Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23761 del 10/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 10/10/2017, (ud. 27/04/2017, dep.10/10/2017),  n. 23761

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI ENRICO – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15951-2016 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MEDAGLIE D’ORO 399, presso lo studio dell’avvocato CARLO CECCHI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ATER-AZIENDA TERRITORIALE EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA DEL COMUNE

DI ROMA, in persona del Direttore Generale pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLUCCI DE CALBOLI 20-E,

presso lo studio dell’avvocato EDMONDA ROLLI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 375/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2009 M.C. chiese fosse accertato e dichiarato, sia il suo diritto a subentrare nella posizione giuridica della madre Me.Gr. succeduto al padre nel rapporto locativo con l’Ater, sia il suo diritto di opzione per l’acquisto del medesimo bene.

Il Tribunale di Roma con sentenza 14384/2010 rigettò le domande formulate in via principale di accertamento del diritto di subentro al contratto di locazione, dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice ordinario relativamente alla domanda di accertamento della regolarizzazione dell’occupazione e conseguente disapplicazione del decreto di rilascio.

2. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 375/2016 ha confermato la sentenza impugnata.

3. Avverso tale pronunzia M.C. propone ricorso in Cassazione con tre motivi.

3.1. Resiste con controricorso l’Azienda Territoriale Edilizia Residenziale pubblica del comune di Roma.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, proposta di inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio con le seguenti precisazioni, di condividere le conclusioni cui perviene la detta proposta.

6.1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione delle norme di cui all’art. 326,1362,1363,1366,1376,1470 e 1538 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per errata interpretazione nel documento 2 in atti fascicolo di parte M. in 1 grado.

6.2. Con il secondo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 136 del 2001, art. 2, comma 2 e dell’art. 1376 c.c. nella misura in cui la Corte ha ritenuto che detta norma non fosse calzante con la fattispecie dedotta in giudizio, di successione del figlio erede dell’assegnataria deceduta nel diritto al riscatto dell’immobile dalla stessa esercitato nei modi di legge prima del suo decesso.

6.3. Con il terzo motivo deduce la erronea implicita conferma della condanna dell’appellato al pagamento delle spese di lite di primo grado ed erronea espressa condanna dell’appellato al pagamento delle spese di lite per violazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili.

Oltre a richiedere una rivalutazione del fatto i motivi sono generici e non contengono alcuna attività argomentativa della violazione delle norme ermeneutiche che vengono indicate nella intestazione dei motivi. Nel giudizio di legittimità è onere del ricorrente indicare con specificità e completezza quale sia il vizio da cui si assume essere affetta la sentenza impugnata. Sono inammissibili quei motivi che non precisano in alcuna maniera in che cosa consiste la violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che si sostiene errata, o che si limitano ad una affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (Cass. S.U. 7074/2017). Inoltre non impugnano adeguatamente l’ampia ratio decidendi della sentenza. Infatti non considerano in alcun modo l’ampia motivazione resa dalla sentenza impugnata. Il terzo motivo sulle spese in realtà è un non motivo perchè si limita a chiedere che cada la statuizione sulle spese processuali.

7. Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 c.p.c., il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

 

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2017

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