Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2376 del 01/02/2011

Cassazione civile sez. I, 01/02/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 01/02/2011), n.2376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16412-2008 proposto da:

L.M. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, LUNGOTEVERE PIETRA PAPA 185, presso l’avvocato DONATI SIMONA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MOCELLA MARCO, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

11/06/2007, n. 55833/05 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso, in via principale, per

l’inammissibilità del ricorso; in via subordinata per l’accoglimento

dei motivi quarto e quinto; per il rigetto o inammissibilità dei

restanti motivi.

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di appello di Roma, con Decreto dell’11 giugno 2007, ha condannato il Ministero della Giustizia a corrispondere a L.M. un indennizzo di Euro 4000,00,oltre interessi legali dalla data del provvedimento per l’irragionevole durata di un procedimento in materia fallimentare iniziato davanti al Tribunale di Torre Annunziata con domanda di ammissione allo stato passivo del 19 marzo 1996, e concluso in data 19 maggio 2005 con il pagamento della somma spettante al L., osservando: a) che il procedimento,di particolare complessità, avrebbe dovuto avere durata complessiva di 6 anni,laddove si era protratto per circa 10 anni; b) che tale durata eccedeva di circa 4 anni quella ritenuta ragionevole dalla CEDU; per cui doveva essere liquidato il danno non patrimoniale in misura equitativa corrispondente ad Euro 4.000.

Che il L. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso affidato a 4 motivi, con i quali,deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli art. 6 e 13 della Convenzione CEDU, degli artt. 1223 e 1226 cod. civ. nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ha censurato la decisione: sia nella determinazione della durata ragionevole del processo, sia nella liquidazione del quantum nell’importo di soli Euro 4.000, sia in ordine alla decorrenza degli interessi nonchè alla liquidazione delle spese processuali; e che il Ministero della Giustizia non ha spiegato difese, osserva: Questa Corte, nella elaborazione dei canoni di redazione del quesito di diritto, del quale deve essere corredato ciascun motivo di ricorso per il disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ., ha ripetutamente affermato,anche a sezioni unite, che i quesiti di diritto rispondono alla esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie; sicchè gli stessi devono costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una “regula iuris” che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Ciò vale a dire, da un lato che il quesito di diritto deve rappresentare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale; e dall’altro che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamene compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.

Consegue che ove tale articolazione logico – giuridica manchi, il quesito si risolve in un’ astratta petizione di principio, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio ad opera della Corte, in funzione nomofilattica; per cui esso non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo. Ed a maggior ragione risolversi in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso “sub iudice” (Cass. 28536/2008); nè per converso nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma,essendo ciascuna di queste formulazioni del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia.

Nessuno di questi principi è stato osservato dal ricorrente,che si è limitato a chiedere alla Corte con due quesiti,peraltro di tenore identico, se nell’accertare la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo sia vincolata al rispetto dei parametri elaborati dalla CEDU, che già presuppongono la risposta tuttavia del tutto estranea al thema decidendum svolto dalla sentenza impugnata (Cass. 11650/2008); Nonchè a devolvere a questa Corte con il terzo il compito di determinare il dies a quo dal quale devono decorrere gli interessi legali. Mentre sulla liquidazione delle spese legali il quesito manca del tutto.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2011

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