Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23772 del 14/11/2011

Cassazione civile sez. I, 14/11/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 14/11/2011), n.23772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26718-2008 proposto da:

S.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA GIOVANNI RANDACCIO 1, presso l’avvocato

MUSA LEONARDO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO T.V., p.iva (OMISSIS) in persona del

Curatore dott. P.G., elettivamente domiciliato in ROMA,

V.LE GIUSEPPE MAZZINI 73, presso l’avvocato IVONE GIUSEPPINA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CASILLI ANTONIO, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 327/2008 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 07/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato MUSA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato CASILLI che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Fallimento di T.V., dichiarato il (OMISSIS), convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce l’arch. S.G., per sentir dichiarare l’inefficacia, ex art. 67, comma 2, od, in subordine, ex art. 66, L. Fall., dell’atto a rogito del notaio Morea, stipulato il 15.3.95, con il quale l’imprenditore edile poi fallito aveva venduto al convenuto un appartamento ed un box auto per il prezzo dichiarato di L. 122.300.000 e per sentire in conseguenza condannare il S. al risarcimento del danno derivatogli dal mancato godimento dell’immobile.

Il S., costituitosi in giudizio, eccepì che il contratto dedotto in giudizio era simulato, in quanto costituiva in realtà attuazione di una permuta, documentata da scrittura privata del 16.7.91 e da successiva scrittura del 15.7.92, denominata “clausola aggiunta al preliminare di permuta”, con cui egli, insieme agli altri comproprietari, aveva trasferito il terreno edificabile al T. e questi si era obbligato a cedergli, in cambio, uno degli appartamenti che avrebbero composto il costruendo edificio.

Il Tribunale di Lecce, con sentenza del 4.11.05, accolse la domanda svolta in via principale dal fallimento e condannò il convenuto a pagare all’attore, in via risarcitoria, la somma di Euro 20.000, liquidata in via equitativa.

L’appello proposto dal S. contro la decisione fu respinto dalla Corte d’Appello di Lecce con sentenza del 7.5.08.

La Corte territoriale rilevò: che il contratto (definito dalle parti di permuta) del 16.1.91 e la cd. “clausola aggiunta al preliminare di permuta” erano privi di data certa e non erano opponibili al fallimento; che dunque, correttamente, il primo giudice aveva ritenuto che la compravendita fosse stata stipulata in esecuzione del preliminare di vendita del 15.7.92; che, peraltro, ad identica conclusione doveva giungersi anche nel caso in cui le parti, attraverso la compravendita impugnata, avessero voluto dare attuazione agli impegni assunti con la scrittura del 16.7.91; che tale scrittura, infatti, non integrava gli estremi di una permuta di cosa presente (il suolo edificatorio) con cosa futura (gli appartamenti da costruire), ma andava qualificata negozio ad effetti meramente obbligatori, che impegnava da un lato i proprietari del suolo a venderlo al costruttore con successivo rogito notarile e, dall’altro, il T. a trasferire gli appartamenti in costruzione;

che, più specificamente, la permuta avrebbe dovuto realizzarsi attraverso tre atti, ovvero: il contratto di vendita del suolo edificatorio, la contestuale stipula di un contratto preliminare di vendita degli appartamenti in costruzione e la successiva vendita degli appartamenti costruiti; che pertanto, non v’era ostacolo all’accoglimento della domanda revocatoria avente ad oggetto il contratto definitivo, che non poteva qualificarsi come atto dovuto, in quanto il S. avrebbe potuto sospendere la sua controprestazione ai sensi dell’art. 1461 c.c.; che la scientia decoctionis del S. risultava ampiamente provata in via presuntiva dalle circostanze allegate e documentate dal Fallimento;

che il danno per il mancato godimento dell’immobile andava commisurato al valore del corrispettivo che si sarebbe ricavato dalla sua locazione, certamente non inferiore alla somma di Euro 3.000.00 all’anno determinata dal Tribunale.

S.G. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, sorretto da dieci motivi ed illustrato da memoria.

Il Fallimento di T.V. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso il S. denuncia violazione dell’art. 183 c.p.c. e art. 2074 c.c. e lamenta che la Corte territoriale abbia rilevato d’ufficio la mancanza di data certa del contratto di permuta, ancorchè il curatore non avesse sollevato la relativa eccezione entro il termine di cui all’art. 180 c.p.c., comma 1.

2) Con il secondo motivo denuncia, per la stessa ragione, violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata.

3) Con il terzo motivo censura il medesimo capo della decisione anche sotto il profilo del vizio di motivazione e deduce che la certezza della data del contratto si ricavava sia dalle dichiarazioni rese in sede testimoniale dai sigg.ri M. e R., che avevano integralmente confermato il suo assunto difensivo, sia dal contenuto dei documenti da lui prodotti (lettere raccomandate e diffida ad adempiere inviata al T.), aventi data successiva.

4) Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 1461 c.c. e art. 67, L. Fall. nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte di merito escluso che la stipula del contratto definitivo fosse atto dovuto. Assume a riguardo che, anche a voler considerare la scrittura del 16.7.91 come atto “ad effetti obbligatori”, egli vi aveva dato esecuzione sin dal 15.7.92, trasferendo il suolo edificatorio al T., sicchè non avrebbe mai potuto sospendere la propria prestazione per il pericolo di fallimento del costruttore.

5) Con il quinto motivo, il S. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.. ed ulteriore vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere il giudice d’appello omesso di ricercare la comune e reale volontà delle parti ed aver qualificato la scrittura del 16.7.91 come contratto ad effetti meramente obbligatori, in esecuzione del quale sarebbero stati posti in essere autonomi atti traslativi. Rileva che, a far data dal 15.7.92, la permuta si era perfezionata, in quanto era avvenuto il trasferimento del suolo edificatorio ed era stata differita la mera formalità dell’intestazione degli appartamenti e dei box alla data della loro effettiva venuta ad esistenza e sostiene che, nel pervenire al proprio contrario convincimento, la Corte non ha tenuto conto delle risultanze della prova testimoniale e dei documenti allegati.

6) Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 67, L. Fall. e vizio di motivazione e lamenta che il giudice d’appello abbia ritenuto che il contratto era stato stipulato nel ed.

periodo sospetto, non tenendo conto che l’atto impugnato dal Fallimento era solo l’ultimo di una serie di atti posti in essere dalle parti per dare esecuzione alla permuta, e che questa si era perfezionata sin dal 15.7.92, mentre egli aveva acquistato la proprietà dell’appartamento dal momento in cui questo era venuto ad esistenza, ovvero sin dal 13.10.94. A suo dire, pertanto, il rogito notarile del 15.3.95 costituiva solo modalità di attuazione e formalizzazione di intese già perfezionatesi ed i giudici avrebbero errato nel ritenere che il trasferimento costituisse adempimento di un obbligo assunto col preliminare di vendita del 15.7.92.

7) In ordine logico, va data precedenza all’esame congiunto del quarto, del quinto e del sesto motivo di ricorso, fra loro strettamente connessi.

7.1) Va innanzitutto rilevato come le censure illustrate nel quarto e nel sesto motivo, lungi dall’evidenziare l’erronea ricognizione delle astratte fattispecie in cui dovrebbero trovare applicazione le norme che si assumono violate, si risolvono nella denuncia dell’errata applicazione di tali norme alla fattispecie concreta dedotta in giudizio e sono dunque esaminabili unicamente sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 15499/04).

7.2) Tutti e tre i motivi di censura, peraltro, sono sostanzialmente volti a contestare l’interpretazione data dalla Corte di merito alle pattuizioni intervenute fra il ricorrente ed il T., ancorchè solo nel quinto sia prospettata la violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale. In particolare, il S. lamenta che il giudice d’appello abbia escluso la sussistenza di un collegamento negoziale fra la scrittura del 16.7.91 ed i successivi atti posti in essere fra le parti e che abbia ritenuto che la compravendita revocata fosse stato stipulata in esecuzione del preliminare di vendita del 15.7.92, posto che, a suo dire, detto preliminare, corredato da una clausola aggiunta “di precisazione” e redatto contestualmente all’atto di trasferimento del suolo al T., costituiva atto di esecuzione degli obblighi assunti con la citata scrittura, attraverso il quale si sarebbe perfezionata la permuta in essa pattuita ed egli avrebbe acquistato la “cosa futura” (ovvero l’appartamento), salvo il differimento, alla data della sua effettiva venuta ad esistenza, delle formalità necessarie ad ottenerne l’intestazione.

7.3) In realtà, le censure non sembrano perfettamente attinenti al decisum, in quanto ciò che la Corte di merito ha inteso escludere non è l’esistenza di un collegamento negoziale fra la scrittura del 16.7.91 ed i successivi atti intervenuti fra il S. ed il T., ma il fatto che, nel loro complesso, tali atti potessero qualificarsi come attuativi di una permuta: la sentenza impugnata (pur continuando impropriamente a definire “permuta” la scrittura redatta il 16.7.91) evidenzia infatti che tale scrittura non solo non integrava un contratto di permuta, ma prevedeva che gli obblighi di trasferimento (del suolo e dell’appartamento) in essa reciprocamente assunti dalle parti sarebbero stati eseguiti attraverso la stipula di distinti contratti di vendita. Da qui l’affermazione che “.. pur a voler ritenere che la vendita per cui è causa costituisca il momento conclusivo di un più complesso rapporto avente origine nella scrittura privata del 16.7.81, in ogni caso la stessa sarebbe revocabile”.

