Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23760 del 22/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 22/11/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 22/11/2016), n.23760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21104-2012 proposto da:

C.P., (OMISSIS), G.B. (OMISSIS),

G.C. (OMISSIS), G.L.N. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, V. CONFALONIERI 5, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI MANZI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CESARE GLENDI, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

e contro

C.A., C.G., C.C.,

C.M.V., C.P., quali eredi di CA.AG. e

P.T., elettivamente domiciliati in ROMA al Viale REGINA MARGHERITA

278, presso lo studio dell’avvocato STEFANO GIOVE, che unitamente

all’avvocato PATRIZIA TERZAGO e MASSIMO SERRA, li rappresenta e

difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

G.M. e G.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1082/2011 della CORTE D’APPELLO DI GENOVA,

depositata il 07/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Calderara per delega dell’Avvocato Cesare Glendi per

i ricorrenti, e l’Avvocato Sprovieri per delega dell’Avvocato Serra

per i controricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento per

quanto di ragione del 4 e del 5 motivo di ricorso, assorbiti i

restanti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 25 marzo 1987, C.M. e C.P. convenivano innanzi al Tribunale di Genova Ca.Ag. e Ca.An., deducendo che in data (OMISSIS) era deceduto C.B. che aveva lasciato a se superstiti i figli M., P., Ag. ed An.. Il de cuius con testamento pubblico del 4 novembre 1985 aveva nominato erede universale il figlio Ag. assumendo di avere soddisfatto già in vita le aspettative successorie degli altri figli. Peraltro il de cuius aveva intestato in vita al figlio An. un appartamento alla via Fabbriche n. 52 in Genova Voltri, mentre non corrispondeva al vero che avesse soddisfatto i diritti delle attrici, che pertanto risultavano lese nella loro quota di legittima. Aggiungevano che il patrimonio ereditario relitto si componeva di beni mobili, gioielli e danaro, nonchè di immobili siti in (OMISSIS), ancora erroneamente cointestati in catasto al de cuius ed alla sorella C.P..

Concludevano quindi affinchè fosse dichiarata la nullità ovvero l’inefficacia del citato testamento, reintegrando per l’effetto le esponenti nella quota di legittima loro spettante, procedendo di seguito alla divisione dei beni relitti.

Si costituiva Ca.Ag. il quale evidenziava che il de cuius in vita, aveva donato alla figlia M. un appartamento alla via Coste del Vento 4/1 in Genova oltre Lire 200.000 in contanti, ed a C.P. un appartamento sito alla medesima via ma al civico 48. Inoltre deduceva che i beni relitti appartenevano al genitore solo per la quota del 50 %, in quanto la restante parte era di proprietà della zia C.P., la quale era emigrata da moltissimo tempo all’estero.

Si costituiva anche Ca.An. che aderiva alle difese del fratello. Deceduto Ag., e riassunto il giudizio nei confronti dei suoi eredi, disposta CTU ed ammessa ed espletata prova testimoniale, il “Tribunale con ordinanza collegiale del 26 luglio 2003, rilevato che le attrici avevano contestato l’apparente diritto di comproprietà di C.P., sorella del defunto, sui terreni e sui fabbricati in via (OMISSIS), e che ciò imponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti della predetta (nata a (OMISSIS) ed emigrata in America/Stati Uniti) ovvero dei suoi eredi, fissava a tal fine il termine del 30 novembre 2003. Le attrici provvedevano alla notifica nei confronti di C.P. ai sensi dell’art. 143 c.p.c. presso la casa comunale di Genova, ultima residenza conosciuta della destinataria, e sorta contestazione in ordine alla ritualità di tale notifica, attesa anche la presumibile età della destinataria, che ove ancora in vita avrebbe avuto 136 anni, il Tribunale, dopo avere invitato) le parti a precisare le conclusioni, con la sentenza n. 4452 del 27/10/2005 dichiarava l’estinzione del giudizio.

A seguito di appello proposto da C.P. e dagli eredi di C.M., la Corte d’Appello di Genova con la sentenza n. 1082 del 7 novembre 2011, rigettava il gravame confermando in toto la decisione appellata.

Quanto alla denunziata erroneità dell’ordine di integrazione del contraddittorio, rilevava che l’intestazione catastale dei beni in capo anche alla sorella del de cuius era un indizio della proprietà immobiliare, quando questa non costituisca oggetto specifico della controversia, sicchè la stessa rendeva necessaria la partecipazione al giudizio anche della intestataria catastale.

