Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23775 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. I, 24/09/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 24/09/2019), n.23775

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusep – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso 19767/2018 proposto da:

C.A., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Angelo Raneli in forza di procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di PALERMO, depositata il

17/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/07/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI;

sentito il difensore, avvocato ANGELO VERRASTRO per delega orale

dell’avvocato ANGELO RANELI,

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che in via principale ha chiesto il

rinvio a nuovo ruolo, e in subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis C.A., cittadino del Marocco, ha adito il Tribunale di Palermo Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva raccontato di essere nato in (OMISSIS) e di aver lasciato tale città, ove aveva vissuto insieme ai genitori, due fratelli e tre sorelle, tra il mese di marzo e quello di maggio del 2013 per cercare lavoro; di essere andato a lavorare in un campo di marijuana a (OMISSIS), zona a nord del Marocco; di essere stato coinvolto nel trasporto di hashish e di aver dovuto abbandonare un carico di merce, durante un viaggio, per sottrarsi ad un controllo di polizia; che per tali ragioni i trafficanti lo perseguitavano e lo minacciavano di morte; di essere pertanto andato ad (OMISSIS), fermandosi due mesi, quindi a (OMISSIS) per tre mesi, e poi a (OMISSIS) per quattro mesi, quindi in (OMISSIS) per un anno, per rientrare a (OMISSIS), sistemare i documenti e ritirare il passaporto e quindi partire per Tunisi e la Libia.

Con decreto del 17/5/2018, il Tribunale di Palermo – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria, a spese compensate.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso C.A., con atto notificato il 15/6/2018, svolgendo sei motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con controricorso notificato il 27/7/2018, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria del 3/7/2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare il ricorrente richiede alla Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, così come convertito dalla L. n. 46 del 2017 per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2, nella parte in cui, prevedendo un differimento dell’entrata in vigore del nuovo rito nei procedimenti di protezione internazionale, non rispetta i presupposti di necessità e urgenza previsti per l’emanazione di un decreto legge.

1.1. Nel caso in esame, i dubbi di costituzionalità sollevati non hanno in effetti nulla a che vedere con la decisione adottata dal giudice di merito, che non ha trovato alcun fondamento nella disciplina introdotta nel 2017 (D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, recante: “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonchè per il contrasto dell’immigrazione illegale”).

Il decreto, cioè, è stato pronunciato in ragione della ritenuta genericità delle dichiarazioni provenienti dal sig. C. e soprattutto dell’impossibilità di configurare nei suoi riguardi un rischio di persecuzione e dell’esclusione in Marocco di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto interno.

Dunque l’accoglimento della sollevata questione di costituzionalità non produrrebbe, di per sè, un concreto effetto nel giudizio a quo.

1.2. In ogni caso la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito con modifiche in L. n. 46 del 2017 appare anche manifestamente infondata per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (Sez. 1, n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521 01; Sez. 1, n. 28119 del 05/11/2018, Rv. 651799 – 02).

E’ evidentemente privo di fondamento logico l’assunto del ricorrente secondo cui la previsione di un termine di 180 giorni per l’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale denoterebbe l’insussistenza del requisito di urgenza per l’adozione dello strumento del decreto-legge, dal momento che l’esigenza di un intervallo temporale perchè possa entrare a regime una complessa riforma processuale, quale quella in discorso, non esclude affatto che l’intervento di riforma sia caratterizzato dal requisito dell’urgenza.

2. Sempre in via preliminare, con il secondo mezzo il ricorrente richiede alla Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella misura in cui prevede il diverso termine di giorni trenta dalla comunicazione del decreto di primo grado a cura della cancelleria per proporre ricorso per cassazione.

2.1. La questione è irrilevante nel giudizio a quo, dal momento che il ricorrente ha provveduto a impugnare tempestivamente il decreto nel termine che sospetta di incostituzionalità.

2.2. In ogni caso, questa Corte ha condivisibilmente ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di particolare speditezza che caratterizza il procedimento (Sez. 1, n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521-03;Sez. 1, n. 28119 del 05/11/2018, Rv. 651799 – 03).

3. Ancora in via preliminare, con il terzo mezzo il ricorrente richiede alla Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui prevede che la procura alle liti per proporre ricorso per cassazione debba essere conferita a pena di inammissibilità in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato.

3.1. Anche in questo caso la questione appare irrilevante, in presenza agli atti di valida procura speciale.

3.2. In ogni caso questa Corte, ancora una volta in modo condivisibile, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (Sez. 1, n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521 – 04).

In particolare, quanto alla questione della disparità di trattamento tra il privato e il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, la previsione normativa si pone in armonia con il requisito di specialità della procura necessaria per il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., mentre il richiamo del ricorrente alla sanzione di improcedibilità, e non di inammissibilità, concepita per il deposito della procura alle liti, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3, è effettuato a sproposito, giacchè l’applicazione di detta norma non è affatto esclusa dalla previsione della disposizione sospettata di incostituzionalità.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

4.1. Il ricorrente sostiene che il Tribunale, dopo aver esordito enumerando le tre distinte fattispecie del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 aveva verificato in concreto la sussistenza di una sola delle tre ipotesi, ossia quella di cui alla lettera c) del conflitto armato interno con situazione indotta di violenza generalizzata per i civili.

