Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23772 del 21/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 23772 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: D’ANTONIO ENRICA

SENTENZA

sul ricorso 11700-2009 proposto da:
EQUITALIA POLIS S.P.A. 07843060638, in persona del
legale rappresentante pro tempore elettivamente
domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326,
presso lo studio degli avvocati SCOGNAMIGLIO RENATO e
SCOGNAMIGLIO CLAUDIO che la rappresentano e difendono
2013

giusta delega in atti;
– ricorrente –

1788

contro

PIO ANSELMO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
LAURA

MANTEGAZZA

24,

presso

MARCO

GARDIN,

Data pubblicazione: 21/10/2013

’rappresentato e difeso dall’avvocato LOPARDI STEFANO,
giusta delega in atti;
– controricorrente avverso la sentenza n.

97/2009

di L’AQUILA, depositata

della CORTE D’APPELLO

il 09/02/2009

r.g.n.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/05/2013 dal Consigliere Dott. ENRICA
D’ANTONIO;
udito l’Avvocato VINCENZO PORCELLI per delega RENATO
SCOGNAMIGLIO;
udito l’Avvocato LOPARDI STEFANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

1040/2007;

RG n 11700/2009

EquitaliaPolis / Pio Anselmo

Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 9 febbraio 2009 la Corte d’Appello di L’Aquila ,in riforma della sentenza
del Tribunale di Teramo , ha condannato Equitalia Polis a pagare al dipendente Pio Anselmo,
adibito a mansioni di messo notificatore, Curo 200.000 a titolo di risarcimento del danno biologico

dall’articolo 2087 c.c.
La Corte ha esposto che il datore di lavoro aveva richiesto al lavoratore di attestare falsamente di
essersi recato presso i contribuenti morosi per effettuare le notifiche senza reperirli; che il Pio aveva
opposto un rifiuto a tale prassi determinando una reazione di ostilità prevedibile nell’ambiente di
lavoro non soltanto da parte del datore di lavoro, ma anche di tutti i colleghi che si erano adeguati a
tale prassi ; che ciò aveva determinato una situazione di grave disagio ed isolamento del lavoratore
causa di danno che doveva essere risarcito.
La Corte territoriale ha, peraltro, escluso la prova dell’intento persecutorio del datore di lavoro, ma
ha affermato comunque la responsabilità dello stesso ai sensi dell’art 2087 cc per non avere posto
riparo al pregiudizio ed al disagio del dipendente,nè provveduto a prevenirlo;che il danno, infatti,
avrebbe potuto essere evitato o quantomeno ridotto soltanto se si fossero adottate precauzioni
elementari al fine di evitare che si costituisse il clima di ostilità sul posto di lavoro fonte della
situazione di grave disagio del lavoratore.
La Corte d’Appello ha, pertanto, concluso affermando la sussistenza di un danno subito dal
dipendente, la derivazione di esso da una condizione di severo disagio nel rapporto e nell’ambito
lavorativo causata da un comportamento illecito o illegittimo del datore di lavoro in violazione
dell’art 2087 cc.
Circa le conseguenze dannose sulla salute del lavoratore la Corte ha fatto riferimento alla perizia di
parte liquidando in via equitativa l’importo di C200.000 riconoscendo un danno permanente del
30%.

e morale in conseguenza dell’inadempimento del datore di lavoro agli obblighi derivanti

Avverso la sentenza propone ricorso in Cassazione Equitalia Polis formulando due motivi.
Si costituisce Pio Anselmo depositando controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art
378 cpc.