Quanto alla dedotta irritualità dell’eccezione di estinzione per non essere stata sollevata nella prima difesa dalle controparti, la decisione osservava che in realtà dal verbale di udienza del 15/4/2004, immediatamente successiva alla scadenza del termine fissato ex art. 102 c.p.c., risultava che il difensore dei convenuti aveva eccepito l’estinzione del giudizio.

In merito poi alla correttezza della notifica effettuata a C.P., dopo avere osservato che l’ordinanza collegiale aveva disposto l’integrazione nei confronti della predetta ovvero dei suoi eredi, per l’eventualità che la donna fosse deceduta, come presumibilmente doveva ritenersi in considerazione della sua data di nascita, la scelta lasciata alle parti avrebbe dovuto indurle ad effettuare la notifica agli eredi, dovendosi confermare l’invalidità della notifica effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c.

Infatti, il presupposto di legittimità per il ricorso a tale forma di notifica l’impossibilità di acquisire informazioni circa il luogo ove effettuare l’incombente con l’uso dell’ordinaria diligenza.

Nel caso di specie nessuna idonea indagine preliminare era stata effettuata, essendo in ogni caso onere dell’interessato effettuare ulteriori accertamenti presso gli uffici consolari, anche nel caso in cui il destinatario abbia omesso la comunicazione della sua nuova residenza.

In merito alla censura avverso la decisione del Tribunale che aveva imputato agli appellanti di non avere presentato la domanda per la nomina di un curatore per la scomparsa, rilevava la Corte genovese che effettivamente la situazione in cui versava la destinataria della notifica, allontanatasi volontariamente dall’Italia ai primi del 900, senza che se ne avessero più sue notizie, consentiva di invocare la previsione di cui all’art. 48 c.c., senza la possibilità di fare applicazione dell’art. 143 c.p.c. che è una norma di carattere processuale destinata a rendere possibile la notifica nei confronti di soggetti divenuti irreperibili, ma che non elide sul piano sostanziale la necessità di applicare la disciplina prevista per le ipotesi di scomparsa.

Infine, quanto al motivo con il quale gli appellanti lamentavano che non fosse stata applicata la norma di cui all’art. 291 c.p.c., ordinandosi la rinnovazione della notifica nulla, in quanto eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c., al di fuori dei casi in cui è consentita, secondo i giudici di appello, il vizio investiva la stessa individuazione del destinatario della notifica (curatore o eventuali eredi) dovendosi parlare quindi di notifica inesistente per la quale non vi è spazio per l’applicazione dell’art. 291 c.p.c..

Avverso la indicata sentenza della Corte di Appello di Genova hanno proposto ricorso per cassazione C.P., G.B., G.C. e G.L.N. articolandolo su sei motivi.

C.A., G., C., M.V. e P. quali eredi di Ca.Ag. e P.T., hanno resistito con controricorso.

G.A. e M. non hanno svolto difese in questa fase. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 102 c.p.c., nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione su di un fatto decisivo per il giudizio.

Si contesta specificamente la correttezza dell’ordine di integrazione del contraddittorio emesso dal giudice di primo grado, del quale era stata richiesta la revoca sia in prime cure che in appello, mediante la formulazione di uno specifico motivo di gravame.

Nella fattispecie deve escludersi la sussistenza di una situazione sostanziale tale da generare un’ipotesi di litisconsorzio necessario, che possa determinare come conseguenza che la sentenza emessa senza la partecipazione del litisconsorte pretermesso sia inutiliter data.

Nel caso di specie la domanda delle attrici era finalizzata ad ottenere la declaratoria di nullità ovvero di inefficacia del testamento pubblico di C.B., in quanto aveva pretermesso le stesse attrici, senza che le stesse avessero ricevuto in altro modo quanto loro spettante a titolo di legittimarie, evidenziando che alcuni dei beni immobili caduti in successione risultavano catastalmente intestati in capo al de cuius ed alla sorella C.P..

Tale essendo il tenore della domanda, finalizzata appunto all’esercizio dell’azione di riduzione, deve ritenersi evidente l’insussistenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario, imponendosi la presenza in giudizio del solo legittimario e del beneficiario delle disposizioni lesive.