Invece nella fattispecie a giudizio ricorreva la distinta ipotesi di protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. b, ossia il rischio di tortura o trattamento inumano e degradante per il rischio di essere torturato e ucciso dai trafficanti di droga, pericolo da cui non avrebbe potuto cercare riparo neppure presso le forze dell’ordine, stanti le pene severissime che sono previste in Marocco per detenzione e spaccio di droghe leggere e le condizioni delle carceri marocchine, in cui viene praticata la tortura e vi è rischio di morte.

4.2. Il Tribunale ha compendiato le varie ipotesi di protezione sussidiaria previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in concreto riferimento esplicativo alla tipizzazione contenuta nell’art. 2, lett. g) cit. decreto, che definisce la “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” come “il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.

Il Tribunale ha effettivamente omesso di formulare una autonoma motivazione specificamente riferita all’ipotesi di cui all’art. 14, lett. b, che considera danno grave ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria il rischio di tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine, per concentrarsi esclusivamente sull’ipotesi di cui alla lett. c), che attiene alla minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

4.3. Il ricorrente non può però prospettare a fondamento della richiesta di protezione sussidiaria il rischio delle pene severissime previste in Marocco per detenzione e spaccio di droghe leggere, in cui egli paventa di incorrere ove cercasse riparo presso le forze dell’ordine dalle minacce dei trafficanti di droga, poichè, secondo il suo racconto, il grave reato previsto dalla legge nazionale sarebbe stato effettivamente da lui commesso, mentre non è possibile sindacare la particolare severità della disciplina di repressione penale di uno Stato estero che non si ponga in contrasto con i diritti fondamentali dell’uomo.

Diversamente si pone la questione a fronte dell’allegazione del rischio di trattamenti inumani e degradanti nelle carceri marocchine, tema questo in ordine al quale effettivamente il Giudice di merito avrebbe dovuto indagare se avesse ritenuto plausibile e credibile il racconto del C..

4.4. Tuttavia il Tribunale non ha ritenuto credibile il racconto del richiedente.

Al proposito, a pagina 4 del provvedimento impugnato, esaminando la sua richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato ma con valenza evidentemente suscettibile di estensione anche i tempi di protezione sussidiaria “personalizzata” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il Tribunale, pur partendo dalla premessa di prescindere da rilievi in ordine all’attendibilità delle propalazioni del ricorrente, ha inequivocabilmente affermato di condividere le valutazioni negative operate dalla Commissione circa la loro scarsa credibilità per il carattere non circostanziato delle dichiarazioni: tale affermazione vale a configurare una autonoma ratio decidendi, capace di valere anche per la richiesta di protezione sussidiaria e sfuggita a pertinenti censure e capace di sorreggere da sola la decisione anche a tal proposito.

5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e dell’art. 8 della Direttiva 83/2004.

5.1. Il ricorrente osserva che V Giudice di primo grado aveva posto a base delle sue determinazioni anche la mancata produzione di elementi circa l’impossibilità di trovare rifugio in altra parte del Marocco.

5.2. La generica affermazione, rafforzativa, contenuta a pagina 7, secondo capoverso, del provvedimento impugnato, è del tutto ininfluente ai fini della motivazione del provvedimento impugnato che si fonda, come si è detto, anche sulla non credibilità delle dichiarazioni del richiedente.

6. Con il sesto motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

6.1. Il ricorrente prospetta una situazione di particolare vulnerabilità, sottovalutata dal ricorrente, connessa al rischio di subire trattamenti inumani da parte dei trafficanti di droga o subire trattamenti altrettanto degradanti nei carceri marocchini.

Trascura però di considerare che la non credibilità delle sue dichiarazioni circa la vicenda personale travolge automaticamente la deduzione, affidata appunto a quel presupposto.

Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma in relazione ad una condizione di vulnerabilità in capo al richiedente, assumendo al riguardo rilievo, in assenza di prove del racconto dell’interessato ed in difetto di sollecitazioni ad acquisizioni documentali, quantomeno la credibilità soggettiva del medesimo. (Sez. 1, n. 11267 del 24/04/2019, Rv. 653478 – 01).

6.2. Il ricorrente lamenta poi l’omesso esame di varie circostanze (attestati di riconoscenza e merito ricevuti dal sindaco del comune di residenza e attestati scolastici, a comprova del percorso di integrazione sociale).

I documenti sono peraltro richiamati in modo del tutto generico, senza dar conto del loro contenuto e senza riferire del modo e del tempo di sottoposizione al contraddittorio e della loro collocazione negli atti processuali; soprattutto poi si riferiscono ad elementi privi palesemente del connotato della decisività, poichè, anche secondo l’orientamento giurisprudenziale più favorevole, il livello di integrazione sociale non costituisce elemento di per sè sufficiente per il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari alla luce della disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, assumendo rilievo preminente situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali.

7. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese in favore del contro ricorrente, liquidate come in dispositivo.

Non esclude la soccombenza, diversamente da quanto argomentato dal ricorrente in memoria, l’evidente doppio errore materiale contenuto nel controricorso dell’Amministrazione resistente vittoriosa.

P.Q.M.

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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