsiasi dubbio sulla provenienza dell’ A..

L’art. 46 della Direttiva 2013/32 doveva essere letto in combinazione con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali UE, secondo paragrafo in tema di diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale.

5.2. Nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, ancorchè non obbligatoria in base alla normativa vigente ratione temporis (anteriore alle modifiche intervenute con il D.L. n. 13 del 2017 conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017), all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Sez. 1, 28/02/2019, n. 5973; Sez. 1, 31/01/2019, n. 3029; Sez. 6, 31/01/2019, n. 2817).

Inoltre nulla impedisce al ricorrente di integrare le proprie deduzioni attraverso le allegazioni difensive formulate dal suo difensore, così contribuendo a integrare il thema decidendum, chiarendo opportunamente il motivo delle modifiche e integrazioni apportate al suo racconto.

5.3. Il diritto della parte a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale non è stato in alcun modo leso, neppure secondo le prospettazioni del ricorrente.

L’art. 46 della Direttiva 26/06/2013 n. 32, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione) si limita prevedere il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo da parte del richiedente avverso le decisioni amministrative negative, che la legge italiana riconosce in generale e ha riconosciuto nel caso concreto.

6. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

La difesa aveva chiesto disporsi idonea c.t.u. medico-psicologica per accertare il nesso tra i maltrattamenti subiti e i problemi di salute del ricorrente, tuttora assoggettato a necessario trattamento terapeutico, senza che il giudice si fosse attivato, così venendo meno al suo dovere di cooperazione istruttoria.

La censura non si confronta in termini adeguatamente critici con il contenuto della decisione impugnata, che ha dato rilievo al fatto che il ricorrente non aveva dimostrato le conseguenze fisiche dei maltrattamenti e pestaggi subiti in Libia, non avendo prodotto alcun certificato medico al proposito: non è quindi stato ravvisato un problema di nesso causale fra i pestaggi e le lesioni obiettivamente accertate ma la decisione è stata basata sulla mancanza di prova delle patologie.

L’unica patologia accertata medicalmente (tubercolosi latente) scaturisce evidentemente da diversa eziologia.

Al proposito, peraltro, la Corte ha escluso che vi fosse prova dell’impossibilità per il richiedente di essere adeguatamente curato in patria.

7. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

7.1. Secondo il ricorrente, il Giudice aveva violato il dovere di cooperazione istruttoria ed era anche incorso nel vizio di omesso esame di fatto decisivo quanto alla richiesta istruttoria di consulenza tecnica d’ufficio, in presenza di certificato medico del 13/6/2018 che prescriveva ulteriore vista per il 27/6/2018 in ragione della pregressa pielonefrite che imponeva ulteriori indagini per evitare una pericolosa e potenzialmente irreversibile malattia renale.

7.2. L’evocazione del dovere di cooperazione istruttoria è richiamato in modo evidentemente inappropriato e fuor d’opera.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, prevede che ciascuna domanda sia esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. L’art. 35 bis, comma 9, prevede che per la decisione il giudice si avvalga anche delle informazioni sulla situazione socio-politico-economica del Paese di provenienza previste dall’art. 8, comma 3, che la Commissione nazionale aggiorna costantemente e rende disponibili all’autorità giudiziaria con modalità previste dalle specifiche tecniche di cui al comma 16.

E’ quindi evidente che l’obbligo di cooperazione istruttoria riguarda la situazione socio-politico-economica del Paese di provenienza e non le attuali condizioni personali del ricorrente.

7.3. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv., con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. Un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053).

Il motivo nella prospettiva dell’omesso esame di fatto decisivo sottoposto al contraddittorio delle parti è inammissibile poichè, specie a fronte dell’espresso diniego del Tribunale della produzione di certificati medici diversi da quello attestante una tubercolosi latente, il ricorrente non dà conto in modo puntuale e specifico nè di quando (al proposito affermando genericamente di averlo fatto all’ultima udienza), nè di come avrebbe sottoposto al giudice il documento decisivo (certificato medico 13/6/2018); inoltre il ricorrente non riferisce specificamente il contenuto dell’asserito documento decisivo, nè tantomeno la sua collocazione degli atti processuali, nè infine lo ha depositato unitamente al ricorso come prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 4.

Soprattutto il ricorrente non comprova la decisività del documento nella prospettiva delineata, ossia nella sua valenza dimostrativa della necessità di proseguire in Italia trattamenti terapeutici non praticabili nel Paese di provenienza.

8. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato a rifondere le spese al controricorrente, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del contro ricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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