Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23758 del 22/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 22/11/2016, (ud. 04/10/2016, dep. 22/11/2016), n.23758

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14578-2014 proposto da:

BOSCAMAR SRL, in persona dell’amministratore

R.E.M.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AURELIA 378, presso

lo studio dell’avvocato NERI MICHELE, rappresentata e difesa

dall’avvocato CARLO DEL REGNO;

– ricorrente –

contro

T.F.G., M.R., M.G.,

M.A. nato a il (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

DEI CARRACCI, 1, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SAVARESE,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE PAGNOTTA;

T.F.G., M.R., M.G.,

M.A., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEI CARRACCI, 1,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SAVARESE, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIUSEPPE PAGNOTTA;

– controricorrenti –

nonchè contro

CURATELA FALLIMENTO N.G.; M.A.;

– intimati –

nonchè sul ricorso 14578-2014 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BALDO DEGLI

UBALDI, 66, presso lo studio dell’avvocato SIMONA RINALDI GALLICANI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIANFRANCO MOBILIO;

– ricorrente –

contro

T.F.G., M.R., M.G.,

M.A. nato a il (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

DEI CARRACCI, 1, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SAVARESE,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE PAGNOTTA;

– controricorrenti –

nonchè contro

CURATELA FALLIMENTO N.G.; BOSCAMAR SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 147/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 04/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO;

udito gli Avvocati Mobilio, anche per delega dell’Avvocato Del Regno,

e Pagnotta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ma.Ga. con citazione del 15 dicembre 1988 convenne in giudizio N.G., M.A. e Ta.Ca. davanti al Tribunale di Salerno per ottenere la declaratoria della nullità, previo accertamento della simulazione assoluta, dell’atto stipulato per notaio L. in data (OMISSIS), col quale N.G., procuratore generale ad negotia dello stesso M.G., aveva venduto parte degli immobili di proprietà dell’attore a M.A. e a Ta.Ca.. Il Tribunale di Nocera Inferiore, Sezione Stralcio, cui il procedimento era stato trasferito in seguito alla sua istituzione, ritenuta la simulazione della sola vendita effettuata in favore di M.A., con sentenza del 28 ottobre 2002 accoglieva la domanda proposta nei confronti della stessa e del Fallimento di N.G., fallito nelle more del giudizio, e dichiarava nulli gli atti di vendita da lei stipulati successivamente alla trascrizione della citazione in giudizio, aventi ad oggetto i beni acquistati, mentre respingeva la domanda proposta contro S.V., I.A.M. e Ta.Sa., eredi di Ta.Ca., deceduto in corso di causa. Sugli appelli proposti dalla Curatela del Fallimento di N.G. e da M.A., con l’intervento di Boscamar s.r.l., avente causa dalla M., che si era vista annullare l’acquisto fatto nei confronti dalla medesima, la Corte d’Appello di Salerno, con sentenza del 26 febbraio 2005, riformava la decisione di primo grado e rigettava la domanda. Ad avviso della Corte d’Appello, in caso di rappresentanza volontaria non potrebbe dirsi sufficiente per la declaratoria di simulazione di un atto la prova dell’accordo simulatorio tra rappresentante e terzo, essendo necessaria la prova della partecipazione del rappresentato all’accordo, prova ritenuta mancante. Avverso la sentenza d’appello del 26 febbraio 2005, T.F.G. e A., G. e M.R., eredi di M.G., anch’egli morto nel corso del giudizio, proponevano ricorso per cassazione, cui resisteva M.A. altresì proponendo ricorso incidentale condizionato, mentre tutti gli altri intimati non svolgevano attività difensiva.