Motivi della decisione

nonché carenza e contraddittorietà della motivazione su un punto essenziale.
Censura la sentenza nella parte in cui, dopo aver escluso l’esistenza di atti persecutori da parte del
datore di lavoro , ha ritenuto che la società avesse violato l’articolo 2087 c.c. “per aver omesso
precauzioni elementari, coinvolgendo i superiori e i colleghi del dipendente e chiarendo che, salve
le ragioni della parte datoriale e fatte salve tutte le possibili obiezioni nei confronti della
controparte, comunque, si richiedeva agli altri dipendenti di tenere un comportamento rispettoso
nei riguardi dell’appellante e di astenersi da qualsiasi comportamento che potesse influire
negativamente per evitare il clima di costante profonda ostilità nei confronti del Pio”.
Osserva che la Corte non aveva specificato quali iniziative o comportamenti avrebbe potuto
assumere per evitare il contrasto tra la società e l’intero corpo degli ufficiali di riscossione,da un
lato, e il Pio dall’altro.
Rileva che sarebbe stato ravvisabile un comportamento censurabile qualora il datore di lavoro
avesse esercitato pressioni con provvedimenti e comportamenti persecutori, per piegare o tentare di
piegare la volontà del Pio ad aderire alla prassi da questo ritenuto illegittima, ma nulla di simile era
risultato provato.
Denuncia la contraddizione della sentenza là dove afferina che la società non poteva pretendere
che il lavoratore eseguisse una prassi da lui ritenuta illegittima, ed allo stesso tempo afferma che
neppure il lavoratore poteva pretendere che la datrice di lavoro abbandonasse, contro il suo
convincimento,la prassi fino ad allora seguita dichiarandone l’illegittimità.
La censura è infondata.
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Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 2087,2049,1175 e 1375 cc

La Corte d’Appello ha accertato che era stato richiesto al Pio, nella sua attività di ufficiale di
riscossione e di messo notificatore, di attestare falsamente di essersi recato presso la residenza dei
notificandi senza reperirli.
La società non nega, e comunque non prova, l’inesistenza del fenomeno costituito, se non proprio
da una prassi, dalla presenza di ufficiali notificatori addetti alla riscossione che operavano seguendo

disagio per chi , essendo un lavoratore onesto e non volendosi adeguare a pratiche illegittime , si era
venuto a trovare, in qualche modo, a disagio riportando un danno alla salute quale conseguenza di
tali condotte, considerato , inoltre, che il Pio era stato oggetto di sanzioni disciplinari o delle
esternazioni dei colleghi , a cui aveva fatto seguito anche la querela del lavoratore.
Nel ricorso si afferma una sostanziale impossibilità di mutare la procedura di riscossione instaurata
in azienda ed, anzi, si sollevano , addirittura dubbi sull’effettiva illegittimità di tali prassi.
La Corte d’Appello ha, invece, sottolineato che l’agenzia nulla aveva fatto per evitare che
all’interno dei luoghi di lavoro si formasse tale prassi illegittima e, dopo aver rilevato che il rifiuto
del Pio di adeguarsi a tali condotte illegittime era doveroso, ha sottolineato la gravità del
comportamento del datore di lavoro concretantesi nella falsità delle dichiarazioni che si pretendeva
dagli agenti alla riscossione oltre che nell’illegittimo lucro da parte di questi ultimi del compenso
pur in assenza del compimento dell’attività notificatoria .
La sentenza della Corte d’Appello è, pertanto, sul punto correttamente motivata e rispettosa dei
principi giuridici applicabili alla fattispecie nella parte in cui ha ravvisato la violazione dell’art 2087
cc per aver la società omesso di adottare precauzioni al fine di evitare o ridurre lo stato di disagio,
le manifestazioni di ostilità e l’isolamento del lavoratore determinato dal fatto che aveva
manifestato il suo dissenso alla prassi aziendale, del tutto illegittima, di accertare l’irreperibilità dei
destinatati delle notifiche attestando falsamente di essersi recato presso i contribuenti .
In altri termini , la ricorrente non ha fornito la prova, pur essendo a suo carico il relativo onere, di
avere fatto tutto il possibile per impedire diffusi e ripetuti comportamenti illegittimi da parte dei
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l’illegittima procedura denunciata dal Pio e che tale comportamento potesse aver determinato un