Quanto alla sussistenza di una cointestazione catastale dei beni tra il de cuius e la sorella C.P., la stessa aveva dato vita ad una semplice eccezione dei convenuti, i quali avevano inteso sottolineare tale circostanza al fine di verificare l’esistenza della lesione denunziata in ragione della titolarità del de cuius solo sulla metà dei beni indicati in citazione, senza però formulare alcuna domanda di accertamento in merito alla titolarità di tali beni.

Peraltro emergeva che i beni erano stati pacificamente posseduti da C.B., stante la partenza della sorella per l’estero tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento.

Quanto all’affermazione secondo cui l’intestazione catastale costituisce indizio della proprietà dei beni, la stessa contrasta palesemente con il principio seguito dalla Suprema Corte per il quale l’intestazione de qua rileva a fini essenzialmente fiscali, non potendo invece offrire la prova della proprietà degli immobili.

Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Si sostiene che nel caso in cui si denunzia la non integrità del contraddittorio è onere della parte che l’eccepisca individuare la fattispecie sostanziale che impone l’adozione del provvedimento di cui all’art. 102 c.p.c.

Nella vicenda in esame, i convenuti avevano dedotto che la comproprietaria C.P. si era trasferita da moltissimo tempo negli Stati Uniti, ed il tribunale con l’ordinanza con la quale aveva disposto l’integrazione del contraddittorio, aveva previsto che ciò avvenisse nei confronti della stessa ovvero dei suoi eredi.

A fronte di tale provvedimento la Corte d’Appello ha invece sostenuto che attesa la presumibile età della C., ed avendo il provvedimento dato l’opportunità anche di procedere nei confronti dei suoi eredi, non poteva ritenersi autorizzata una notifica effettuata personalmente nei confronti della cointestataria catastale.

Si assume in ricorso che tale conclusione sarebbe erronea, sicchè volendo applicare il ragionamento della Corte distrettuale, era in realtà onere degli stessi convenuti indicare chi erano i soggetti nei cui confronti effettuare la dovuta integrazione, nè poteva il giudice disporre un ordine di integrazione con modalità di esecuzione alternative.

Il terzo motivo denunzia la violazione dell’art. 143 c.p.c..

Infatti le attrici al fine di dare attuazione all’ordinanza collegiale del Tribunale, avevano effettuato la notifica ex art. 143 c.p.c. nel comune di ultima residenza della destinataria, così come emergeva dalla certificazione anagrafica rilasciata dal Comune di Genova (subentrato al Comune di Voltri, ove risultava risiedere la C.P. prima della sua partenza per l’estero).

La Corte territoriale aveva ritenuto l’invalidità della notifica de qua osservando che la condizione per il ricorso, a tale forma di notifica è l’impossibilità di poter acquisire informazioni circa il luogo dove possa essere effettuato l’incombente con la normale diligenza, occorrendo quindi che la mancata conoscenza sia oggettiva e non superabile con l’ordinaria diligenza.

Ciò vale anche nel caso in cui il destinatario si sia trasferito all’estero, palesandosi la necessità di indagini presso l’ufficio consolare, anche laddove il destinatario non abbia comunicato all’AIRE, la sua nuova residenza all’estero.

Ritengono i ricorrenti che la conclusione del giudice di merito sia erronea in quanto non tiene conto della specificità del caso, posto che l’onere di effettuare ricerche presso gli uffici consolari può dirsi operante solo per le ipotesi di trasferimento all’estero avvenute prima dell’istituzione dell’AIRE, di cui alla L. n. 470 del 1988, laddove nel caso di specie la C. era emigrata agli inizi del 900.

Il quarto motivo denunzia violazione falsa applicazione dell’art. 143 c.pl.c., art. 156 c.p.c., comma 2, artt. 160 e 291 c.p.c..

Si deduce che anche laddove la notifica effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c. fosse risultata invalida si tratterebbe di una nullità che implicava la necessità di dover concedere nuovo termine per la rinnovazione ex art. 291 c.p.c.. A contrario la sentenza gravata ha ritenuto che nella fattispecie si trattava di un vizio che investiva la stessa individuazione del soggetto a cui effettuare la notifica trattandosi quindi di un’ipotesi rientrante a rigore nel novero dell’inesistenza della notifica, senza che quindi sia possibile invocare la previsione di cui all’art. 291 c.p.c..

Il quinto motivo denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 48 c.c. e artt. 75 e 102 c.p.c..