La Corte di Cassazione pronunciava sentenza n. 20107 del 18 settembre 2009, che cassava con rinvio la pronuncia di secondo grado, accogliendo il primo motivo del ricorso principale, che censurava la ravvisata necessità, in ipotesi di rappresentanza volontaria, ed ai fini della declaratoria della simulazione assoluta e della conseguente nullità del negozio stipulato dal rappresentante, della prova della partecipazione del rappresentato all’accordo simulatorio. La sentenza n. 20107/2009 affermava, invero, che la prova della partecipazione del rappresentato all’accordo simulatorio occorre soltanto se ad agire per la simulazione sia un terzo che tragga pregiudizio dall’atto e che agisca contro il rappresentato ed il rappresentante, non quando ad agire sia il rappresentato stesso, il quale, quindi, in qualità di terzo rispetto al negozio, può fornire la prova della simulazione “senza limiti” ai sensi dell’art. 1417 c.c. e, pertanto, sia a mezzo di testimoni che di presunzioni, senza che occorra la prova della sua partecipazione all’accordo simulatorio. T.F.G. e A., G. e M.R., eredi di Ma.Ga., riassumevano allora il giudizio davanti alla Corte d’Appello di Salerno, giudice del rinvio, e si costituivano M.A., la Curatela del Fallimento di N.G. e la Boscamar S.r.l.. La Corte d’Appello di Salerno pronunciava infine sentenza n. 147/2014 del 4 marzo 2014 che, in parziale accoglimento dell’appello proposto da M.A. avverso la sentenza del 28 ottobre 2002 del Tribunale di Nocera Inferiore – Sezione Stralcio, riformava la decisione di prime cure nella parte in cui essa dichiarava “l’annullamento di tutti i successivi atti pubblici o scritture private registrate relativi agli stessi beni (sia pure con dati catastali differenti perchè aggiornati) successivi alla data di trascrizione dell’atto di citazione”; compensava per un terzo le spese del giudizio di primo grado, condannando al residuo M.A. ed il Fallimento di N.G., confermando per il resto la pronuncia di primo grado. La Corte d’Appello di Salerno superava le eccezioni pregiudiziali sollevate da M.A. nel proprio appello del 15 gennaio 2003 e fatte proprie dall’interveniente Boscamar S.r.l. (acquirente dell’immobile per atto notaio F. del (OMISSIS)), relative, in particolare, alla nullità dell’atto di citazione per genericità del petitum e della causa petendi, ed al difetto di interesse ad agire di Ma.Ga. per mancanza di pregiudizio subito dalla vendita simulata. Passando, quindi, alle questioni pregiudiziali sollevate dalla Curatela del Fallimento N.G. nell’appello dell’8 gennaio 2003 – e riproposte in sede di rinvio -, relative alla carenza di legittimazione del Curatore, per non essere i beni compresi nel fallimento, nonchè all’improcedibilità della domanda, per effetto della declaratoria di fallimento, la Corte di Salerno sosteneva che su tali profili si fosse formato il giudicato implicito, non avendo il Fallimento proposto ricorso incidentale condizionato contro la sentenza n. 149/2005, che pur aveva accolto nel merito l’appello della stessa Curatela. Quanto alla prova della simulazione assoluta dell’atto stipulato per notaio L., in data (OMISSIS), tra N.G., rappresentante di Ma.Ga., e M.A., il giudice del rinvio, alla stregua del principio fissato nella sentenza rescindente n. 20107/2009 della Corte di Cassazione, attribuiva maggiore attendibilità alla deposizione dei testimoni M.A. (figlia di Ma.Ga.), La.Ca. (suocera di M.G.), P.G. (cognato di Ma.Ga.) ed E.E. (cugino della