7.4) Ciò premesso, deve precisarsi che l’accertamento dell’esistenza di un nesso di collegamento fra diversi negozi, delle sue modalità e conseguenze attraverso la ricerca dell’effettiva volontà delle parti e della reale funzione che esse hanno inteso dare ai contratti nell’economia dell’affare, rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi logico-giuridici (Cass. S.U. n. 28053/08).

Trovano pertanto applicazione in materia i medesimi principi costantemente enunciati da questa Corte in tema di interpretazione del singolo contratto, secondo i quali, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente per cassazione che lamenti l’errata interpretazione del contratto non solo deve fare puntuale riferimento ai canoni ermeneutici asseritamene violati, ma, in ossequio ai principi di specificità ed autosufficienza del ricorso, è tenuto altresì a precisare in qual modo il ragionamento del giudice se ne sia discostato, riportando il testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto in contestazione, specie allorchè assuma che la sentenza ha dato prevalenza ad alcune clausole (qui ai singoli negozi) e non abbia tenuto conto del loro complessivo significato. Analogamente, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente non può limitarsi a criticare la ricostruzione della volontà delle parti operata dal giudice a quo contrapponendovi la propria diversa interpretazione, ma, sempre in ossequio ai principi di specificità ed autosufficienza del ricorso, deve indicare con puntualità quali siano i vizi logici che inficiano il ragionamento del giudice e quali le circostanze decisive che questi ha omesso di valutare (fra molte, Cass. nn. 20140/09, 19087/07, 4178/07). 7.5) Alla luce di tali principi, le censure in esame vanno dichiarate inammissibili.

Il S. ha infatti totalmente omesso di riprodurre nei motivi il contenuto della scrittura del 16.7,91 e della clausola aggiunta al preliminare, nonchè le risultanze delle prove testimoniali e dei documenti invocati a sostegno del proprio assunto.

Egli ha poi denunciato, in via generale, la violazione da parte della Corte di merito delle regole di ermeneutica contrattuale, ed in particolare della norma di cui all’art. 1362 c.c., che impone all’interprete di indagare sulla comune intenzione dei contraenti, valutabile dal loro comportamento complessivo, ma non ha in alcun modo indicato gli elementi di fatto e/o i comportamenti, trascurati dal giudice a quo, che sarebbero stati decisivi al fine di pervenire ad una diversa ricostruzione della volontà delle parti. In sostanza, lungi dall’evidenziare l’illogicità delle argomentazioni che sorreggono il ragionamento del giudice d’appello, i motivi si risolvono nella richiesta da parte del ricorrente, inammissibile in sede di legittimità, di sostituire all’interpretazione delle risultanze processuali data dalla Corte di merito la propria personale interpretazione.

8) Il rigetto delle censure concernenti una delle due autonome rationes decidendi sulle quali si fonda l’accertamento dell’avvenuta conclusione fra l’imprenditore poi fallito ed il S. di un contratto di vendita avente ad oggetto l’appartamento ed il box edificati dal primo, temporalmente assoggettabile a revocatoria, rende superfluo l’esame dei primi tre motivi di impugnazione, volti a censurare la seconda ratio decidendi (costituita dall’inopponibilità al fallimento della ripetuta scrittura del 16.7.91 e della clausola aggiunta al preliminare), i quali, quand’anche fondati, non potrebbero condurre all’accoglimento del ricorso.

9) Con il settimo motivo, il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 67, comma 2, L. Fall. e vizio di motivazione, lamenta che l’atto impugnato dal Fallimento sia stato ritenuto pregiudizievole per la massa. Osserva a riguardo che la Corte di merito avrebbe dovuto in primo luogo verificare se si trattava di un atto a titolo oneroso e, successivamente, accertarne l’eventuale incidenza depauperativa sul patrimonio del fallito e rileva che nella specie la lesione della par condicio avrebbe dovuto essere esclusa, in quanto il fallito aveva ricevuto un indubbio arricchimento dall’operazione di permuta, acquisendo il suolo costituente il corrispettivo del trasferimento dell’appartamento e del box. Il motivo, prima ancora che infondato (siccome basato sull’indimostrato presupposto che ci si trovi in presenza di una permuta e non di una compravendita) va dichiarato inammissibile, in quanto sintetizzato in un quesito di diritto (“se sia suscettibile di revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 61, L. Fall. anche l’atto che sia privo dei caratteri dell’onerosità”) palesemente astratto e privo di attinenza rispetto alla questione illustrata (non essendo dato comprendere perchè la permuta non rientri fra gli atti a titolo oneroso).

