Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23771 del 01/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 01/10/2018, (ud. 10/05/2018, dep. 01/10/2018), n.23771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10358-2016 proposto da:

B.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLO BERTI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

Nonchè da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE (OMISSIS) DI COLLEGNO E PINEROLO, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO

PLACIDI, rappresentata e difesa dagli avvocati PAOLO SCAPARONE e

CINZIA PICCO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 99/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 19/02/2016, R. G. N. 816/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2018 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito l’Avvocato ATTILIO TAVERNITI per delega verbale PAOLO

SCAPARONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e per l’accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Torino ha accolto il reclamo proposto L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58 dall’Azienda Sanitaria Locale (OMISSIS) e, in riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale della stessa città all’esito del giudizio di opposizione, ha respinto il ricorso di B.G., dirigente medico preposto alla struttura semplice Medico Competente, volto ad ottenere, in via principale, l’annullamento del licenziamento intimato dalla Asl il 12 giugno 2014 e la condanna dell’Azienda alla reintegrazione ed al risarcimento del danno, quantificato in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data del recesso fino a quella dell’effettiva riammissione in servizio.

2. La Corte territoriale ha ritenuto non condivisibili le conclusioni del giudice dell’opposizione quanto alla genericità della contestazione ed ha evidenziato che l’incolpazione individuava chiaramente la condotta nell’avere fatto eseguire, nel periodo 2008/2013, gratuitamente da strutture esterne esami specialistici a numerosi soggetti che non avevano titolo per usufruire dell’esenzione. Non rendeva generica la contestazione la mancanza di indicazione analitica degli esami illegittimamente prescritti, posto che la stessa missiva comunicava al B. che avrebbe potuto prendere visione degli elenchi e consultare prima dell’audizione tutti i documenti istruttori.

3. Il giudice d’appello ha escluso ulteriori profili di illegittimità formale del licenziamento, sui quali il reclamato aveva insistito proponendo impugnazione incidentale, evidenziando, in sintesi, che:

a) le indagini, estremamente complesse, si erano protratte sino al gennaio-febbraio 2014, sicchè la contestazione effettuata il 20 marzo 2014 doveva essere ritenuta tempestiva;

b) la violazione del termine di 5 giorni previsto per la trasmissione degli atti all’UPD non determina la decadenza dal potere disciplinare e rimane priva di sanzione quando la trasmissione non venga ritardata in modo eccessivo, impedendo il diritto di difesa, evenienza, questa, non riscontrabile nella fattispecie;

c) non era stato violato il principio del ne bis in idem perchè i fatti contestati si differenziavano da quelli oggetto di altro procedimento, in quanto si riferivano ad una diversa tipologia di esami, in questo caso richiesti a soggetti esterni.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Giuseppe B. sulla base di quattro motivi, ai quali ha opposto difese l’Azienda sanitaria che ha notificato ricorso incidentale affidato ad un’unica censura, illustrata da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 50 e 55 bis anche in relazione all’art. 3, comma 8 codice disciplinare della convenuta” e rileva, in sintesi, che non poteva essere ritenuta specifica una contestazione priva di ogni riferimento al nominativo dei pazienti ed alla natura degli esami asseritamente effettuati in modo indebito. Richiamata giurisprudenza di questa Corte, il B. evidenzia che, attesa la funzione di garanzia a tutela del diritto di difesa, l’addebito deve avere per oggetto fatti specifici e, quindi, come richiesto dal codice disciplinare adottato dall’Azienda, l’atto con il quale si dà avvio al procedimento deve contenere una descrizione chiara e puntuale della condotta. Aggiunge che il richiamo a documenti esterni è possibile solo a condizione che la comunicazione faccia espresso riferimento alla fonte ed i documenti in questione siano già nella disponibilità del lavoratore. Non è quindi sufficiente che quest’ultimo sia stato messo in condizione di accedere agli atti del procedimento che lo riguarda in epoca successiva all’avvio dell’azione disciplinare.

1.2. La seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione, sotto altro profilo, delle norme sopra richiamate, perchè la contestazione doveva essere ritenuta tardiva in quanto da molti mesi l’Azienda era a conoscenza dei fatti contestati. Il ricorrente evidenzia che il principio dell’immediatezza della contestazione, pur dovendo essere inteso in senso relativo, comporta che il datore di lavoro renda edotto il lavoratore dei fatti di rilevanza disciplinare non appena gli stessi appaiano ragionevolmente sussistenti, sicchè non è consentito procrastinare le indagini fino al momento in cui si ritiene di avere acquisito l’assoluta certezza della fondatezza di ogni singolo episodio contestato. Nel caso specie la ASL, una volta avuta contezza dell’elenco dei pazienti non esentati dal pagamento, avrebbe dovuto dare corso al procedimento disciplinare, riservando alla fase istruttoria gli ulteriori approfondimenti.