moglie di Ma.Ga.), rispetto a quelle degli altri testimoni M.L. (fratello di Ma.Ga.) e Na.Nu. (cognato di M.G.). I primi quattro testimoni avevano riferito di una visita fatta da M.L. al domicilio del fratello Ga., dopo la stipula dell’atto, visita nel corso della quale L. aveva messo al corrente Ga. di un incontro svoltosi tra M.A. e N.G., in cui i due avevano preso accordi per la vendita dei beni di proprietà di Ga. in favore di A.. Gli stessi testi hanno deposto sulle minacce ricevute da M.L. ad opera di N.G., sui tentativi fatti in famiglia per convincere M.A. a restituire gli immobili al fratello Ga. e sulla circostanza che i risparmi di M.A. ammontassero a non più di tre o quattro milioni lire. Viceversa, i testimoni M.L. e Na.Nu. sono stati ritenuti dalla Corte di Salerno meno credibili, avendo dichiarato di non sapere nulla dei fatti di causa, pur attenendo gli stessi a due loro stretti parenti. I giudici del rinvio hanno altresì messo in evidenza come M.A. non avesse dato alcuna dimostrazione di aver versato il prezzo di L. 200 milioni – fissato nell’atto che si assume simulato nelle mani del rappresentante N.G., risultando inverosimile la dichiarazione dei contraenti di aver corrisposto e ricevuto tale importo in contanti prima della stipula del rogito. D’altro canto, continuano i giudici della Corte di Salerno, non è stata data prova che il mandatario N.G. avesse poi consegnato i 200 milioni di Lire riscossi al mandante Ma.Ga.. Emergeva ancora contrasto sulle modalità e sui tempi del pagamento del prezzo ricostruite nell’interrogatorio formale di M.A. e nell’interrogatorio libero di N.G.. Infine, M.A. già nel 1991 aveva rivenduto l’immobile alla Boscamar S.r.l., ricevendo il corrispettivo di Lire 270 milioni. Circa l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni effettuate da N.G. in sede di interrogatorio libero – in quanto rese da soggetto fallito ed ormai non più parte del processo -, la Corte di Salerno poneva in risalto come l’incapacità del N. a deporre non fosse stata dedotta immediatamente dopo l’espletamento del mezzo istruttorio e come fosse stata proprio la difesa di M.A. a sollecitare l’audizione del N.. Proseguendo, la Corte giudice del rinvio ha affermato l’irrilevanza della problematica della esiguità, o meno, dell’importo indicato in atto di Lire 200 milioni (risultando comunque lo stesso non versato), ed ha esposto che le prove testimoniali avessero confermato che M.A. non si trovava in condizioni economiche che le consentissero di pagare la somma appena riportata. Infine fondato era reputato il motivo di appello circa l’assoluto difetto di domanda in ordine alla declaratoria di nullità degli atti successivi a quello dell’11 agosto 1988, ovvero, in particolare, dell’atto del (OMISSIS) tra M.A. e Boscamar S.r.l., dal che la riforma sul punto della sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza n. 147/2014 del 4 marzo 2014 della Corte d’Appello di Salerno, hanno proposto distinti ricorsi M.A. e la Boscamar S.r.l., articolati, rispettivamente, in cinque ed in quattro motivi. Resistono ad entrambi i ricorsi, con autonomi controricorsi, T.F.G., M.A., M.G. e M.R., eredi di Ma.Ga.. E’ rimasto intimato, senza svolgere attività difensiva, il Fallimento di N.G.. I ricorrenti, in data 29 settembre 2016, ed i controricorrenti, in data 28 settembre 2016, hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi di M.A. e della Boscamar S.r.l. vanno riuniti agli effetti dell’art. 335 c.p.c..

