Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23769 del 02/09/2021

Cassazione civile sez. I, 02/09/2021, (ud. 01/06/2021, dep. 02/09/2021), n.23769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21392/2020 proposto da:

S.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Patrizia Bortoletto

del Foro di Ravenna;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia

in Roma, via dei Portoghesi 12;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1095/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 27/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/06/2021 dal Cons. Luigi CAVALLARO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 27.4.2020, la Corte d’appello di Bologna ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di S.S. volta al riconoscimento dello status di rifugiato e comunque dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria o, in via gradata, del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

che avverso tale pronuncia S.S. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura;

che il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione in giudizio ai fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico articolato motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione della Convenzione di Ginevra in materia di protezione internazionale, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, degli artt. 2 e 32 Cost., dell’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dell’art. 11 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti economici nonché del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, ratificati con L. n. 881 del 1977, per avere la Corte di merito ritenuto che non sussistessero in specie né i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, nonostante la situazione esistente nel suo Paese d’origine (Costa d’Avorio), né quelli per la concessione della protezione umanitaria, nonostante la condizione di vulnerabilità in cui egli verrebbe a trovarsi se rimpatriato, non possedendo risorse nel proprio Paese;

che, con riguardo al diniego di protezione sussidiaria, va premesso che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, stabilisce che la domanda di protezione debba essere esaminata “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite”;

che, nel caso di specie, l’accertamento sulla situazione esistente in Costa d’Avorio è stato condotto in maniera rispettosa delle prescrizioni di legge (cfr. in particolare pagg. 3-4 della sentenza impugnata), per modo che le critiche svolte in ricorso, lungi dal rivelare una qualche violazione di esse, mirano piuttosto e inammissibilmente ad una revisione del giudizio di fatto condotto dai giudici di merito, peraltro sulla scorta di circostanze di cui non si dice quando e come sarebbero state veicolate e discusse nei precedenti gradi del giudizio;

che, con riguardo alla protezione umanitaria, i giudici territoriali hanno escluso che l’odierno ricorrente abbia documentato “una specifica situazione di effettiva, stabile e significativa integrazione raggiunta in Italia, rispetto alla quale possa formularsi, in relazione all’eventuale rimpatrio, una prognosi di privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale”, non avendo egli “neppure (…) allegato di aver svolto (…) attività lavorativa in Italia” (così la sentenza impugnata, pag. 5);

che, a fronte di tale accertamento, risulta affatto inammissibile, siccome radicalmente nuova, l’allegazione contenuta nel ricorso per cassazione (cfr. pag. 10) secondo cui il ricorrente svolgerebbe attività lavorativa fin dal 2018, così come inammissibile è la documentazione allegata per supportarla, non essendo consentita nel giudizio di legittimità la produzione di documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che si tratti di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso (art. 372 c.p.c.);

che, in via generale, deve poi ribadirsi che, ai fini della verifica dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, non è sufficiente la mera allegazione della situazione di grave difficoltà economica e sociale in cui il richiedente verrebbe a trovarsi ove fosse rimpatriato nel paese di provenienza in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico, non essendo ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire parametri di benessere economico e sociale a cittadini stranieri (cfr. in tal senso Cass. nn. 3681 del 2019 e 18783 del 2020);

che il ricorso, pertanto, va rigettato, nulla statuendosi sulle spese di lite per non avere il Ministero svolto apprezzabile attività difensiva al di là del deposito dell’atto di costituzione redatto al fine della partecipazione all’eventuale udienza di discussione;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 1 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021

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