Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23762 del 22/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 22/11/2016, (ud. 16/05/2016, dep. 22/11/2016), n.23762

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

T.O., in qualità di titolare della OSCAR IMMOBILIARE DI

T.O., elettivamente domiciliato in Roma, alla via A. Nibby

n. 18, presso l’avv. prof. FRANCESCO CORDOPATRI, dal quale è

rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce alla

memoria di costituzione, unitamente all’avv. VINCENZO PUGLIESE, dal

quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L.;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Vibo Valentia depositato l’11

dicembre 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 maggio 2016 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido;

udito l’avv. Francesco Cordopatri per il ricorrente.

Fatto

FATTO E DIRITTO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, in applicazione dell’art. 380 – bis c.p.c.:

“1. Con il decreto di cui in epigrafe, il Tribunale di Vibo Valentia ha rigettato l’opposizione proposta dall’Oscar Immobiliare di T.O. avverso lo stato passivo del fallimento della (OMISSIS) S.r.l., avente ad oggetto l’ammissione al passivo di un credito di Euro 96.000,00, oltre IVA, ci titolo di provvigione per l’attività di mediazione svolta dall’opponente ai fini della conclusione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare tra la società fallita e la Starfin S.r.l..

2. Avverso la predetta sentenza l’Oscar Immobiliare ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il curatore del fallimento non ha svolto attività difensiva.

3. – A sostegno dell’impugnazione, la ricorrente ha dedotto:

a) la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., osservando che, nel ritenere non provata l’iscrizione di essa ricorrente nell’albo dei mediatori, il decreto impugnato non ha considerato che l’esistenza di tale requisito poteva essere accertata in via presuntiva attraverso l’indicazione del numero d’iscrizione nell’atto d’incarico;

b) la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1755 e 1758 c.c., nonchè l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel ritenere non provato il nesso causale tra l’opera di mediazione e la conclusione dell’affare, il decreto impugnato ha omesso di verificare se alla mancata accettazione di un’iniziale proposta comunicata da essa ricorrente avesse fatto seguito l’interruzione del rapporto di mediazione;

c) l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, lamentando la mancata ammissione dell’interrogatorio formale e della prova testimoniale dedotti da essa ricorrente in ordine all’opera di mediazione svolta ed alla sua partecipazione agl’incontri tra le parli contraenti.

4. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, sono in parte infondati, in parte inammissibili.

A fondamento della decisione, la Corte di merito ha infatti rilevato la mancata dimostrazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto alla provvigione, e segnatamente dell’iscrizione della ricorrente nell’albo dei mediatori e dell’avvenuta conclusione dell’affare per effetto dell’opera della mediatrice, osservando, in ordine a quest’ultimo profilo, che dai messaggi di posta elettronica prodotti in giudizio emergeva esclusivamente la mancata accettazione da parte della società fallita delle proposte formulate dall’acquirente e comunicatele dalla ricorrente, e non anche l’attività svolta da quest’ultima ai fini della conclusione del contratto preliminare, non desumibile neppure da altri messaggi prodotti, in quanto successivi alla stipulazione del contratto.

Quest’ultima affermazione si pone perfettamente in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in tema di mediazione, secondo cui deve escludersi il diritto del mediatore alla provvigione allorchè risulti che una prima fuse delle trattative avviate con il suo intervento non abbia dato risultato positivo, e la conclusione dell’affare, cui le parti siano successivamente pervenute, abbia avuto luogo indipendentemente dall’opera del mediatore che le aveva poste originariamente in contatto, in quanto la ripresa delle trattative sia avvenuta a seguito d’iniziative nuove, assolutamente non ricollegabili a quelle precedenti o dalle stesse condizionate, sì da potersi escludere l’utilità dell’originario intervento del mediatore (dr. Cass., Sez. 3, 22 gennaio 2015, n. 1120; 8 luglio 2010, n. 16157; 18 marzo 2005, n. 5952).

La ricorrente non contesta il predetto principio, ma richiama la precisazione compiuta da questa Corte, secondo cui, ai,fini del diritto alla provvigione, non occorre che l’intervento del mediatore si estenda a tutte le fasi della trattativa, non dovendo esso costituire necessariamente il fattore determinante ed esclusivo della conclusione dell’affare, ma risultando sufficiente la sua idoneità a favorire l’utile contatto tra le parti (cfr. Cass., Sez. 3, 9 dicembre 2014, n. 25851; 17 luglio 2008, n. 19705; 20 dicembre 2005, n. 28231): nella specie, tuttavia, è proprio tale idoneità ad essere stata posta in discussione dal decreto impugnato, il quale ha dato atto dell’esito negativo delle trattative intraprese per opera della ricorrente, ritenendo non provato che il contratto preliminare successivamente stipulato tra le medesime parti fosse riconducibile all’intervento originario della mediatrice.

Nel censurare tale apprezzamento, la ricorrente non è in grado d’individuare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla Corte di merito, ma si limita ad insistere sulla valenza probatoria dell’interrogatorio fin-male e della prova testimoniale dedotti in giudizio, la cui mancata ammissione non è censurabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134: per effetto di tali modifiche, infatti, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora, come nella specie, il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito, ancorchè il provvedimento impugnato non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie acquisite (cfr. Cass., Sez. lav., 9 luglio 2015, n. 14324; Cass., Sez. 6, 10 luglio 2015, n. 13448, 10 febbraio 2015, n. 2498).

5. Resta conseguentemente assorbito il primo motivo, il cui accoglimento non potrebbe in alcun modo condurre alla cassazione del decreto impugnato, avendo la censura ad oggetto la sussistenza di uno solo dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto alla provvigione, insufficiente ai fini dell’accoglimento della domanda, a fronte dell’accertata mancanza degli altri presupposti”.

Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione e gli scritti difensivi in atti, ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione da essa proposta, non risultando meritevoli di accoglimento le contrarie argomentazioni svolte nella memoria depositata dal ricorrente, il quale si limita ad insistere nella propria tesi difensiva, senza addurre ragioni idonee a giustificare una rimeditazione delle predette conclusioni.

Nel ribadire la riconducibilità della stipulazione del preliminare all’attività da lui svolta, il ricorrente invoca ancora una volta il principio, già richiamato nel ricorso, secondo cui non occorre, a tal fine, che l’attività di mediazione si protragga dall’inizio fino alla conclusione dell’affare: omette tuttavia di considerare che, incombendo al mediatore la prova del nesso eziologico, il rifiuto della proposta contrattuale da parte della società fallita poneva a suo carico la dimostrazione che, ciò nonostante, le trattative tra le parti non si erano interrotte, ovvero che erano successivamente riprese per effetto dell’opera da lui prestata. In proposito, egli lamenta l’omessa valutazione dei documenti prodotti, dai quali emergerebbe incontestabilmente che i contatti con le parti proseguirono anche a seguito del rifiuto da parte della società fallita della proposta di acquisto formulata dalla controparte e della stessa stipulazione del contratto preliminare, e che l'(OMISSIS) continuò ad avvalersi dei suoi servizi anche in epoca successiva: in tal modo, tuttavia, introduce nuove circostanze di fatto, non menzionate nella sentenza impugnata, la cui deducibilità in questa sede deve ritenersi preclusa, indipendentemente dall’incensurabilità del mancato apprezzamento delle relative prove, mancando nel ricorso qualsiasi riferimento alle stesse, e non essendo stato d’altronde precisato neppure in quale fase processuale ed in quale atto sarebbero state fatte valere.

Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo al mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile, il 16 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2016

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