1. Il primo motivo di ricorso di M.A. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., della L.Fall., art. 24 e dell’art. 2909 c.c.. Tale censura attiene alla mancata valutazione dell’eccezione di improcedibilità della domanda sollevata sia in grado d’appello che in sede di rinvio dalla Curatela del Fallimento N., eccezione che invocava la sopravvenuta improcedibilità della domanda di simulazione di Ma.Ga. e la competenza del tribunale fallimentare al riguardo. Si assume che la Curatela, avendo visto comunque accolto il proprio appello nel merito, non avesse alcun onere di proporre ricorso incidentale per cassazione su tali questioni rimaste assorbite nella sentenza di secondo grado, sicchè le stesse dovevano essere poi esaminate dal giudice del rinvio, senza ravvisare alcun vincolo preclusivo da giudicato implicito, come invece affermato dalla Corte di Salerno nella sentenza n. 147/2014.

Il secondo motivo del ricorso di M.A. deduce violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 24 e 95. Essendo l’improcedibilità della domanda nei confronti del fallimento e la competenza del Tribunale fallimentare rilevabili d’ufficio, a tanto sarebbe stata comunque obbligata la Corte d’Appello di Salerno in sede di rinvio.

I primi due motivi di ricorso di M.A. possono essere esaminati congiuntamente, per la loro connessione, e si rivelano infondati sotto più aspetti.

Secondo consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, sono azioni derivanti dal fallimento, ai sensi della L.Fall., art. 24, quelle che trovano origine nello stato di dissesto, e che comunque incidono sul patrimonio del fallito, ovvero che comportano accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa, semmai perchè diretti a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17279 del 23/07/2010; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17388 del 08/08/2007; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 7510 del 22/05/2002), sicchè non rientra evidentemente nella competenza funzionale del foro fallimentare, prevista dalla predetta norma, nè suppone il necessario ricorso al procedimento speciale di formazione dello stato passivo fallimentare stabilito per l’accertamento dei crediti in posizione di concorso, la domanda del terzo volta alla declaratoria di nullità per simulazione assoluta di un contratto di compravendita stipulato dal fallito nella qualità di rappresentante del venditore.

Peraltro, certamente l’eventuale competenza del tribunale fallimentare va riconosciuta e dichiarata anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Così come rilevabile d’ufficio, anche nel giudizio di cassazione, è l’improcedibilità della domanda di accertamento di un credito verso l’imprenditore insolvente avanzata in sede di cognizione ordinaria, nell’ipotesi di dichiarazione di fallimento intervenuta nelle more del giudizio, dovendo il creditore far valere la sua pretesa mediante istanza di ammissione al passivo secondo le norme che disciplinano la “par condicio creditorum” (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 17327 del 11/10/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24847 del 24/11/2011; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21565 del 13/08/2008). Tale rilevablità d’ufficio delle indicate questioni non depone comunque neppure in via ipotetica per la fondatezza dei primi due motivi di ricorso. Si afferma infatti costantemente da questa Corte che, in ragione della natura del giudizio di rinvio, “aperto” quanto all’attività del giudice di merito e “chiuso” quanto all’attività delle parti, qualora la sentenza sia stata annullata per difetto di attività del giudice di merito, questi è pienamente libero nell’esame della controversia, mentre è in ogni caso inibito alle parti prendere conclusioni diverse dalle precedenti o che non siano conseguenti alla cassazione; nè sono modificabili i termini oggettivi della controversia, espressi o impliciti nella sentenza di annullamento, investendo tale preclusione non solo le questioni espressamente dedotte o che avrebbero potuto essere dedotte dalle parti, ma anche, appunto, le questioni di diritto rilevabili d’ufficio, ove tendano a porre nel nulla od a limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operatività del principio di diritto, che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione finale della causa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22885 del 10/11/2015; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7656 del 04/04/2011).

Ciò comporta che il giudizio di rinvio davanti alla Corte d’Appello di Salerno doveva inevitabilmente svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento del 18 settembre 2009, n. 20107, ovvero ammettendo il rappresentato, che agiva in giudizio ai fini della declaratoria della simulazione del negozio compiuto dal rappresentante, a fornire la prova della simulazione sia a mezzo di testimoni che di presunzioni, non dovendo fornire la prova della sua partecipazione all’accordo simulatorio. L’esame del giudice di rinvio non poteva quindi più estendersi a questioni in ogni caso rilevabili pure d’ufficio (quali quelle ancora denunciate nei primi due motivi dell’attuale ricorso, ovvero: competenza del tribunale fallimentare e improcedibilità della domanda in sede di cognizione ordinaria) e comunque non rilevate d’ufficio in sede di legittimità, costituendo il presupposto logico – giuridico della sentenza rescindente stessa, e perciò formando oggetto di giudicato implicito ed interno (indipendente dalla sussistenza, o meno, di un onere di impugnazione incidentale in capo alla parte vittoriosa in secondo grado), poichè il loro riesame sarebbe valso a porre nel nulla o a limitare gli effetti della pronuncia di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità.