Infatti il Tribunale con valutazione poi condivisa dalla Corte d’Appello a fronte della notifica effettuata ex art. 143 c.p.c. a C.P., ha ritenuto che in assenza di notizie della destinataria in ordine al luogo di emigrazione, fosse onere dei ricorrenti presentare apposita istanza per la nomina di un curatore della scomparsa ex art. 48 c.c.

A tal riguardo si sostiene l’erroneità di tale conclusione atteso che la scomparsa non incide sulla capacità processuale del soggetto, sicchè, laddove la nomina del curatore non sia stata comunicata a colui che agisce, questi ben può proporre la domanda nei confronti dello stesso scomparso, essendo onere del curatore rendere noto il potere di rappresentanza e costituirsi al suo posto.

Infine con il sesto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c. e art. 307 c.p.c., commi 3 e 4, attesa la tardiva formulazione dell’eccezione di estinzione del giudizio a cura della difesa dei convenuti.

Infatti l’eccezione de qua era stata preceduta da quella di nullità dell’atto di integrazione del contraddittorio con la conseguenza che non poteva essere dichiarata l’estinzione del giudizio.

2. Ad avviso della Corte il primo motivo di ricorso e fondato e pertanto deve essere accolto.

A tal fine occorre ribadire che la domanda proposta in giudizio e una domanda di riduzione e conseguente divisione dei beni relitti, che con il testamento erano stati lasciati al solo Ca.Ag. (evidentemente all’esito dell’accoglimento ella domanda di riduzione).

In relazione a tale domanda deve ribadirsi il costante principio di questa Corte per il quale non sussiste alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario (cfr. Cass. n. 27770/2011, secondo cui in tema di tutela dei diritti dei legittimari, nel giudizio conseguente all’esercizio dell’azione di riduzione, legittimato passivo è il solo titolare della posizione giuridica che l’attore contesta al fine di ottenere la reintegrazione della sua quota di legittimario. Ne consegue che, rimanendo ogni altro soggetto, benchè coerede, estraneo a tale azione, non è configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario; nè, qualora l’azione di riduzione venga proposta con giudizi diversi contro i singoli coeredi, è ipotizzabile litispendenza, continenza o connessione tra le cause; conf. Cass. n. 27414/2005).

Ciò esclude evidentemente che in relazione alla domanda principale possa ravvisarsi una situazione tale da imporre l’evocazione in giudizio quale litisconsorte necessaria anche della sorella del de cuius (o dei suoi eventuali eredi).

Peraltro, anche a voler esaminare la domanda di divisione, che nel caso di specie si presentava come assolutamente consequenziale all’accoglimento dell’azione di riduzione, e quindi limitata ai soli beni caduti nella successione di C.B., occorre ribadire il tradizionale principio dell’autonomia delle masse, per il quale la domanda di divisione limita i suoi effetti ai soli beni facenti parte della massa di cui si chiede lo scioglimento (così Cass. n. 314/2009, secondo cui nel caso di divisioni di beni provenienti da titoli diversi e, perciò, appartenenti a distinte comunioni, si deve procedere a tante divisioni per quante sono le masse, derivandone il litisconsorzio necessario tra i condividenti solo all’interno del giudizio di divisione relativo a ciascuna di esse; può invece procedersi ad un’unica divisione solo in presenza del consenso di tutte le parti, purchè la circostanza risulti da uno specifico negozio; conf. Cass. n. 1739/2013; Cass. n. 2231/1985).

Ne consegue che, anche a voler ritenere che i beni de quibus fossero in comproprietà tra il de cuius e la sorella, poichè nel presente giudizio si controverteva solo in merito alla successione del primo, non poteva estendersi, e sostanzialmente d’ufficio, la domanda di divisione anche alla diversa comunione esistente tra il de cuius e la germana, il che esclude che possa sostenersi il litisconsorzio necessario in ragione della proposizione cumulativa anche di un giudizio di divisione.

Ciò comporta che ove in una massa siano ricompresi beni, o meglio quote di beni, che si appartengano) pro quota al de cuius per effetto di un diverso rapporto di comunione, il giudizio di divisione deve svolgersi solo tra i condividenti che vantino diritti sulla base del rapporto di comunione dedotto in giudizio, dovendosi considerare i beni ai fini dello scioglimento della comunione come appunto quote indivise, senza che quindi debbano partecipare al processo anche i titolari del distinto rapporto di comunione dal quale derivi la titolarità di diritti pro quota in capo al titolare della massa di cui si chiede lo scioglimento (in tal senso Cass. n. 104/1971; Cass. n. 2231/1985, secondo cui poichè i beni di una comunione ben possono provenire da titoli diversi, costituenti, essi stessi, distinte comunioni, da considerare come entità patrimoniali a se stanti, può essere oggetto di divisione giudiziale la quota indivisa di un bene già in comunione).