10) Con l’ottavo motivo, denunciando ulteriore violazione dell’art. 67, comma 2, L. Fall. e vizio di motivazione, il ricorrente contesta il ragionamento probatorio che ha condotto la Corte territoriale a ritenere provata la sua scientia decoctionis.

Osserva che il giudice del merito ha, da un lato, attribuito rilevanza a bollettini dei protesti privi della data di pubblicazione degli stessi, e, dall’altro, omesso di considerare che egli, non svolgendo attività imprenditoriale, non era solito consultarli;

deduce, ancora, che la Corte leccese non ha tenuto conto delle dichiarazioni dei testi M. e R., che avevano entrambi escluso che si fossero manifestati all’esterno i sintomi dello stato di insolvenza del T., mentre ha ritenuto che fra gli indizi del dissesto rientrasse un’iscrizione ipotecaria sull’immobile, che, al contrario, doveva reputarsi fatto ordinario, atteso l’oggetto dell’attività esercitata dall’imprenditore poi fallito; sostiene, infine, che egli aveva assunto in tempi non sospetti l’obbligo di garantire il T. dal pagamento degli oneri concessori e che pertanto la circostanza che talune rate di tali oneri fossero state corrisposte dalla compagnia assicuratrice, che aveva poi esercitato rivalsa nei suoi confronti, non costituiva elemento presuntivo della ricorrenza del presupposto soggettivo dell’azione.

Anche questo motivo va dichiarato inammissibile. La Corte di merito ha tratto il proprio convincimento da un’unitaria valutazione delle circostanze di fatto acquisite agli atti del giudizio, la quale non richiede la discussione di ogni singolo elemento o la confutazione di tutte le contrarie argomentazioni difensive (Cass. n. 5235/01), ed ha ritenuto sussistente la prova della scientia decoctionis del ricorrente in base ad un percorso logico complessivo perfettamente coerente, fondato su di una molteplicità di evidenze documentali (protesti a carico del T. risalenti a circa 18 mesi prima della data della compravendita impugnata; tempo trascorso fra la stipula del preliminare e del definitivo; mancata liberazione da parte del costruttore delle ipoteche gravanti sul fabbricato e rilascio al S. di titoli cambiari a garanzia della cancellazione dei vincoli; mancato pagamento degli oneri concessori). Ebbene, le contrarie circostanze di fatto indicate dal ricorrente, quand’anche globalmente considerate, risulterebbero prive del carattere della decisività, in quanto non varrebbero ad escludere la rilevanza probatoria di quelle, con esse contrastanti, cui la Corte territoriale ha dato prevalenza e sulle quali poggia la motivazione della pronuncia impugnata.

Va aggiunto, ad ogni buon conto, che il motivo è inammissibile anche perchè difetta del requisito dell’autosufficienza: il ricorrente, infatti, non richiama l’esatto contenuto delle dichiarazioni testimoniali, nè precisa se (ed in quale fase processuale) abbia o meno prodotto in causa i documenti dai quali dovrebbero desumersi le circostanze dedotte.

11) Con il nono motivo di ricorso, il S. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e art. 67, L. Fall., nonchè vizio di motivazione, e lamenta che la Corte territoriale, dopo aver sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, lo abbia condannato al pagamento di Euro 20.000,00 a titolo di risarcimento del danno subito dal Fallimento per la mancata disponibilità dell’immobile, ponendo in tal modo a suo carico il rischio derivante dalla durata del giudizio, nel quale egli ha legittimamente tutelato le proprie ragioni.

Il motivo è infondato: la condanna del S. al ristoro del danno non consegue alla valutazione della sua condotta processuale e/o dell’eventuale, ritenuta, sua ingiustificata resistenza in giudizio, ma trova fondamento nella decorrenza degli effetti della sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto a far data dalla proposizione della domanda. E’ da tale data, pertanto, che il Fallimento avrebbe dovuto ottenere la disponibilità dell’immobile, che è invece rimasto nella detenzione del S., il quale non può dunque pretendere che la durata del giudizio si ritorca in un danno per la parte vittoriosa.

12) Inammissibile, infine, è l’ultimo ragione di censura, con la quale il S. si duole, sotto il profilo del vizio di motivazione, dell’omessa pronuncia della Corte di merito in ordine alla “sostenuta ipotesi di simulazione dell’atto oggetto di revocatoria”, senza precisare in quale dei motivi d’appello ed in quali esatti termini detta “ipotesi” sia stata fatta valere. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna S.G. a pagare al Fallimento di T.V. le spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2011

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