2. Il terzo motivo del ricorso di M.A. deduce in rubrica “violazione e falsa applicazione degli artt. 117, 185 e 231 c.p.c., in funzione dell’art. 2927 c.c. e all’art. 2847 c.c., in relazione alla declaratoria di simulazione ex art. 360 c.p.c., n. 3”. Si contesta l’assunzione in sede di libero interrogatorio di N.G. all’udienza del 25 febbraio 2002, ovvero in epoca successiva alla sua dichiarazione di fallimento, che aveva determinato l’interruzione del giudizio. Essendo divenuta parte processuale il Fallimento in sostituzione del fallito N.G., questo, secondo la ricorrente, non poteva rendere dichiarazione utilizzabili dal giudice in sede di interrogatorio, nè poteva deporre come testimone, non avendo giurato nè essendo stato indicato tale. Tali circostanze erano state fatte valere nel suo appello da M.A., sicchè si contesta l’assunta tardività del rilievo e la sua provenienza dalla stessa M.A., che aveva sollecitato l’assunzione del N., secondo quanto motivato dalla Corte di rinvio. Ciò, a dire della ricorrente, avrebbe “riferito al fallimento” un fatto (il mancato versamento del prezzo di vendita) non proprio della parte processuale, ovvero una confessione giudiziale proveniente da soggetto che non poteva disporre della relativa situazione giuridica in contesa.

2.1 Anche questo terzo motivo di ricorso di M.A. non ha fondamento. Esso, nella sua rubrica, fa questione di violazione e falsa applicazione di tre norme processuali in tema di interrogatorio non formale e di risposta all’interrogatorio formale, e poi non denuncia questi vizi come errores in procedendo, determinanti la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ma ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Peraltro, la Corte giudice di rinvio aveva indicato una pluralità di ragioni argomentative per disattendere l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni effettuate da N.G. in sede di interrogatorio libero: che l’incapacità del N. a deporre non fosse stata dedotta immediatamente dopo l’espletamento del mezzo istruttorio; che fosse stata proprio la difesa di M.A. a sollecitare l’audizione del N.; che le dichiarazioni del N. valessero, in ogni caso, solo a colorire un quadro probatorio già di per sè ampiamente idoneo ad acclarare il carattere fittizio del pagamento. La ricorrente M.A., nel riprendere la sua doglianza sull’assunzione dell’interrogatorio libero di N.G., aggiunge solo di averne fatto già questione nel suo atto di appello. Così, però, il terzo motivo di ricorso non si confronta con la pluralità delle ragioni, distinte ed autonome, adoperate dalla Corte d’Appello per superare quella eccezione, ragioni ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata.

Si consideri, inoltre, quanto alla considerazione della ricorrente, secondo cui il fallito “non è più parte processuale” – sicchè poteva essere ritenuto al più testimone, se avesse prestato giuramento e ne fosse stata richiesta l’assunzione in tale qualità, come, nelle controversie inerenti a rapporti economici compresi nel fallimento, il fallito, nonostante l’attribuzione della legittimazione processuale al curatore, conservi la qualità di parte in senso sostanziale, sicchè, opera nei suoi confronti il principio generale della relativa inconciliabilità con la veste di testimone (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2680 del 05/03/1993; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2404 del 19/05/1989). Peraltro, quanto all’ammissibilità dell’interrogatorio reso dallo stesso fallito N., la giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito che la perdita della capacità processuale del fallito a seguito della dichiarazione di fallimento non è assoluta ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto – e per essa al curatore è concesso eccepirla (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7132 del 21/07/1998; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15713 del 02/07/2010). Sicchè non è comunque legittimata la difesa di M.A. a far valere la perdita della capacità processuale del fallito N.G. a rendere l’interrogatorio libero, che poi essa stessa aveva sollecitato al giudice.