suoi dipendenti e per evitare condotte censurabili e gravi — capaci sinanche di divenire “prassi” suscettibili per le loro modalità attuative di incidere sulla stessa integrità psico-fisica di chi a tale
condotta intendeva opporsi.
Ne consegue, quindi, che correttamente, come già detto, la Corte territoriale ha ritenuto che si fosse
attuato una violazione del disposto dell’art 2087 cc perché- è bene ricordarlo- la giurisprudenza di

fronte di condotte illegittime di datori di lavoro che arrechino danni non solo sulla integrità fisica
dei propri dipendenti ma anche su quella psichica ( per riferimenti conferenti alla fattispecie in
esame cfr da ultimo Cass. 17/4/2013 n. 92490 ed ancora Cass. 11/4/2013 n 8855).
Principi questi che è evidente debbano trovare applicazione pure allorquando si sia in presenza di
datori di lavoro che sono chiamati a spiegare servizi- come quello assolto dalla società ricorrente —
di rilevante interesse per la collettività.
Per concludere il primo motivo del ricorso va ritenuto inammissibile quando con esso si tenta una
rivisitazione delle risultanze processuali , non ammissibile in questa sede di legittimità , ed
infondato quando, invece, censura la decisione del giudice d’appello , per essere la stessa supportata
da un iter motivazionale rispettoso dei principi giuridici applicabili alla materia in esame Ai_
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 1223, 1175, 1375,
1218, 1225, 1226, 2729 cc nonché carenza di motivazione su un punto essenziale.
Censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’affermata omissione ad un suo obbligo di
comportamento potesse aver cagionato un danno al lavoratore.
Rileva che la risarcibilità dei danni sussiste solo quando vi sia un nesso di causalità necessaria per
cui il danno sia una conseguenza esclusiva dell’inadempimento e dell’illecito secondo il principio
della regolarità causale; tutti gli antecedenti in mancanza dei quali l’effetto dannoso non si sarebbe
verificato devono considerarsi sue cause salvo il caso in cui la causa prossima sia sufficiente a
produrre l’evento da sola e per escludere che un fatto abbia concorso a cagionare un danno , occorre

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legittimità ha più volte ribadito che la suddetta norma codicistica debba trovare applicazione a

dimostrare, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, che il danno si sarebbe
ugualmente verificato senza quell’antecedente.
Lamenta che mancava la stessa prova del danno che non può farsi consistere in uno stato di disagio
ritenuto grave dalla sentenza senza alcuna dimostrazione o un clima di ostilità anch’esso vago o
generico. Contesta la quantificazione del danno come effettuata dalla Corte.

La Corte territoriale ha omesso un’adeguata disamina della prova del danno alla salute e della sua
quantificazione ,oltre che del nesso di causalità con il comportamento illegittimo denunciato.
• Deve rilevarsi, infatti, che tale accertata illegittimità del comportamento del datore di lavoro non

necessariamente è fonte del danno alla salute lamentato dal lavoratore.
La Corte d’appello ha affermato che il danno e la sua entità risultavano da una perizia di parte e da
documentazione medica di cui , tuttavia, non riporta neppure gli elementi fondamentali rilevanti ai
fini del decidere restando genericamente indicata la malattia sofferta dal lavoratore, oltre che la sua
quantificazione.
La Corte per di più ha quantificato il danno nell’ingente importo di € 200.000,00 senza specificare
in modo congruo ed esauriente le ragioni poste a sostegno di detta quantificazione.
Le considerazioni che precedono impongono l’accoglimento del ricorso in relazione a detto motivo
con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ,anche per le spese del presente
• giudizio, alla Corte d’Appello di Roma.
PQM
La Corte
Rigetta il primo motivo del ricorso ed accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione
al motivo accolto e rinvia,anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma.
Roma 16/5/2013
Il Presidente

L’estensore
‘Antonio

_

Guìdo Vidiri

Il motivo è fondato.

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