Orbene, poste tali premesse in diritto, la questione relativa alla titolarità esclusiva o meno dei beni in capo al de cuius si pone come una questione pregiudiziale che deve essere decisa dal giudice adito incidenter tantum, in quanto non risulta che nè l’attrice nè i convenuti abbiano sollecitato l’adozione di una pronunzia ai sensi dell’art. 34 c.p.c. avente quindi efficacia di giudicato, ai tini della definitiva individuazione della proprietà su tali beni con efficacia di giudicato da spendere anche nei confronti della pretesa comproprietaria.

Da ciò consegue che, appunto avendo i convenuti unicamente fatto leva sulla natura comune dei beni al fine di procedere alla determinazione del relictum, e di riflesso della quota di riserva, partendo da una base di calcolo inferiore rispetto a quella sostenuta dalle attrici, l’accertamento circa la proprietà esclusiva o meno dei beni indicati in citazione, essendo funzionale alla sola decisione sull’azione di riduzione, ben può essere effettuata dal giudice adito a tale fine, senza la necessità di coinvolgere anche la pretesa terza comproprietaria dei beni.

L’assenza di una domanda delle parti idonea a trasformare la questione pregiudiziale in causa pregiudiziale, come tale necessitante di una statuizione avente efficacia di giudicato e che debba coinvolgere anche C.P., si ricava dalla stessa motivazione della sentenza gravata, laddove nell’argomentare in ordine alla rilevanza probatoria delle risultanze catastali, la Corte distrettuale espressamente ritiene di poter trarre argomenti dall’intestazione de qua, posto che la proprietà immobiliare non costituiva l’oggetto specifico della controversia, riconoscendo in tal modo che non vi era una domanda finalizzata ad estendere la divisione anche alla diversa massa della quale sarebbe stata contitolare la sorella del de cuius, nè vi era una richiesta di accertare la titolarità dei beni con efficacia di giudicato.

Nè potrebbe sostenersi che la decisione adottata dal giudice potrebbe pregiudicare in maniera irreversibile la terza comproprietaria dei beni, in (pianto se si dovesse concludere nel senso che i beni sono in comunione, conformemente alle risultanze catastali, alcun pregiudizio verrebbe a derivare alla terza comproprietaria, mentre nel caso in cui si accertasse, sebbene incidenter tantum, che la proprietà competeva al solo de cuius, tale statuizione, in quanto adottata all’esito del giudizio al quale non ha preso parte la pretesa comproprietaria, potrebbe essere oggetto di opposizione di terzo da parte di quest’ultima, analogamente a quanto di norma accadrebbe nell’ipotesi in cui il giudice adito per la divisione, erroneamente valutando i titoli di proprietà, ovvero ignorando l’esistenza di atti di alienazione dei beni asseritamente in comunione, provveda a dividere cespiti che in realtà appartengono a terzi, i quali ben potrebbero reagire avverso tale sentenza con l’opposizione di cui all’art. 404 c.p.c..

Ne consegue che l’ordine di integrazione del contraddittorio, la cui violazione ha poi determinato l’estinzione del giudizio, è illegittimo, e per l’effetto, alla declaratoria di illegittimità consegue il venir meno della situazione processuale legittimante l’adozione del provvedimento di estinzione.

Per l’effetto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice di appello, non trovando applicazione alla fattispecie di estinzione dichiarata nel caso in esame, la diversa previsione di cui all’art. 354 c.p.c. che invece imporrebbe la rimessione al giudice di primo grado, non avendo in precedenza il giudice di primo grado dichiarato l’estinzione a norma e nelle forme dell’art. 308 c.p.c., come invece presupposto dal citato art. 354 c.p.c. (cfr. da ultimo Cass. n. 11722/2011).

3. L’accoglimento del primo motivo determina evidentemente l’assorbimento degli altri motivi di ricorso.

4. Il giudice del rinvio che si designa in altra sezione della Corte d’Appello di Genova, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, ed assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova anche per provvedere sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2016

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