E’ condivisibile, in via di principio, che non dovesse essere ammesso dal giudice di primo grado l’interrogatorio libero del fallito N., non essendo più quegli parte processuale in senso formale per la costituzione in giudizio del curatore fallimentare, atteso che l’interrogatorio, come il giuramento, possono essere prestati solo da chi sia costituito formalmente in giudizio come parte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18175 del 16/08/2006; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15570 del 24/07/2015). La nullità dell’interrogatorio non formale reso da chi non sia (più) costituito come parte del giudizio andava, comunque, eccepita dalla controparte interessata subito dopo l’espletamento della prova, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2 e, ove respinta, doveva essere riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, come poi nei successivi atti di impugnazione.

3. Il quarto motivo di ricorso di M.A. denuncia l’omesso esame di punto decisivo oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Si sostiene dalla ricorrente che ciò che il giudice di rinvio doveva indagare era l’adempimento del mandato in forza del quale il N. aveva venduto i beni di Ma.Ga. sia alla sorella di questo, M.A., sia a Ta.Ca.. Il quarto motivo deduce che la domanda proposta da Ma.Ga. mirasse a contestare la legittimità dell’operato del mandatario N., piuttosto che ad affermare l’invalidità dell’acquisto operato con l’atto per Notaio L. dell’11 agosto 1988. Si richiamano diffusamente le difese svolte nel giudizio di rinvio per argomentare la nullità per genericità della citazione di primo grado.

Il quinto motivo di ricorso di M.A. denuncia ancora un omesso esame di punto decisivo, in relazione alla comparazione della natura dell’azione avviata da Ma.Ga., e con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 5, anche in riferimento ad una corretta interpretazione della domanda ex artt. 112, 163 e 164 c.p.c.. Si ribadiscono i punti sulla corretta individuazione del petitum e della causa petendi della pretesa spiegata in primo grado dall’attore, e si richiama la necessità di valutare le problematiche relative alla procura, asseritamente voluta quale speciale ed invece conferita in modo generale, nonchè all’adempimento del mandato da parte del N. ed alla buona fede dell’acquirente M.A.. Sono evidenziati quali fossero i rapporti pregressi, “di assoluta tranquillità”, tra i due cognati Ma.Ga. e N.G. e la conseguente fiducia di M.A. nei poteri rappresentativi di quest’ultimo. Vengono sintetizzate le deposizioni testimoniali, per inferirne che esse non avessero fornito prova alcuna dell’accordo di natura simulatoria, quanto soltanto dimostrato l’infedeltà del N..

3.1 I motivi quarto e quinto del ricorso di M.A., da trattare unitamente per la loro connessione, sono del tutto infondati. Si consideri dapprima come la sentenza impugnata è stata pubblicata il 4 marzo 2014 Questa Corte ha già affermato come il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio ex art. 383 c.p.c., rimane disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all’epoca della proposizione dell’impugnazione. Sicchè, essendo stata la sentenza conclusiva del giudizio di rinvio davanti alla Corte d’Appello di Salerno pubblicata successivamente al trentesimo giorno da quello di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, trova qui applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella nuova formulazione introdotta del suddetto D.L. n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), (Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 26654 del 18/12/2014; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10693 del 24/05/2016).