1.3. Con la terza critica il ricorrente principale si duole della “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 1, e art. 55 bis, comma 3, e art. 1418 c.c.” e rileva che tutti i termini previsti per il procedimento disciplinare hanno carattere perentorio, con la conseguenza che la loro violazione determina la nullità degli atti compiuti, sulla base della previsione generale contenuta nell’art. 55, comma 1. Richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che “il fatto che la norma preveda una determinata sanzione (decadenza dall’azione disciplinare) per violazione dei termini stabiliti nel medesimo comma non implica che la violazione del successivo comma 4 non debba essere sanzionata con la nullità, noto essendo che la violazione di norme imperative è sempre colpita da nullità “salvo che la legge disponga diversamente” (art. 1418 c.c.)”.

1.4. Il quarto motivo eccepisce la “nullità della sentenza per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 sulla domanda di annullamento del licenziamento per abuso del diritto e violazione dei canoni di buona fede e correttezza nell’esercizio del potere disciplinare”. Il ricorrente principale rileva che in entrambe le fasi del giudizio di primo grado era stata denunciata l’illegittimità del licenziamento sia sotto il profilo della violazione del principio del ne bis in idem, sia in relazione all’abuso del diritto ravvisabile nell’artificioso frazionamento delle condotte contestate. Su questa questione, riproposta con il gravame incidentale, la corte ha omesso di pronunciare.

2. La ricorrente incidentale denuncia, con un unico motivo, la violazione della L. n. 92 del 2012, art. 1 e dell’art. 414 c.p.c.e rileva che non poteva il giudice del reclamo pronunciare anche sull’asserita violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 3, in quanto con l’atto introduttivo della fase sommaria il ricorrente aveva lamentato solo la genericità della contestazione, il mancato rispetto dei termini di avvio e conclusione del procedimento, la violazione del principio del ne bis in idem, l’indebito frazionamento delle condotte. Non poteva, pertanto, il ricorrente ampliare il thema decidendum in sede di opposizione.

3. Il primo motivo di ricorso è fondato, nei limiti di seguito precisati.

Da tempo questa Corte ha chiarito che la contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e, quindi, la stessa deve essere specifica, nel senso che deve contenere le indicazioni necessarie ed òessenziali per individuare, nella sua materialità, la condotta addebitata.

Si è precisato, peraltro, che l’accertamento relativo al requisito della specificità, riservato al giudice di merito, va condotto considerando che in sede disciplinare la contestazione non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale nè si ispira ad uno schema precostituito, ma si modella in relazione ai principi di correttezza che informano il rapporto esistente fra le parti, sicchè ciò che rileva è l’idoneità dell’atto a soddisfare l’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa (cfr. fra le tante Cass. nn. 6099/2017, 4622/2017, 3737/2017, 619/2017, 6898/2016, 10662/2014, 27842/2009).

Dal principio, di carattere generale, è stata desunta l’ammissibilità della contestazione per relationem, in ordine alla quale si è osservato che risultano rispettati i principi di correttezza e garanzia del contraddittorio qualora gli atti richiamati siano già a conoscenza dell’interessato, che, quindi, viene posto immediatamente nella condizione di svolgere un’adeguata difesa (Cass. nn. 5115/2010, 10662/2014, 29240/2017).

A detta ipotesi non è assimilabile la fattispecie che si verifica allorquando la contestazione non contenga gli elementi necessari per individuare i fatti materiali addebitati e l’integrazione, necessaria per soddisfare il requisito della specificità, debba essere operata con atti in possesso del solo datore di lavoro, non portati previamente a conoscenza del dipendente interessato.

Il giudizio sulla sussistenza o meno del requisito della specificità va espresso in relazione a quanto il lavoratore è in grado di apprendere dalla lettura della contestazione e, quindi, il rinvio a fonti esterne è consentito solo a condizione che le stesse siano già note all’incolpato, di modo che questi nel momento in cui riceve l’atto, sia in grado di comprendere i fatti in relazione ai quali l’iniziativa disciplinare è stata intrapresa.

A detto principio di diritto non si è attenuta la Corte territoriale che ha valorizzato, per escludere la genericità della contestazione, la circostanza che al B. fosse stato consentito l’accesso agli atti del procedimento e, quindi, fosse stata concessa la possibilità di esaminare la documentazione dalla quale era possibile desumere l’indicazione analitica degli esami specialistici richiesti in favore di soggetti non aventi titolo all’esenzione.

Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 5 nel prevedere che “il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento”, assicura un’ulteriore garanzia difensiva al dipendente incolpato, il quale per poter efficacemente difendersi deve poter conoscere gli atti istruttori sui quali si fonda l’accusa disciplinare. Il diritto di accesso, peraltro, si aggiunge e non è sostitutivo della garanzia data dal requisito della specificità della contestazione, perchè quest’ultimo è volto ad assicurare che il contraddittorio si svolga sullo specifico addebito contestato ed allo stesso si correla l’altro fondamentale principio sul quale il procedimento disciplinare è fondato, ossia quello dell’immutabilità della contestazione.

Ne discende che l’eventuale genericità dell’incolpazione non può essere superata facendo leva sul fatto che l’accesso agli atti avrebbe consentito al dipendente di conoscere tutti i dati necessari a circostanziare l’addebito disciplinare.

4. Sono, invece, infondati il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale che, in quanto entrambi attinenti alla tempestività della contestazione, possono essere trattati unitariamente.

Devono essere ribaditi principi già affermati da questa Corte che, da un lato, ha escluso la natura perentoria del termine previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 4, (Cass. n. 12213/2016), dall’altro ha evidenziato che “ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione (D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 55-bis, comma 4), in conformità con il principio del giusto procedimento, come inteso dalla Corte cost. (sentenza n. 310 del 5 novembre 2010), assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione…” (Cass. n. 7134/2017 e negli stessi termini Cass. n. 25379/2017 e Cass. n. 6989/2018).

Il principio, sebbene affermato in relazione al termine per la conclusione del procedimento, è applicabile anche qualora venga in rilievo la tempestività della contestazione, poichè quest’ultima può essere ritenuta tardiva solo qualora l’amministrazione rimanga ingiustificatamente inerte e, quindi, non proceda ad avviare il procedimento, pur essendo in possesso degli elementi necessari per il suo valido avvio. Il termine, invece, non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare l’addebito.

La Corte territoriale ha espresso il giudizio sulla tempestività dell’iniziativa disciplinare attenendosi ai principi di diritto sopra richiamati perchè ha premesso che la contestazione presuppone la conoscenza delle “condotte che si assumono non lecite al fine sia di effettuare una contestazione piena, sia di dare all’incolpato la possibilità di difesa” e, poi, esaminate le risultanze processuali, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, ha escluso l’eccepita tardività, evidenziando che le indagini preliminari si erano concluse solo nei primi mesi dell’anno 2014, in quanto avevano richiesto un complesso lavoro di verifica e di comparazione dei dati forniti da più strutture.

I motivi di ricorso sono dunque infondati, perchè non si ravvisa la denunciata violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis.

5. La quarta censura del ricorso principale non può essere scrutinata nel merito perchè il motivo non è formulato nel rispetto dell’onere di specificazione imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

Occorre premettere che, anche qualora il ricorrente prospetti un error in procedendo, rispetto al quale la Corte di cassazione è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito presuppone l’ammissibilità della censura ex art. 366 c.p.c., sicchè la parte non è dispensata dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, di indicare in modo egualmente specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti (fra le più recenti Cass. nn. 22880/2017, 2771/2017, 11738/2016).

Dal principio di diritto discende che, qualora il ricorrente censuri di erroneità la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., le condizioni richieste dall’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6 potranno dirsi sussistenti solo qualora il motivo riporti negli esatti termini il contenuto della censura sulla quale la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciare. Non è sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del motivo, che il ricorrente assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 40 richiede che al giudice di legittimità vengano forniti tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (fra le più recenti, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28.9.2016 n. 19048).

6. L’infondatezza del secondo e del terzo motivo del ricorso principale comporta l’assorbimento dell’unico motivo di ricorso incidentale, giacchè le questioni riproposte in questa sede che, ad avviso della ricorrente incidentale, non potevano essere prospettate in sede di opposizione, sono state ritenute prive di fondamento.

7. In via conclusiva deve essere accolto solo il primo motivo del ricorso principale e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame attenendosi a quanto precisato nel punto 3 ed al principio di diritto di seguito enunciato: “in tema di procedimento disciplinare il giudice di merito, nell’apprezzare la sussistenza del requisito della specificità della contestazione deve verificare se la contestazione stessa offra le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare nella sua materialità i fatti addebitati; detto accertamento va condotto prescindendo dai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale e valorizzando l’idoneità dell’atto a soddisfare l’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa; il diritto di accesso agli atti del procedimento disciplinare non può essere invocato per superare l’eventuale genericità della contestazione, perchè il rinvio per relationem a fonti esterne è consentito solo qualora lo stesso riguardi atti dei quali ha conoscenza il dipendente incolpato, il quale deve essere posto in condizione di approntare un’efficace difesa, già dal momento in cui riceve l’incolpazione”.

Alla Corte territoriale è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità. Non sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e rigetta gli altri motivi. Assorbe il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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