Come autorevolmente interpretato da Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, pertanto, il riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, onera il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Il quarto ed il quinto motivo di ricorso, invece, non si dolgono dell’omesso esame di “fatti storici” da parte del giudice di rinvio, ovvero di dati materiali, di episodi fenomenici rilevanti per le loro ricadute in termini di diritto, in quanto aventi portata idonea a determinare direttamente l’esito del giudizio, unico ambito di operatività del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5133 del 05/03/2014), quanto sollecitano questa Corte ad una diversa interpretazione della domanda proposta in primo grado da Ma.Ga., riproponendo surrettiziamente anche argomentazioni già poste a fondamento dell’eccezione di nullità dell’atto di citazione introduttivo, disattesa dalla Corte d’Appello di Salerno e non oggetto di specifico gravame in questa sede.

L’interpretazione della domanda di Ma.Ga. che il giudice del merito ha prescelto – interpretazione che attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte e che è denunciabile in sede di legittimità unicamente “sub specie” di vizio di motivazione (e giammai per ultrapetizione ex art. 112 c.p.c.) soltanto in ipotesi di mancanza assoluta di motivi, o di motivazione apparente o incomprensibile -, peraltro coerente con i temi definiti nella sentenza rescindente n. 20107/2009 resa da questa Corte, ha individuato le ragioni di fatto e di diritto prospettate dall’attore come inerenti ad un’ipotesi di rappresentanza volontaria conferita da Ma.Ga. a N.G., e di simulazione dell’atto di vendita stipulato dal rappresentante N. con la compratrice M.A., simulazione effetto di collusione tra rappresentante e terza. La Corte d’Appello di Salerno ha quindi esposto in motivazione le prove che secondo il suo argomentato apprezzamento dimostravano l’esistenza di un accordo simulatorio, accordo cui era rimasto estraneo il rappresentato Ma.Ga., non essendo stato conferito al N. il potere di rappresentanza perchè ponesse in essere con M.A. un contratto simulato. Il tema della causa, introdotto dall’attore, secondo l’interpretazione della sua domanda operata dalla Corte di Salerno, era, quindi, non l’infedeltà del rappresentante nei suoi rapporti interni col rappresentato, nè il compimento da parte del medesimo rappresentante di atti contrari alla tutela degli interessi del rappresentato, ma soltanto la declaratoria della simulazione del negozio compiuto dal rappresentante, essendo il mandante ignaro dell’accordo simulatorio.

La ricorrente, nel quarto e nel quinto motivo di ricorso, prospetta invece vizi di motivazione della sentenza emessa nel giudizio di rinvio, denunziando una inappagante spiegazione logica relativa all’apprezzamento, operato dal giudice di merito, dei fatti della controversia, delle domande e delle prove, limitandosi a prospettare un’ interpretazione di tali domande ed una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie secondo una logica alternativa, semmai anche plausibile ma non esclusiva, e perciò priva di decisività per il giudizio, nel senso postulato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si consideri, in ogni caso, come, allorchè la domanda di simulazione assoluta del contratto sia proposta da terzi estranei al negozio -quale, nella specie, il rappresentato che invochi la simulazione del negozio compiuto dal rappresentante a sua insaputa – spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fondare la decisione su elementi presuntivi, da considerare non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, in quanto idonei a consentire illazioni che ne discendano secondo l’id quod plerumque accidit, restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (nella specie, avendo la Corte di Salerno ritenuto raggiunta la prova della simulazione assoluta del contratto dell'(OMISSIS) sulla base di plurimi indizi precisi e concordanti, quali le deposizioni testimoniali sulla mancata informazione al riguardo di Ma.Ga., la mancata prova del pagamento del prezzo, la mancata prova della consegna dello stesso prezzo incassato dal mandatario al mandante, l’incongruità del prezzo di vendita rispetto alle condizioni economiche dell’acquirente; la contiguità temporale della rivendita del bene alla Boscamar S.r.l.) (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 28224 del 26/11/2008; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22801 del 28/10/2014). Nè, per quanto sopra premesso, il novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. consente la sindacabilità in sede di legittimità della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di una determinata risultanza processuale.

4. Venendo ora al ricorso proposto dalla Boscamar S.r.l., esso premette la posizione “in tutto parziale” della stessa ricorrente, attesa la riforma operata in sede di rinvio della declaratoria di annullamento degli atti pubblici successivi a quello simulato.

Comunque, Boscamar S.r.l. si era resa acquirente, per atto notaio F. del (OMISSIS) stipulato con M.A., dell’immobile oggetto del contratto simulato dell'(OMISSIS).

Trattandosi di acquisto operato durante la pendenza della lite tra simulato alienante e simulata acquirente, ed essendo Boscamar S.r.l. intervenuta nelle fasi pregresse del processo, la vicenda rimane regolata dall’art. 111 c.p.c., sicchè la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Salerno spiega effetto nei confronti della Boscamar S.r.l. ed essa è legittimata ad impugnarla.

5. Il primo motivo di ricorso della Boscamar S.r.l. deduce violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 24 e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4.

Il secondo motivo del ricorso della Boscamar S.r.l. deduce violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 24 e 95, in relazione alla competenza attrattiva del tribunale fallimentare (art. 360 c.p.c., n. 2 e n. 3).

Il terzo motivo del ricorso della Boscamar S.r.l. deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 117, 185 e 231 c.p.c., in riferimento all’art. 2927 c.c. e all’art. 2847 c.c., in relazione alla declaratoria di simulazione ex art. 360 c.p.c., n. 3”.

5.1. Questi primi tre motivi di ricorso della Boscamar S.r.l. ricapitolano le stesse doglianze poste alla base dei primi tre motivi di ricorso dell’altra ricorrente M.A., e vanno perciò rigettati per le stesse ragioni spiegate dal Collegio con riguardo a quelli.

6. Il quarto motivo di ricorso della Boscamar S.r.l. censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Si dice del tutto non coerente con l’esito del giudizio la solidarietà nella condanna alle spese della società con M.A. ed il Fallimento N.. La ricorrente ricorda che la condanna alle spese presuppone una soccombenza che nella fattispecie non si intravede, avendo essa fatto intervento in appello al fine di sentir accolta la domanda di M.A. volta ad impedire che venisse travolta la successiva vendita.

6.1. Anche questo quarto motivo è palesemente sprovvisto di fondatezza.

E’ soccombente rispetto alla parte vincitrice, e può perciò essere condannata al rimborso delle spese del processo, non solo la parte che propone domande, ma anche quella che interviene nel processo per sostenere le ragioni di una parte o che, chiamata nel processo da una delle parti, ne sostiene le ragioni contro l’altra (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4213 del 23/02/2007). Ne consegue che il successore a titolo particolare nel diritto controverso, che partecipi al giudizio di appello per sostenere le ragioni del dante causa, risultandovi soccombente insieme a questo, ben può essere condannato per le spese del giudizio di secondo grado, essendo divenuto parte processuale in conseguenza dell’intervento spiegato. Che poi la condanna al pagamento delle spese processuali sia disposta in solido a carico di più parti soccombenti, ciò implica il riscontro di una comunanza di interessi tra le parti medesime, o anche di una convergenza di posizioni o strategie difensive, la cui sussistenza non può che essere apprezzata dal giudice di merito con una valutazione non censurabile, all’evidenza, in sede di legittimità (Cass. Sez. Sez. U, Sentenza n. 1536 del 12/02/1987).

7. Conseguono il rigetto dei ricorsi riuniti di M.A. e della Boscamar S.r.l. e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, in favore dei controricorrenti T.F.G., M.A., M.G. e M.R.. Non occorre provvedere sulle spese nei riguardi del Fallimento di N.G., rimasto intimato, senza svolgere attività difensiva.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le stesse impugnazioni integralmente rigettate.

PQM

La Corte rigetta i ricorsi di riuniti di M.A. e della Boscamar S.r.l. e condanna ciascuno dei ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti T.F.G., M.A., M.G. e M.R. le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2016

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